Come Eowyn, anche Marfisa è una ragazza di animo intrepido
Dopo i primi tre incontri a base di giochini e considerazioni sul Bene, il Male, il Rapporto Con gli Altri, i Ricordi, i Sentimenti e il Viaggio, il Progetto Multiculturale entra infine nel vivo; e il vivo consiste nell'intervistare sotto l'occhio spietato delle telecamere tre adulti nati in terre lontane ma, ad un certo punto della loro vita, approdati in Italia e ivi stabilitisi.
Dove trovare cotali adulti? Per la Prima d'Ogni Grazia Adorna, dove sei alunni su diciotto non hanno solo italiani tra i loro ascendenti più prossimi, è stato facile: ben presto infatti è stato stabilito che i nostri intervistati sarebbero stati tre dei loro multiculturalissimi genitori, nella fattispecie una svedese e due albanesi.
Divisa la classe in tre gruppi, dove ognuno aveva il suo bravo incarico, e preparate con cura le domande, giunge anche il Gran Giorno. Un po' emozionati ma pronti al cimento i ragazzi si dispongono ai posti di combattimento, i cameraman pure, e le riprese hanno inizio.
A rompere il ghiaccio è la madre svedese, che ci racconta di come sia arrivata a Firenze per specializzarsi in restauro e di come nei primi mesi si sia sentita sola e isolata*. In qualche modo, comunque, a un certo punto deve avere allacciato qualche contatto umano al di fuori della pensione dove alloggiava, perché ha finito per sposarsi un indigeno e scodellarci una bella bambina bionda con gli occhi azzurri ormai saldamente avviata verso l'adolescenza.
Quando entrano in scena Europa e Ulisse, i due albanesi, il tono cambia drasticamente.
Europa arrivò con un barcone, per curarsi da qualcosa che la stava uccidendo e di cui laggiù non venivano a capo** - ed era il secondo barcone, perché il primo tornò indietro, con gli elicotteri della polizia che ruotavano minacciosi su di loro, riuscendo ancora a galleggiare più per caso che per altro, tanta era l'acqua che imbarcava. Il secondo barcone invece approdò sulle coste italiane e i migranti vennero sbarcati ancora vivi, per quanto piuttosto provati, e prontamente abbandonati dagli scafisti senza nemmeno un panino o un'aranciata per fargli compagnia. Dopo diverse ore e parecchi chilometri raggiunsero in ordine sparso una strada e fecero l'autostop. Quelli che scarrozzarono Europa e suo marito fino alla più vicina stazione ferroviaria erano anche disposti a offrirgli la colazione, ma Europa era terrorizzata e non conosceva la lingua, così rispose di no. Gli erano comunque rimasti un po' di soldi. Fecero il biglietto, salirono sul treno e all'altra stazione erano attesi. Tramite la Caritas e il tanto vituperato Sistema Sanitario Nazionale Europa venne curata, e anche se in Albania le avevano assicurato che non avrebbe mai potuto avere figli ce ne ha scodellati due, sani e robusti, uno dei quali sta seduto in silenzio, con gli occhi grandi come ruote di carro, ad ascoltare il racconto.
"Non la conoscevi, questa storia?" gli chiedo, a bassa voce. Scuote la testa. E' tutto nuovo, per lui come per noi.
Per Ulisse fu ancora più complicato: di barconi all'epoca non c'era neanche da parlarne così lui e il suo gruppo vennero a piedi passando per l'ex-Iugoslavia, allora in guerra. Ogni tanto qualcuno gli prendeva dei soldi e gli indicava un punto dove avrebbero trovato qualcuno che li avrebbe accolti, e regolarmente non trovavano nessuno. I giorni di digiuno non si contano, la paura mentre i soldati intorno a loro sparavano nemmeno. Con l'accendino scaldavano la batteria dei cellulari quel minimo che bastava per mandare un SMS a casa per avvisare che erano ancora vivi. Arrivare in Italia non fu la fine dell'incubo, perché per molto tempo rimasero in assoluta clandestinità e anche chi gli dava lavoro rischiava***. La sposa Penelope e la piccola Marfisa passarono tre anni senza vederlo, e qualche altro anno prima di ricongiungersi con lui in Italia. E anche Marfisa, che ai tempi dell'epico viaggio aveva pochi mesi, ascolta con grandi occhi spalancati una storia che nessuno le aveva mai raccontato.
Finita l'intervista i tecnici raccolgono l'attrezzatura e se ne vanno, insieme alla madre svedese che deve entrare al lavoro. Europa e Ulisse restano, e i ragazzi continuano a fare domande. Anch'io comincio a farne. Per un'ora i due epici viaggi e il drammatico tempo dell'ambientazione vengono sviscerati e dettagliati, e ogni dettaglio è più epico del precedente.
I compagni conoscono questi genitori e sono cresciuti con i loro figli: giocano a calcio nella giovanile del paese, hanno condiviso gare, compleanni, passaggi in macchina, merende, pranzi e cene collettive. Improvvisamente, queste figure umane consuete del loro paesaggio si sono trasformati in eroici viaggiatori, rivelando una parte della loro storia del tutto inimmaginabile. L'impatto della rivelazione è forte e ha scosso tutti. Nonostante il Progetto sia piaciuto nel complesso, le relazioni dei ragazzi parlano quasi soltanto delle interviste (con l'unica eccezione, si capisce, dei figli degli intervistati).
Passano le settimane e arriva la festa di paese in cui il filmato (che è venuto molto bene) viene proiettato. Ai ragazzi viene chiesto di leggere, prima della proiezione, passi scelti delle interviste. A sorpresa Marfisa, la figlia di Ulisse, si offre per leggere gli stralci del racconto di suo padre. E' una ragazzina quieta e introversa che non alza mai la voce, ma legge il racconto con voce forte e chiara, mentre i due genitori si sciolgono in lacrime cercando di non farsi notare.
Mentre li guardo e la ascolto ho l'impressione di partecipare a qualcosa di particolarmente solenne, una specie di rito magico. Forse di riconciliazione. Ma riconciliazione con che? I rapporti in famiglia sono buoni, per quanto mi risulta, i rapporti con l'Italia anche: Marfisa è qui da pochi anni ma ha una vita sociale assolutamente nella norma ed è apprezzata da tutti. Straniera, ma tutt'altro che estranea o emarginata.
Forse è qualcosa di diverso: la figlia ha voluto affermare in pubblico il suo orgoglio per quel che il padre ha fatto e sopportato per lei, rivendicando quel terrificante viaggio fra le glorie della sua famiglia.
In tutti i casi è stata una scena molto commovente e sono convinta che parteciparci ha fatto di me una persona migliore.
I rapporti con i tre Viaggiatori sono cambiati: adesso, quando ci incontriamo, ci facciamo grandi feste e ci salutiamo come vecchi amici che hanno condiviso, poniamo, l'assedio di Minas Tirith - un'altra cosa che non mi era mai successa.
A rompere il ghiaccio è la madre svedese, che ci racconta di come sia arrivata a Firenze per specializzarsi in restauro e di come nei primi mesi si sia sentita sola e isolata*. In qualche modo, comunque, a un certo punto deve avere allacciato qualche contatto umano al di fuori della pensione dove alloggiava, perché ha finito per sposarsi un indigeno e scodellarci una bella bambina bionda con gli occhi azzurri ormai saldamente avviata verso l'adolescenza.
Quando entrano in scena Europa e Ulisse, i due albanesi, il tono cambia drasticamente.
Europa arrivò con un barcone, per curarsi da qualcosa che la stava uccidendo e di cui laggiù non venivano a capo** - ed era il secondo barcone, perché il primo tornò indietro, con gli elicotteri della polizia che ruotavano minacciosi su di loro, riuscendo ancora a galleggiare più per caso che per altro, tanta era l'acqua che imbarcava. Il secondo barcone invece approdò sulle coste italiane e i migranti vennero sbarcati ancora vivi, per quanto piuttosto provati, e prontamente abbandonati dagli scafisti senza nemmeno un panino o un'aranciata per fargli compagnia. Dopo diverse ore e parecchi chilometri raggiunsero in ordine sparso una strada e fecero l'autostop. Quelli che scarrozzarono Europa e suo marito fino alla più vicina stazione ferroviaria erano anche disposti a offrirgli la colazione, ma Europa era terrorizzata e non conosceva la lingua, così rispose di no. Gli erano comunque rimasti un po' di soldi. Fecero il biglietto, salirono sul treno e all'altra stazione erano attesi. Tramite la Caritas e il tanto vituperato Sistema Sanitario Nazionale Europa venne curata, e anche se in Albania le avevano assicurato che non avrebbe mai potuto avere figli ce ne ha scodellati due, sani e robusti, uno dei quali sta seduto in silenzio, con gli occhi grandi come ruote di carro, ad ascoltare il racconto.
"Non la conoscevi, questa storia?" gli chiedo, a bassa voce. Scuote la testa. E' tutto nuovo, per lui come per noi.
Per Ulisse fu ancora più complicato: di barconi all'epoca non c'era neanche da parlarne così lui e il suo gruppo vennero a piedi passando per l'ex-Iugoslavia, allora in guerra. Ogni tanto qualcuno gli prendeva dei soldi e gli indicava un punto dove avrebbero trovato qualcuno che li avrebbe accolti, e regolarmente non trovavano nessuno. I giorni di digiuno non si contano, la paura mentre i soldati intorno a loro sparavano nemmeno. Con l'accendino scaldavano la batteria dei cellulari quel minimo che bastava per mandare un SMS a casa per avvisare che erano ancora vivi. Arrivare in Italia non fu la fine dell'incubo, perché per molto tempo rimasero in assoluta clandestinità e anche chi gli dava lavoro rischiava***. La sposa Penelope e la piccola Marfisa passarono tre anni senza vederlo, e qualche altro anno prima di ricongiungersi con lui in Italia. E anche Marfisa, che ai tempi dell'epico viaggio aveva pochi mesi, ascolta con grandi occhi spalancati una storia che nessuno le aveva mai raccontato.
Finita l'intervista i tecnici raccolgono l'attrezzatura e se ne vanno, insieme alla madre svedese che deve entrare al lavoro. Europa e Ulisse restano, e i ragazzi continuano a fare domande. Anch'io comincio a farne. Per un'ora i due epici viaggi e il drammatico tempo dell'ambientazione vengono sviscerati e dettagliati, e ogni dettaglio è più epico del precedente.
I compagni conoscono questi genitori e sono cresciuti con i loro figli: giocano a calcio nella giovanile del paese, hanno condiviso gare, compleanni, passaggi in macchina, merende, pranzi e cene collettive. Improvvisamente, queste figure umane consuete del loro paesaggio si sono trasformati in eroici viaggiatori, rivelando una parte della loro storia del tutto inimmaginabile. L'impatto della rivelazione è forte e ha scosso tutti. Nonostante il Progetto sia piaciuto nel complesso, le relazioni dei ragazzi parlano quasi soltanto delle interviste (con l'unica eccezione, si capisce, dei figli degli intervistati).
Passano le settimane e arriva la festa di paese in cui il filmato (che è venuto molto bene) viene proiettato. Ai ragazzi viene chiesto di leggere, prima della proiezione, passi scelti delle interviste. A sorpresa Marfisa, la figlia di Ulisse, si offre per leggere gli stralci del racconto di suo padre. E' una ragazzina quieta e introversa che non alza mai la voce, ma legge il racconto con voce forte e chiara, mentre i due genitori si sciolgono in lacrime cercando di non farsi notare.
Mentre li guardo e la ascolto ho l'impressione di partecipare a qualcosa di particolarmente solenne, una specie di rito magico. Forse di riconciliazione. Ma riconciliazione con che? I rapporti in famiglia sono buoni, per quanto mi risulta, i rapporti con l'Italia anche: Marfisa è qui da pochi anni ma ha una vita sociale assolutamente nella norma ed è apprezzata da tutti. Straniera, ma tutt'altro che estranea o emarginata.
Forse è qualcosa di diverso: la figlia ha voluto affermare in pubblico il suo orgoglio per quel che il padre ha fatto e sopportato per lei, rivendicando quel terrificante viaggio fra le glorie della sua famiglia.
In tutti i casi è stata una scena molto commovente e sono convinta che parteciparci ha fatto di me una persona migliore.
I rapporti con i tre Viaggiatori sono cambiati: adesso, quando ci incontriamo, ci facciamo grandi feste e ci salutiamo come vecchi amici che hanno condiviso, poniamo, l'assedio di Minas Tirith - un'altra cosa che non mi era mai successa.
*infatti noi fiorentini godiamo dell'immotivata reputazione di non essere accoglienti ; ma si tratta solo di biechi pregiudizi, perché una volta che ci siamo abituati agli estranei (il che avviene immancabilmente entro dieci-quindici, massimo venti anni) poi smettiamo di far finta che siano trasparenti e arriviamo perfino a invitarli a casa nostra a cena o per il tè.
**Come mai ha viaggiato da clandestina, se veniva per cause mediche? Non ne ho la minima idea e mi sono ben guardata dal fare domande in proposito.
***Traendone comunque il suo bravo tornaconto. Ma questa è un'altra storia.
**Come mai ha viaggiato da clandestina, se veniva per cause mediche? Non ne ho la minima idea e mi sono ben guardata dal fare domande in proposito.
***Traendone comunque il suo bravo tornaconto. Ma questa è un'altra storia.
Bello, mi sono commossa anch'io. Anche noi abbiamo in classe i nostri bravi amici - ci sono quelli che vengono da sud, quelli che vengono da est, ma ci sono voluti anni per chiedere le storie, uno ha sempre un po' di pudore (forse è solo la consapevolezza che siamo stati più fortunati, e non per meriti speciali).
RispondiEliminabellissimo.
RispondiEliminaE' quel che dicevo a chi criticava, quest'anno, la prima traccia della prova di italiano dell'esame di stato: "va bene, invece, eccome se va bene - ché il 25% dei ragazzi quelle frontiere le ha provate su di sé".
RispondiEliminaBella la scansione alla Cuore!
@LGO:
RispondiEliminaah, io non chiedo mai, per principio, a nessuno. Già si fanno abbastanza gaffe anche senza chiedere, perché proprio a tutto a tutto non riesce mai a pensare. Ma almeno evitare la classica scena "Ha figli?" "Sono arsi vivi stamani"...
@la povna
La scansione alla Cuore è un'idea di LaNoisette. Purtroppo difficilmente continuerà, perché non è facile avere il materiale giusto (...meglio così!). Per questi due mesi però le circostanze mi hanno aiutato ^__^
Ricordo bene quell'altro post, ma rivendico, all'epoca (cronologia dei commenti alla mano), la quasi-primogenitura!
RispondiEliminala povna:
RispondiEliminaAssolutamente, la primogenitura ti soetta di diritto. E nessun piatto di lenticchie te la toglierà :)