sabato 5 gennaio 2013

I miei insegnanti - la prof. Della Gherardesca


Maat, la dea egiziana della giustizia (più esattamente quella che sovrintendeva all'ordine cosmico)

La prof. Della Gherardesca insegnava greco e latino al triennio ed era una delle istituzioni della nostra sezione di liceo. Aveva reputazione di insegnante severa, gelida e distaccata, di quelle che entrano in classe precedute dal soffio del ghiaccio secco, ma i nostri colleghi dell'ultimo anno ci rassicurarono assicurandoci che si trattava di una persona affidabile ed equilibrata, anche se un po' fredda.
Tuttavia, dopo un'iniziale periodo di cauta osservazione, trovammo che non era nemmeno particolarmente fredda, e che ci stavamo volentieri: un po' distaccata, forse, ma cortese, con il dono di una garbata ironia che apprezzammo molto.
Era una donna non più giovanissima (un po' sopra i quaranta, calcolammo) ma ben tenuta, di bel personale e molto elegante - particolarmente apprezzati da noi ragazze furono una serie di chemisier a fiorellini ma in generale il suo abbigliamento era sempre molto curato, come il trucco. Elegante ma non appariscente.
Era un'insegnante molto ben preparata e piuttosto esigente. Non faceva sconti o regali a nessuno, e certo non si poteva definire larga di voti (ma nemmeno troppo stretta) però nelle sue valutazioni non c'era mai traccia di accanimento o  di parzialità, e non faceva mai il processo alle intenzioni; ad esempio l'unica volta in cui accusò (del tutto a ragione) una ragazza di copiare, davanti ai suoi timidi tentativi di negazione elencò nel dettaglio le circostanze, prove e controprove da lei accumulate nel corso di non meno di tre mesi e svariati scritti, dimostrando così che l'accusa era il risultato di un lungo lavoro e non frutto di un sospetto momentaneo, e lo fece in modo molto preciso e cortese.
Le sue correzioni ai margini delle versioni apparivano sensate, le sue lezioni erano chiare e ben strutturate, le sue domande pertinenti e se avevi studiato sapevi cosa rispondere. Usava insomma un metodo molto tradizionale ed equilibrato, e i suoi criteri di valutazione, per quanto non dichiarati, erano palesi. 
Richiesta del perché non facesse interrogazioni programmate, rispose che con materie come il greco e il latino l'esercizio era essenziale, e che quindi dovevamo studiare sempre, e non una volta ogni tanto.  Era un criterio semplice, magari banale, ma scoprii che funzionava. Moralmente costretta a dare sempre e comunque un'occhiata alla lezione, con lo scorrere dei mesi il mio latino fece notevoli progressi e il mio greco cominciò ad acquistare una parvenza di vita. Alla fine dell'anno i miei scritti di latino erano ampiamente sufficienti, e quelli di greco varcarono trionfalmente la media del cinque (un grande traguardo, per me). Scoprii così che lo studio era una cosa che richiedeva allenamento, né più né meno della preparazione atletica.
Mi specializzai in interrogazioni su Virgilio (all'ultima, l'ultima ora dell'ultimo giorno di scuola dell'anno, presi un pingue 7/8). Aveva scelto un testo con un eccellente commento di La Penna, di cui imparai financo le note delle note. La scansione metrica, appiccicata inizialmente con grande fatica ai primi esametri, diventò un raffinato piacere e mi divertivo a preparare la lettura di ogni brano ripetendola più volte ad alta voce fino a farne una bella lettura fluente ed espressiva. Livio mi riusciva più ostico e le versioni non tornavano mai a dovere se non dopo un accurato controllo comparato con qualcuna delle compagne più brave, ma col tempo e la pazienza imparai ad arrangiarmi.
A fine anno venni rimandata a greco ma, dopo un paziente lavoro estivo, riuscii a fare un'interrogazione quasi rispettabile su Omero, avendo avuto anche la buona sorte di essere interrogata sull'incontro tra Achille e Ulisse negli inferi, che era uno dei pochi passi che ero riuscita a preparare fino in fondo. Il fatto che mi fossi letta tanti testi latini e greci (in italiano!) mi era sempre di grande aiuto, quando ero interrogata sugli autori.

Approdai in seconda liceo molto fiduciosa di poter puntare a più alte vette nelle sue materie (ad esempio passare a giugno in greco con la sufficienza piena), ma purtroppo l'anno iniziò con una doccia fredda.
C'erano i tagli alla scuola (ebbene sì, anche alla fine degli anni '70 c'era la deplorevole abitudine di fare dei periodici tagli alla scuola). Qualche sconsiderato aveva deciso di ridurre il numero delle cattedre e nel nostro liceo vennero accorpate due seconde - rese accorpabili dal fatto che al ginnasio i loro insegnanti le avevano falciate col machete, o forse sarebbe più appropriato dire con la mitragliatrice, e dunque doppiamente sfigate. Di conseguenza saltò una cattedra e la prof. Della Gherardesca, che era la più giovane del lotto (il nostro non era un liceo di professori eccezionalmente giovani, in verità) si ritrovò costretta ad emigrare al biennio, al quale tutti davamo per scontato che non fosse adatta, ma dove avrà certo fatto minor danno di quelle due invasate che avevano massacrato le due classi a suo tempo.
Il liceo si mobilitò: le due seconde, che volevano restare separate e ognuna con i suoi propri insegnanti, organizzarono un'assemblea straordinaria e poi un attivo (una forma di protesta simile all'odierna occupazione, ma che riguardava solo le ore scolastiche), mentre noi e i nostri genitori firmammo umili e accorate petizioni per la Preside e per il Provveditorato; venne persino tentato un piccolo colpo di mano sulla scorta di conoscenze e appoggi. Ovviamente non cavammo un ragno dal buco perché certi meccanismi, una volta avviati, non li ferma più nemmeno Domineddio e non era possibile aggirare le graduatorie.
L'ultimo capitolo della vicenda vide convocate in Presidenza una piccola rappresentanza della nostra classe: la Preside, da sempre fedele al detto che esorta ad essere debole davanti ai forti e forte con i deboli, ci rimproverò di esserci impicciati di cose che non eravamo in grado di giudicare. Pur consapevole che era del tutto inutile, sfoderai non so quale antipatica risposta (che mi valse un rimprovero supplementare) ma in cuor mio pensai che quel che avevamo fatto avrebbe in caso meritato qualche parola di apprezzamento, dal momento che a muoverci era stato il desiderio di conseguire una buona e solida preparazione, come sapevamo che la prof. Della Gherardesca ci avrebbe impartito, e di tutelare il nostro diritto alla continuità didattica.
Assai più civilmente, la prof. Della Gherardesca trovò modo di far sapere a noi e alle nostre famiglie che era rimasta commossa dal nostro gesto e dispiaciuta per le rimostranze della Preside.
A malincuore ci adattammo alla situazione, anche perché non c'era modo di fare diversamente - ma invero, durante l'anno, occasioni di rimpiangere l'accaduto con la Picchia non ne mancarono.

Quando, molti anni dopo, sono finita in cattedra, mi sono ritrovata quasi senza accorgermene a usare la prof. Della Gherardesca come punto di riferimento. Non avrei mai osato prendere ad esempio la prof. De Divinis, davvero troppo in alto per me, ma alla prof. Della Gherardesca forse potevo avvicinarmi - tra l'altro mi sentivo abbastanza simile a lei per carattere.
Non ho il suo modo di fare elegante e felpato - e non so nemmeno se sarebbe il più adatto alle medie, dove anzi un tocco di stravaganza è assai gradito agli alunni e il rapporto deve essere più caldo; ma come lei non parlo mai della mia vita personale e come lei cerco di mantenere un certo garbato distacco, perché io sono l'insegnante e loro gli alunni e il legame cerco di crearlo soprattutto con il lavoro che facciamo insieme. 
E in linea di massima evito le interrogazioni programmate perché, come non manco mai di spiegare, l'esercizio è essenziale. 

8 commenti:

  1. Il ritratto di una professionista.
    Punto.
    Concordo su tutto: metodo, comportamento, atteggiamento.

    RispondiElimina
  2. ...ma ho un grave difetto/vizio:l'iracondia. Che con il tempo sto tentando di spegnere. Un passo l'anno.

    RispondiElimina
  3. La prof. Della Gherardesca sarebbe commossa se potesse leggere questo suo ritratto.
    E' bello quando si hanno ricordi così positivi dei 'passati' insegnanti...

    RispondiElimina
  4. Bellissimo ritratto. E bellissimi gli chemisiers, che ho amato follemente in gioventù!

    RispondiElimina
  5. oh, non credo che tu sia così distante dalla prof. Della Gherardesca, e nemmeno dalla prof. De Divinis ;-)
    Anche se non siete riusciti a farla restare, il vostro gesto è sicuramente stato molto importante, soparattutto - ma non solo - per lei ;-)

    www.wolfghost.com

    RispondiElimina
  6. @Mel:
    da un carattere collerico si può guarire, come viene spiegato in lungo e in largo in Piccole Donne :)
    Dal canto mio ho la fortuna di arrabbiarmi, sì, ma quasi mai con i ragazzi - e dunque è molto più facile.

    @Cauty:
    sì, è bello. Ma ho scoperto che è mooolto più difficile scrivere sui professori che si sono amati... si sa che tagliare i panni agli altri è molto più semplice.

    @ 'povna
    Ripensandoci, sospetto che fossero fatti con quelle deliziose stoffine inglesi a fiori, care assaettate ma taaaanto carine... :)

    @ Wolf
    Sì, solo scrivendo il post (non ripensavo a quella storia da molto tempo) mi sono accorta, ora che insegno, di cosa può aver voluto dire per lei. Il bello è che ci venne del tutto spontaneo :)

    RispondiElimina
  7. Un sano distacco non implica necessariamente una mancanza di interesse e di coinvolgimento affettivo, da parte di alcuni insegnanti delle medie e delle superiori, anzi, credo che dia ai ragazzi il senso della misura e dei confini. Ma non ti nascondo che un pizzico di stravaganza e di calore(e non solo alle medie) piace anche a noi genitori. :)

    RispondiElimina
  8. L'affidabilità è importante. Meglio un insegnante severo e gelido ma affidabile che un subdolo compagnone. Non sempre gli studenti se ne accorgono, però. E morte alle interrogazioni programmate :-)

    RispondiElimina