venerdì 23 novembre 2012
Uno studio in rosso - sir Arthur Conan Doyle
Il 1887 è la data della prima apparizione in pubblico del grande Sherlock Holmes.
Per presentarlo Conan Doyle scelse la forma del romanzo, che non gli venne neanche molto bene.
Il pubblico non si entusiasmò più di tanto. Solo tre anni dopo, con la pubblicazione quasi casuale del secondo romanzo Il segno dei quattro, arrivò il successo e la leggenda di Holmes cominciò a imporsi. Per fortuna negli anni successivi Conan Doyle si dedicò soprattutto ai racconti brevi, dove Holmes funzionava molto meglio.
Dunque quello davanti a cui qualsiasi holmesiano si inchina con reverenza come alla noce d'oro che racchiude in sé il più dolce dei gherigli, ovvero tutte le future avventure di Sherlock Holmes, avrebbe potuto essere la sua unica e ben presto dimenticata apparizione. Orribile a pensarci.
Eppure Holmes non nasce come un personaggio abbozzato e in via di assestamento: come è nel primo libro, così resta fino alla sua prima morte e anche oltre; ed è un grande personaggio, di quelli che ti riempiono la stanza e la pagina: assai deduttivo, si capisce, ma anche sarcastico, brillante, stravagante, egocentrico, pigro, suscettibile, perfezionista, assolutamente insopportabile con gli ispettori di Scotland Yard (che non lo strozzano a mani nude solo e soltanto perché, per quanto insopportabile, gli fa la parte più difficile del lavoro senza pretendere ricompensa alcuna), immerso in strani esperimenti di chimica o perso in interminabili sedute col suo violino, avvolto in una perenne nuvola di fumo, assorto nella beatifica contemplazione di un sentiero infangato percorso da una carrozza e da due serie di impronte di cui saprà decrivere gli autori financo nel colorito e nelle preferenze politiche e musicali... Perfino la cocaina fa una fuggevole comparsa, come un lieve tocco d'ala, quando Watson lo vede così assente da essere quasi sfiorato dal sospetto che prenda qualche droga*.
Il personaggio cattura l'attenzione, ma farlo lavorare in un romanzo ha i suoi inconvenienti: il Nostro, infatti, ha la deplorevole tendenza a capire chi è il colpevole e come ha fatto a colpire già dopo mezz'ora di indagine. Nei racconti questo va benissimo e lascia il lettore colmo di reverente ammirazione, ma in un romanzo è un bell'intralcio, perché le pagine vanno pur riempite in qualche modo.
Così Doyle elaborò una struttura, non tanto insolita per l'epoca, e con quella si barcamenò in tre romanzi su quattro (Il mastino dei Baskerville è un caso a sé. Un bellissimo caso a sé): si comincia con una introduzione dove Holmes fa qualche gioco di destrezza con tanto di Prodigiose Deduzioni con in più qualche considerazione personale sul pensiero, la mente dell'uomo, la concatenazione degli eventi eccetera (a distanza di più di cento anni, sono sempre interessanti da leggere, e ogni holmesiano è perfettamente in grado di ripeterle a memoria anche all'indietro a semplice richiesta).
Arrivano il cliente o l'ispettore di Scotland Yard con il Caso. Holmes va, esamina il Caso e nel giro di poche pagine comprende chi è il colpevole e come ha fatto ad agire. A quel punto cerca di rintracciarlo (mentre gli ispettori di Scotland Yard si sperdono su piste del tutto improponibili cui restano saldamente attaccati nonostante i garbati tentativi di Holmes di richiamarli all'evidenza dei fatti).
Qualche capitolo se ne va per star dietro a un intralcio particolarmente intralcioso, che blocca Holmes ma annoia discreatamente anche il lettore. Infine gli ispettori di Scotland Yard, molto soddisfatti di sé, sfoderano con fare trionfante soluzioni assai macchinose e con più buchi di un groviera. Holmes li ascolta benevolo, poi schiocca le dita e tira fuori da un cassettino il colpevole vero, che risulta colto di sorpresa esattamente come Watson e i poliziotti. La seconda parte del romanzo comprende un fluviale racconto dell'antefatto del delitto, ormai vecchio di decenni (storie anche avvincenti, a modo loro, ma del tutto prive della sia pur minima traccia di Holmes) più un breve sunto fatto da Holmes medesimo delle sue deduzioni, mentre il lettore gode voluttuosamente vedendo i funzionari di polizia fare una volta di più la figura di perfetti idioti.
Son libri che scorrono bene, e qualsiasi appassionato del periodo vittoriano li legge volentieri. Sul piano strettamente holmesiano presentano però un difetto: non c'è molto Holmes.
In Uno studio in rosso (titolo assai suggestivo) assistiamo ad un duplice omicidio che vendica un torto avvenuto in un altro tempo e in un altro spazio. Dell'antefatto Holmes non sa niente, e le sue deduzioni partono da indizi concreti: impronte nel fango, cenere di sigarette, larghezza del passo di una carrozza, andirivieni di cavalli... Catturato l'assassino, il compito di raccontare la storia passata se lo prende l'Autore Onnisciente. Il resto della narrazione è invece affidato al dottor Watson, stimabile cittadino britannico che con grande serenità ed equilibrio ha accettato per decenni di fare la parte del cronista imbecille (in realtà non è affatto un imbecille, bensì una degna persona assai provvista di buonsenso ma che di mestiere fa il medico e non il genio deduttivo). Qui, alla sua prima apparizione, Watson è un po' più malandato e di abitudini più irregolari di quanto sarà in seguito, ma è ancora in convalescenza per vari malanni di guerra. I due formano sin dall'inizio un'ottima coppia, dove Holmes fa quel che gli pare e Watson si adegua senza batter ciglio, purché gli venga garantito il suo posto in prima fila per lo spettacolo, con o senza popcorn; non prende mai appunti, ma di ogni caso è in grado di stilare un bel resoconto preciso, di cui Holmes non manca mai di rinfacciargli (con palese malafede) un eccesso di sensazionalismo.
Il romanzo infatti si chiude con la promessa di Watson di scrivere un accurato resoconto - proposito a cui manterrà fede per la gioia di noi lettori.
A Sherlock Holmes il mio cuore si è legato indissolubilmente da quando avevo tredici anni. E' per me un onore dedicargli questo Venerdì del libro di Homemademamma.
*Mancano, e mancheranno sempre nel canone scritto, il tradizionale impermeabile giallo e il berretto a scacchi, insieme al celebre "Elementare, mio caro Watson". Ma queste son cose che qualsiasi holmesiano, per quanto minimale, sa benissimo.
Ciao,
RispondiEliminaa me invece Holmes non va proprio...
:\
Ne ho letto alcuni, ma proprio non riesco a farmelo piacere e finisco col fare il tifo per il cattivo...
Preferisco i baffi impomatati di Poirot.
:D
Bello il tuo blog,
verrò a trovarti, qualche volta.
:)
Buona lettura
Barbara
Grandissimo Holmes e il metodo deduttivo!
RispondiEliminaC'è un libro di Julian Barnes, Arthur e George, che ha per protagonista proprio Conan Doyle, che, per gli appassionati di Homes, vale davvero la pena!
RispondiEliminaPrendo nota.
RispondiEliminaCiao e grazie...
@Barbara
RispondiEliminaBenvenuta ^__^
Io a Poirot mi sono adattata col tempo e la pazienza... i romanzi mi piacciono, ma lui non mi ha mai convinto molto.
Tutt'altra cosa con Miss Marple.
@ Aice
...perché chi è hiolmesiano SA... ^__^
@ ' povna
Trovato in biblioteca e appuntato. Grazie ^__^
@ Cauty
Grazie a te, e buon lavoro dove sei adesso ^__^
Io ho letto tutti i romanzi con protagonista il mitico Holmes!
RispondiElimina"Uno studio in rosso" mi è piaciuto, ma amo molto anche La Valle della Paura e infatti ne ho parlato in un venerdì del libro di un pò di tempo fa.
Ciao, buona settimana!
Ma me lo cerco subito, grazie ^__^
RispondiEliminahai uno splendido e personalissimo modo di trattare i personaggi di cui racconti -e questo lo avevo già notato nei tuoi (ottimi) post tolkieniani-, mettendone in luce le ombre (ci è scappato il gioco di parole, scusa) ed esaltandone difetti e manie, senza starti a sbrodolare (come invece faccio io) solo sugli aspetti più luminosi o sulle virtù.
RispondiEliminaMi piace.
:)
Grazie, Linda. Ma considera che, per un buon holmesiano, anche i Suoi difetti sono pregi, e dei più luminosi ^__^
RispondiEliminaLo conosco di fama, non per averlo letto...
RispondiElimina@Stefania
RispondiEliminaPer molti è così. Eppure Holmes è entrato così profondamente a far parte della nostra cultura che, anche se non l'hai letto, lo conosci abbastanza bene - e quando, caso mai, ti ritrovi a leggerlo, non trovi grosse sorprese.