domenica 20 marzo 2011

Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi


La vera bandiera per la ricorrenza di quest'anno è quella dei Savoia, con la sua brava corona

E così l'Unità d'Italia compie 150 anni - ancora giovane, come ha osservato Benigni, quasi una bambina. Per i confini in cui sono nata e cresciuta invece mancano ancora 44 anni per il centesimo compleanno.
Sono contenta di essere nata italiana?
Sì, certo; ma probabilmente sarei contenta anche di essere nata in Inghilterra, in Turchia o dove altrimenti mi fosse capitato: il paese in cui siamo nati e cresciuti ha sempre ai nostri occhi un pregio speciale, anche e soprattutto quando ce ne lamentiamo. E sono contenta anche di essere nata in Toscana, che prima dell'unità d'Italia è stato il primo stato europeo ad abolire la pena di morte, e a Firenze che è stato il comune che inventò la Misericordia (il servizio gratuito di trasporto per infermi, non il pugnale). Il retaggio dell'impero romano invece non mi ha mai entusiasmato, probabilmente per colpa della retorica fascista.
I toscani hanno anche inventato la lingua che l'Italia si diede, grazie (anche, ma non soltanto)* ad alcuni eccellenti scrittori di prosa e poesia - Dante e Boccaccio, tanto per fare due nomi.
La Toscana non diede un contributo imperdibile al Risorgimento. A semplice richiesta, i sudditi del granducato si dissero sempre disponibili a far parte dell'Italia unita, ma i nostri moti risorgimentali sono sempre nati di riflesso e le figure determinanti del Risorgimento non sono nate qui; però ci siamo uniti volentieri al nuovo stato - se era per noi, ci saremmo uniti già nel 1848 - e mai ci siamo dissociati. Negli anni 80 del secolo scorso molte automobili indossavano l'adesivo del Granducato, ma non mi ricordo che a nessuno sia mai venuto in mente non dico di scendere in piazza, ma nemmeno di avviare la fondazione di un movimento federalista. Eravamo toscani perché così capitava, ma la cosa non contrastava minimamente col fatto di essere prima di tutto italiani.
Il Risorgimento italiano l'hanno fatto, voluto e costruito nell'Italia settentrionale, con qualche aiuto dall'estero. L'idea nacque e si affermò con l'arrivo delle truppe francesi guidate da Napoleone. Alcuni dei nostri stati vennero unificati a forza e senza grosse resistenze locali (d'accordo, le truppe francesi le guidava Napoleone, che già allora aveva l'abitudine di vincere sempre e comunque; sta di fatto che l'unico a opporsi fu l'esercito austriaco, gli italiani si misero alla finestra col sacchetto di pop-corn e lasciarono fare) e il risultato piacque all'italica stirpe. Fu una botta di vita con qualche inconveniente: i francesi ci portarono il vento della modernità, ma in cambio si presero un bel po' di tributi, davvero un bel po'. Comunque i piccoli staterelli di provincia si ritrovarono improvvisamente immersi nel flusso della storia internazionale, e gli piacque. Quando Napoleone andò via l'idea di riunire l'Italia rimase..
Nel frattempo era diventata di moda lo stato autonomo. Anche noi potevamo diventare uno stato autonomo, e anche unito. Anzi, dovevamo diventarlo. Perché in cuor nostro lo eravamo, e perché nel nuovo mondo che si stava costruendo sulle ceneri dell'ancient regime i nostri starerelli mignon erano piccoli e asfittici e, dopo trecento e passa anni, ci eravamo stufati di avere tra i piedi dominazioni straniere. Perché non smetterla, una buona volta, con tutti quegli eserciti stranieri che andavano e venivano da casa nostra appena gliene pungeva vaghezza?
In tutta Europa le dominazioni straniere erano ormai viste con una certa esasperazione. Ognuno voleva diventare padrone a casa sua - non necessariamente per andare a rompere le scatole a nessuno, ma per il piacere di farsi la sua vita e la sua politica in autonomia. Ci era presa così. E ci era presa così anche perché, sul modello di Napoleone, chiunque fosse padrone in casa d'altri si era messo in testa un sacco di idee sullo stato accentrato che agli accentrati non piacevano neanche un po'. Prima, chi conquistava un paese gli lasciava grossi margini di autonomia purché pagasse i tributi - chi fece diversamente, come gli spagnoli nelle Fiande, non se ne trovò affatto bene.
Non c'era un disegno precostituito, anche se a posteriori la propaganda lavorò per dare l'idea che le cose non avrebbero potuto andare in nessun altro modo. In realtà potevano andare in decine di altri modi, ma qualcosa con quel collage di piccoli stati andava comunque fatta - in quella posizione e in quelle condizioni quel collage non aveva molto senso. Svariati stati ne convennero e ci diedero una mano.
Una volta sancita l'unità d'Italia qualcuno disse che era il momento di fare gli italiani. Errore: gli italiani c'erano giù. Qualunquisti, lamentosi e vistosamente privi di senso dello stato, assai amanti dell'autoflagellazione** (oppure, per chi preferisce la versione più soft: sensibili, non molto interessati alla politica e con un'indipendenza di spirito innata che non li rendeva inclini a sottostare a troppe regole, disponibili all'autocritica) gli italiani mostrarono quasi subito le loro più profonde caratteristiche comuni.
Lo stato per noi è da sempre qualcosa che è bene cercare di fregare il più possibile a nostro pro. Non mi viene in mente un momento in cui non sia stato così. E non venite a parlarmi degli anni 50 e 60 del dopoguerra. Non eravamo più onesti, semplicemente c'era meno da rubare.

Il grande amore per il particulare ci ha portato a scelte elettorali talvolta piuttosto infelici- e d'altra parte non sta scritto da nessuna parte che la democrazia renda le persone più accorte: ognuno dà quel che ha, e volendo continuare con i luoghi comuni, nessuno riesce ad essere stupido quanto un genio. Gli italiani, si sa, è noto ovunque, sono geniali e creativi. E, nonostante il Culto della Mamma, hanno un gran desiderio di una Figura Paterna (senza però saperla scegliere)***.
Se per la Prima Grande Figura Paterna possiamo incolpare anche il re che ce lo tenne sul collo per vent'anni e passa salvo darsela a gambe quando la situazione diventò troppo pericolosa (e il re, sinceramente, non ce lo siamo scelto se non come forma istituzionale)****, la seconda Figura Paterna è stata scelta e confermata più volte in libere elezioni non esattamente dalla maggioranza ma comunque da una congrua fetta dell'italico elettorato e quindi non rimane che dissociarsi a livello individuale.
Detto per inciso, la Seconda Figura Paterna ha fatto del suo meglio per far passare sotto silenzio l'attuale compleanno della giovane Italia onde non irritare un partito della coalizione di governo che pretende di far risalire i nostri mali attuali proprio all'unificazione del paese.
Ora, tutti siamo buoni a dire e fare sciocchezze, ma tentare di far passare sotto silenzio l'anniversario del paese che stai governando mi è sembrato veramente un pezzo in là.
Comunque, argomenti per rispondere al partito di governo di cui sopra non ne mancano certo - tanto per dirne uno, se il LombardoVeneto fosse rimasto in mano all'Austria, cosa sarebbe successo nel 1918? I nostri anacronistici staterelli sarebbero stati lasciati lì dov'erano, quando i paesi vincitori della prima guerra mondiale avessero ridisegnato la carta d'Europa? La nascita del regno di Iugoslavia spinge a dubitarne assai - e considerando cosa uscì da quelle menti probabilmente obnubilate dall'alcool, tutto sommato direi che è andata meglio così. E comunque, e soprattutto, stato fatto capo ha. Più che recriminare su quel che è successo un secolo e mezzo fa, si potrebbe fare qualcosina per lo stato attuale, oltre a incassare lo stipendio e celebrare improbabili riti celtici alle sorgenti del dio Po (anche se, considerando come lavorano, forse è meglio per tutti se si limitano al finto rito celtico).

Prima ancora di sentirmi italiana lo sono e mi riconosco nel mio paese e nella sua storia, che trovo assai italiana, a partire dalle complesse procedure di unificazione. Mi riconosco in ognuno dei grandi avvenimenti della nostra storia. Mi riconosco nei cosiddetti "briganti" che tentarono la rivolta nel meridione contro le politiche dissennate dei governanti piemontesi, nei governanti piemontesi convinti che avrebbero risolto tutto a spingarde, nei poveri schiacciati dalla tassa sul macinato, nei cattolici impermaliti che rifiutarono di votare contro uno stato sconsacrato, nei manifestanti affamati in piazza (ma NON in chi ordinò agli artiglieri di aprire il fuoco sulla folla), negli interventisti che straparlavano della bellezza della guerra senza averla mai conosciuta se non in letteratura e in chi premeva perché in guerra non si entrasse, nei contadini che gettarono il fucile e abbandonarono l'esercito a Caporetto e negli alpini che resistettero in trincea con una determinazione spesso mortale, nei secessionisti dell'Aventino, in chi accettò di giurare fedeltà al regime fascista pur senza esserne affatto entusiasta perché "si deve pur campare", in chi tentò di salvare l'italico onore dopo l'8 Settembre arruolandosi nella repubblica di Salò e in chi tentò (con più successo, va ben riconosciuto) di salvare l'italico onore andando sui monti a fare il partigiano, come nei moltissimi che non fecero né l'una né l'altra cosa perché "si deve pur cercare di sopravvivere"; nei deputati del PD che protestano, protestano e non cavano un ragno dal buco e nei rifondini che mordono il freno e vorrebbero spaccare tutto ma non lo fanno perché hanno imparato che non è buona educazione farlo. La storia italiana è fatta di eroismi ma anche di molta vigliaccheria, di grandi proclami e di fiumi di luoghi comuni, di giustizialismo spesso temprato da una disastrosa tendenza al lasciar correre*****, di proteste sterili e di mugugni, di un'infinita tendenza alla retorica e di un grande amore per le cause perse che a volte, a sorpresa, si rivelano cause vinte******.

Questo è il retaggio del mio paese, e questo è il mio paese. Un paese diviso e litigioso e permaloso ma saldamente unito dai suoi difetti e dai suoi pregi. Questo è il paese con cui siamo entrati in Europa - entità ancora multiforme e profondamente italiana perché tutt'altro che amalgamata ma pur unita, nelle sue radici, da una storia tutt'altro che uniforme ma che in qualche modo è comune a tutti noi.

*il fiorentino si diffuse anche e soprattutto perché era la lingua dell'economia, come è successo poi per l'inglese.
**come ampiamente dimostrato dal presente post. Perché io sono estremamente italiana.
***e qui verrebbe voglia di dare la colpa al retaggio cattolico; sta di fatto che il retaggio cattolico ce l'hanno anche i francesi, che si sono dimostrati più accorti sotto questo aspetto. Forse perché i francesi temono più di noi il ridicolo? Chissà.
****nessuno sceglie i re che devono ancora venire, si tratta di vincere o perdere alla lotteria genetica, e a quanto sembra noi abbiamo perso.
*****con una singolare capacità nel lasciar correre con le persone sbagliate.
******come ben sanno da sempre i radicali.

10 commenti:

  1. l'ultima nota, sui radicali, è la ciliegina sulla torta di un post geniale! :-)
    Lo sapevi, vero, che la famosa storia del "fare gli italiani" è tutta una Hobsbawniana storia di invenzione della tradizione di Ferdinando Martini, che l'attribuì genialmente a D'Azeglio dopo Adua?! (a dimostrazione di italianità!)?!

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  2. Ma assolutamente no!
    Abboccando cone un'italica carpa, ero convintissima che fosse una frase di Cavour, come mi hanno sempre raccontato.
    Come funziona tutta la storia?

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  3. POst bellissimo. Quasi quasi lo stampo e lo leggo in classe :-)

    (no, no, non Cavour, D'Azeglio, ma anch'io credevo fosse una sua frase; e anch'io chiedo, pigra a cercare altrove: come funziona la storia?)

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  4. Allora, cercando di essere breve. Funziona che D'Azeglio nella Prefazione ai Ricordi scrisse una frase descrittiva (e che andrebbe letta nel contesto di un libretto di quelle -ecento pagine) una frase di segno quasi opposto (cioè priva del tutto di afflato pedagogico) in cui rifletteva sulla differenza tra unione geografica e di popolo. Nel 1896 Ferdinando Martini (che era stato ministro della Pubblica Istruzione e uomo di grande vis pedagogica - è lui per esempio ad aver chiamato un certo Carlo Lorenzini a scrivere a puntate una storiella su un burattino per il Giornale dei bambini) mise in giro dunque questa finta citazione, motto celebre, che rielaborava le riflessioni (pessimistico-descrittive) di D'Azeglio in una direzione simbolico-pedagogica. Di lì poi la frase è passata alla storia come appunto di D'Azeglio o (lectio facilior) di Cavour. C'è un bel libro su questo: http://www.ibs.it/code/9788815038555/fare-gli-italiani.html
    Il concetto di invenzione della tradizione è invece studiato da Hobsbawn qui: http://www.einaudi.it/libri/libro/aa-vv-/l-invenzione-della-tradizione/978880616245

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  5. Grazie, 'Povna. L'invenzione della tradizione avrà il mio scalpo quanto prima - è un tema che adoro ^__^

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  6. sospettavo che potesse essere la tua cup of tea... (e poi Hobsbawn è davvero bravo!) :-)

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  7. Il post mi e' piaciuto molto e me lo sono davvero gustato ;-) Al di la' delle convinzioni politiche che ciascuno ha, che possono piu' o meno essere concordi o divergere, e' scritto molto bene, scorrevole, e con una nozione storica precisa e interessante ;-)

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  8. @wolfghost affermare che la Toscana non diede un contributo imperdibile e cioè trascurando Curtatone e Montanara o piuttosto il barone Ricasoli (ma anche lo stesso Fattori, per dire), mi pare nozione interessante sì, precisa un po' meno!

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  9. Non ho detto che la Toscana non ha fatto nulla, Ma, oggettivamente, altre regioni hanno dato di più e hanno preso prima l'iniziativa.

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