giovedì 19 aprile 2018

Della sempre più ramificata cornutaggine dei funzionari INVALSI e delle loro brillanti pensate (post lievissimamente polemico)


Orsù, da dove inizierò dunque a lodare la grandezza e l'incommensurabilità delle lunghe    corna dei funzionari Invalsi, che ogni anno si industriano e si ingegnano a mostrarsi  sempre più per quel che realmente sono, ovvero dei grandissimi cornuti?

La cosa sta diventando difficile, perché ogni anno sfoggio per loro mirabolanti descrizioni, che però si mostrano regolarmente inadeguate e insufficienti già l'anno successivo. Lo splendore, la lunghezza, la bellezza e l'estensione delle loro corna sono ormai note a chiunque frequenti questo blog (e anche, spero, al vicinato dei suddetti funzionari, che mi auguro di cuore abbia parte attiva nel far di loro quei grandissimi cornuti che sono); eppure la mia eloquenza sta esaurendo i suoi poveri mezzi espressivi, mentre la loro cornutaggine riesce ogni anno a toccare nuove e più sublimi vette - probabilmente il motto araldico di costoro è Quondam non ascendebam? - e insomma devo ammettere che sì vasto tema richiederebbe ben altra capacità retorica di quella di cui la natura e i miei modesti studi sono riusciti a dotarmi.

Ma basta con i preamboli e veniamo infine in medias res: quest'anno all'Istituto Invalsi, mentre erano intenti a decorare le loro lunghe e ramose corna con rami di agrifoglio e pungitopo e nastri argentati, i cornutissimi funzionari hanno stabilito che le prove Invalsi per la terza media, ormai non più vincolate all'esame di stato, dovessero venire fatte al computer, in rete.

L'idea, ci tengo a precisare, non è del tutto priva di lati positivi, primo tra tutti quello di sollevare l'insegnante della scuola dal fardello della correzione... nonché dalla tentazione di intervenire per correggere; insomma, dovrebbe ridurre di non poco il cheating e liberarci di un impiccio. Questo aspetto è senz'altro positivo - o meglio, lo sarebbe se non trascurasse alcuni piccoli ma non completamente insignificanti dettagli: per esempio che la situazione informatica di molte scuole non è del tutto ottimale (sì, insomma, spesso fa schifo al cesso): per quanto il mondo sia pieno di fibre ottiche, bande larghe e connessioni satellitari, molte scuole continuano ad arrangiarsi con una tradizionale connessione a criceti che un giorno va maluccio e l'altra pure, probabilmente perché nessuni si preoccupa di fornire granaglie di adeguata qualità a queste simpatiche quanto utili bestiole. E non tutte le scuole, ahimé, dispongono di attrezzature informatiche di primissima qualità. Insomma, visto dall'esterno il passo sembrava decisamente prematuro e ricordava vagamente quei genitori che cercano libri su Platone per bambini di tre anni  (pare che esistano davvero).

Sotto questo aspetto comunque alle medie di St. Mary Mead non siamo più messi così male: negli ultimi anni un insieme di lotterie, Comitati dei Genitori onnipresenti peggio del prezzemolo, raccolte punti di vari supermercati e progetti nazionali ed europei ha operato un netto miglioramento dell'insieme, e ormai da quasi un mese ogni classe è dotata di una LIM funzionante, supportata da un computer altrettanto funzionante - ma soprattutto la scuola ha inaugurato un Grandioso Laboratorio Informatico (che ha cominciato a perdere quasi subito pezzi, come capita spesso in questi casi). E no, non abbiamo ancora l'aula video ma questi son dettagli.

Così, posti innanzi al duro cimento, i due addetti all'informatica han tenuto consulto.
Quanti alunni ha la Terza più numerosa?
Ventitré.
Ce le abbiamo, ventitré postazioni informatiche di attendibile funzionamento nel Laboratorio?
Col cavolo.
Ma POTREMMO avercele, staccando computer alle classi e alle varie postazioni sparse?
Forse. È possibile. Potremmo. Potrebbimo.
E la rete è in grado di reggere ventitré collegamenti in contemporanea più quelli delle classi?
Mmmhh, tutto può essere, ma sarebbe meglio non rischiare. 
E la finestra di apertura delle credenziali (ovvero i giorni in cui dall'INVALSI si degnano di faci accedere al loro cazzo di prove come se fosse chissà qual grande degnazione, ci lascia un margine in caso di problemi tecnici?
Poco.
E dunque cosa conviene fare?
Staccare la rete a tutta la scuola, Laboratorio escluso, e chiedere a chi è credente di pregare con gran fervore.

E così è stato: con infinito impazzamento collettivo e gran rutilare di sostituzioni è stato alfine preparato un calendario dove ogni giorno le tre terze affrontavano una data prova Invalsi e in quei giorni tutta la scuola è stata severamente diffidata dall'usare qualsivoglia strumento informatico, e in quei giorni tutta la scuola ha trattenuto il respiro e chi era credente ha pregato.
Naturalmente un paio di computer del laboratorio hanno dato forfait all'ultimo momento     (ma erano stati preparati dei rimpiazzi di emergenza) e la linea ha tenuto (mentre a Crifosso, dove tutti sono tanto ganzi, il collegamento proprio quel giorno ha deciso di prendersi un po' di meritato riposo rendendo impossibile ogni lavoro Invalsico) e le prove di Italiano sono scivolate via senza colpo ferire.
Tutto è scivolato via abbastanza bene anche il secondo giorno, con le prove di Matematica.
E tutto è andato male il Terzo Giorno, quello delle temutissime prove di Inglese, che le classi dovevano affrontare in due diverse metà e in due separate prove: Lettura e Ascolto, la seconda delle quali creata, immagino, al solo ed esclusivo scopo di facilitare l'impazzamento collettivo: perché quando mai, agli esami, era stata chiesta una prova di ascolto? Ed era davvero così indispensabile chiederla proprio quest'anno, non parendo ai nostri Cornuti prediletti di aver messo sufficiente carne a rosolare sulla griglia delle sventurate scuole? 
Lettura in verità è scivolata senza colpo ferire, e la parte della Terza che mi era stata affidata sembrava assai placida e racconfortata. Ma, arrivati all'Ascolto, una volta infilate le cuffie, sono sorti due problemi di non scarsa entità:
1) Il suono arrivava a volume molto basso, e spesso sovrapposto a una seconda voce
2) La domanda si chiudeva da sola, quando le pareva, senza che l'alunno avesse segnalato di aver completato la risposta.
Il n. 2  se non altro ci ha dispensato da qualsivoglia questione sul supplemento di tempo da concedere ai DSA: perché anche loro, come tutti, hanno avuto il piacere di eseguire in circa venticinque minuti una prova per cui ne erano previsti quarantacinque (sessanta per i DSA). 
È stato dunque un gruppo di ragazzi assai contrariato, innervosito e irritato quel che ho ricondotto in classe al "termine" della prova, e gli altri gruppi che si sono avvicendati durante la mattinata non hanno avuto maggior fortuna.
A questo punto si è scoperto che raggiungere il cornutissimo Istituto Invalsi per segnalargli "Houston, abbiamo avuto un problema" era praticamente impossibile: non era stato infatti previsto un sistema di contatto diretto in caso di problemi - molto giustamente, vien da pensare, perché è chiaro che se fai le cose à la cazze du chien, c'è pure il rischio che te lo intasino, il contatto, obbligandoti con ciò a sottrarre tempo prezioso ad attività più importanti, come per esempio lucidarsi adeguatamente i lunghi palchi di corna con l'olio di mandorla o di camelia. 

Nonostante tutto però gli indefessi sforzi della nostra Preside, non disgiunti dalle insistenze dei due addetti informatici, sono infine riusciti a raggiungere l'Istituto Invalsi, dove nel giro di una sola settimana ci hanno garantito una nuova finestra (al momento in corso) dove gli sventurati alunni, a gruppi di quattro e di cinque (caso mai nin si fosse già perso tempo a sufficienza con questo cazzo di prove) potranno, nel giro di circa cinque giorni, svolgere nuovamente la loro prova di Ascolto, si spera con miglior frutto.


E dunque, volendo tirare le somme di questo primo, cornutissimo esperimento, mi sento senz'altro in diritto di affermare che detto esperimento presenta senz'altro un buon margine di miglioramento e che forse, tra un cornetto e l'altro, all'Istituto Invalsi avrebbero fatto bene a ricordare la celebre risposta che si narra Lazzaro, richiesto da Gesù di alzarsi e camminare, abbia dato:
"Oh biondino, una cosa per volta e 'per favore'!"
Perché, forse, svegliarsi una mattina e stabilire d'ufficio che dall'oggi al domani siamo diventati una nazione ben informatizzata e mirabilmente collegata con la Grande Rete è cosa che solo dei grandissimi cornuti possono fare.

Dedico dunque ai funzionari Invalsi - che, come mi sembra di avere più volte ribadito, sono tutti senza eccezione alcuna dei grandissimi cornuti, questa splendida aria dal Falstaff dove il tema delle corna è sviluppato con adeguata grandiosità:

venerdì 13 aprile 2018

Poirot sul Nilo - Agatha Christie

N.B. Può contenere spoiler. O no, a seconda di come capita. 
Con questo post inauguro una serie di recensioni dei miei romanzi preferiti di Agatha Christie - non necessariamente i migliori, o i più famosi, o quelli universalmente considerati i migliori, ma semplicemente quelli cui mi sento più legata e che rileggo piú volentieri; perché io la Christie la rileggo sempre molto volentieri, ogni volta con la piacevole sensazione di passare una serata con dei vecchi e cari amici: e in fondo il suo mondo è casa mia da quando ero ancora una ragazzina che frequentava le scuole medie.

Il primo di questi romanzi prediletti è Poirot sul Nilo (Death on Nile, nel titolo originale), pubblicato nel 1937. All'epoca Agatha Christie era già molto famosa, aveva scritto diversi dei suoi romanzi più famosi e si era già felicemente risposata con un archeologo.
Il romanzo si inserisce nel ramo archeologico della sua produzione: durante un viaggio in Egitto una escursione turistica sul Nilo viene funestata prima da un omicidio, poi in rapida sequenza da un secondo e da un terzo, finché Poirot non trova il modo di sbrogliare la matassa; templi e monumenti vari recitano molto dignitosamente la loro parte, pur contribuendo solo con un po' di atmosfera all'insieme.
Siamo anche nel filone "gruppo di passeggeri casualmente riuniti su un determinato mezzo di trasporto, ma non uno solo di loro è esattamente quel che sembra". Beh, un paio a dire il vero lo sono, ma fanno quasi soltanto da riempitivo.
Abbiamo anche un classico caso di Triangolo Mendace, ovvero un triangolo ingannatore perché si tende a guardarlo dal lato sbagliato.
Infine il romanzo rientra anche nella categoria dei Romanzi Tagliati e Censurati: perché per molti, moltissimi anni i lettori italiani lo hanno letto in versione sforbiciata: per qualche deplorevole motivo la Mondadori si era messa in testa che i romanzi di Agatha Christie erano troppo lunghi e ne ha tagliato circa un quinto per farlo rientrare in un determinato numero di pagine, di solito togliendo soprattutto un po' di colore locale - una pessima idea in questo tipo di libri, perché il diavolo, ovvero la soluzione, tende assai a nascondersi nei dettagli, cioè appunto nel colore locale. 
Quanto alla censura... siamo ai tempi del fascismo e i suicidi erano ritenuti altamente sconvenienti. Così, fino all'arrivo della versione filmata il suicidio finale venne ignorato dai lettori italiani e ricordo il commento sdegnato di un recensore del film che lamentava appunto quel suicidio aggiunto arbitrariamente dagli sceneggiatori - che, poverelli, si erano limitati a rispettare la storia originale. Finalmente qualcuno ebbe però l'idea di ritradurre il tutto e il suicidio risultò doverosamente filologico, anche se leggermente alterato nei tempi e nel luogo per esigenze cinematografiche. Nel frattempo comunque eravamo arrivati al 1978.
Il romanzo ha un avvio piuttosto tranquillo, e le vicende sentimentali della bellissima e ricchissima ereditiera americana occupano quasi metà del libro prima che entri in scena il primo cadavere (anche se c'è già stato, poche pagine prima, un colpo di pistola andato solo parzialmente a buon fine). A quel punto l'azione si blocca e partono le indagini, sulla nave immobile in attesa dell'arrivo delle autorità. Poirot e il suo assistente del momento, il colonnello Race (in realtà un Alto Funzionario dei Servizi Segreti a caccia di un pericolosissimo organizzatore di complotti internazionali) riescono comunque a risolvere tutto nel giro di una giornata; la nave può quindi ben presto ripartire, anche se il gruppo di vacanzieri risulterà a quel punto piuttosto sfoltito da varie circostanze. Quelli che sono sopravvissuti e non sono coinvolti in accuse di complotti internazionali, truffa, appropriazione indebita o omicidio plurimo si ritroveranno comunque con una nuova vita davanti, ricca di nuove opportunità - e naturalmente Poirot e il colonnello Race potranno continuare il loro lavoro.

Il film del 1978 vanta un lussuosissimo cast ed è il mio preferito tra quelli tratti dai romanzi della Christie. Peter Ustinov è e rimane il mio Poirot preferito di tutti i tempi, anche se mi hanno spiegato che non si tratta di un Poirot particolarmente fedele - ma questo ai miei occhi è un pregio, perché il personaggio di Poirot non mi ha mai entusiasmato, e dunque meno è filologico e più mi piace.
Tutti recitano molto bene, in particolare i paesaggi e il Nilo, e la versione è quasi perfettamente fedele, anche se la bionda americana diventa bruna e la bruna e ardente Jacqueline è una Mia Farrow assai bionda.
Quanto al bel Simon, era assolutamente perfetto.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti buone letture sotto i ciliegi e gli albicocchi in fiore.

lunedì 9 aprile 2018

Lunedì film - La marcia su Roma

Come si arriva al fascismo? Qual è la strada che porta un popolo pacioso di brava gente verso le squadracce e l'olio di ricino nel giro di quattro anni dalla fine di una guerra vittoriosa dove sì, l'Italia uscì con le ossa rotte ma anche gli altri paesi europei tanto bene non stavano messi, eppure fascisti non diventarono?
Son questioni complicate da spiegare in pochi giorni a una classe di quattordicenni che, per ovvi motivi, un grande background storiografico non ce l'hanno e non possono averlo. Inoltre è facilissimo scivolare nella retorica e nella propaganda - senza contare che anche i migliori e più accurati manuali delle medie più di tante pagine non possono dedicare all'argomento e che in questo periodo il fascismo sembra pure tornato di moda e viene spesso rievocato attribuendogli aspetti e meriti che avrebbero alquanto sorpreso i suoi stessi fondatori.
Per diversi anni il problema sembrava piuttosto datato, e mi sono limitata a raccontare che il fascismo era arrivato, amen, per poi passare ad avvenimenti ben più fascinosi agli occhi degli studenti. Negli ultimi anni però ho cercato di approfondire un po' l'argomento. 
Una buona scorciatoia può essere offerta da questo film che è una brillante commedia all'italiana che, come tutte le commedie all'italiana, contiene una sua bella fetta di humor nero e qualche risvolto altamente drammatico.
La marcia su Roma è un film del 1962, quando le acque sembravano abbastanza calme e il fascismo sembrava una questione legata al passato. Forse. Chissà. 
Regia di Dino Risi, sceneggiatura di gran lusso cui collaborarono tra gli altri Scarpelli e Scola, buon ritmo, ricostruzione storica accurata, niente tagli manichei tra buoni e cattivi anzi una garbata descrizione di come, appunto, si diventava "cattivi": del resto, si sa, gli italiani sono brava gente.
Abbiamo quindi un reduce di guerra assai spiantato e - letteralmente - con le scarpe bucate, che rimedia malamente la giornata scocciando gli ufficiali in congedo e esibendo una falsa medaglia al merito per raccattare elemosine e un contadino assai affezionato alla terra ma che, come tanti all'epoca, di terra non ne ha, e campa più o meno alle spalle della sorella incinta e del marito che non sono affatto entusiasti di averlo tra i piedi. Siamo ancora agli inizi degli inizi e il fascismo si configura ancora come un movimento democratico a fondo socialista che presenta un programma che promette un po' di tutto, dal mare in Lombardia alla leggendaria terra ai contadini. Una buona spaghettata e un piatto di stufato bastano a conquistare i favori del reduce spiantato, la promessa della terra  attira assai l'aspirante contadino (che sarebbe in realtà un democristiano in nuce).
Le prime elezioni però non vanno molto bene e la politica del fascismo cambia, nemmeno troppo lentamente: dai comizi deserti alle Case del Popolo bruciate (di solito senza gente dentro. Di solito) la strada non è molto lunga e passa dal sabotaggio degli scioperi per approdare ai pestaggi e all'olio di ricino in una sequenza ritenuta giustamente memorabile. Si sa, le strade si percorrono facendo un passo per volta ma sono sempre i primi i più lunghi da fare, quando si è preso il ritmo si continua facilmente e ci si abitua facilmente a considerare la violenza un modo come un altro per portare avanti il discorso.

Si arriva così alle adunate che convergono verso Roma, con tanto di blocchi stradali prima ordinati dal potere centrale e poi sciolti per ordine del re - e proprio durante il viaggio a Roma i due protagonisti vengono colti da dubbi crescenti, particolarmente davanti all'uso troppo disinvolto non già del manganello ma della pistola fatto da uno dei capi delle squadracce - e proprio prima di entrare a Roma pianteranno le camicie nere e assisteranno alla marcia in abiti borghesi e una certa, crescente perplessità.
Il film si chiude con un pezzo di filmato storico dove Vittorio Emanuele III assiste all'adunata dal suo balcone e si consulta con l'ammiraglio di Revel per poi decidere che i fascisti sembrano gente seria, proviamoli per qualche mese (il filmato è storico, il doppiaggio aggiunto è uno dei molti tocchi di genio degli sceneggiatori).



Il film non è molto lungo (94 minuti) non ha tempi morti e si snoda con molta chiarezza. Un paio di pause possono rivelarsi necessarie per spiegare ai ragazzi che il fascismo degli inizi aveva effettivamente un programma piuttosto multiforme, ma soprattutto il funzionamento della sequenza sullo sciopero sabotato - un meccanismo per loro abbastanza sconosciuto - e, naturalmente, ogni volta che qualcuno dichiara di non aver capito qualcosa nella trama, perché quello che nel 1962 era conosciutissimo ai più per dei quattordicenni può essere piuttosto misterioso. Nel complesso però se ne esce piuttosto bene e la storia si segue senza molta difficoltà.