mercoledì 27 luglio 2011

Manuale del Perfetto Insegnante - Le compagne di merende

GERARCHIA AZIENDALE

Il fenomeno è anche detto "dei figli e figliastri" ed è piuttosto diffuso, non tanto tuttavia da poter essere considerato una costante fissa della vita scolastica. Non è affatto tipico ed esclusivo della scuola, e la sua presenza o meno, in una scuola come in qualsiasi altro posto di lavoro, dipende esclusivamente dalla Dirigenza.

In sintesi si tratta di un gruppetto di insegnanti* che godono il favore speciale del Dirigente Scolastico, vuoi perché sono riusciti a renderlo loro succube a forza di lusinghe ed abili manovre, vuoi perché sono in grado di favorirlo a loro volta (ad esempio con prestazioni professionali del coniuge, dandogli la possibilità di tenere lezioni universitarie etc.); talvolta, più semplicemente, si è creato un forte legame di solidarietà e amicizia lavorando insieme nel corso degli anni, che è degenerato definitivamente quando una delle future Compagne è diventata Dirigente Scolastico.
Il fenomeno non va confuso con quei privilegi che finiscono spesso per spettare agli insegnanti con maggiore anzianità di servizio in una scuola (un determinato giorno libero, un orario costruito un po' su misura, classi depurate dai casi più spinosi): le Compagne di Merende godono di privilegi più consistenti, ai limiti dell'illecito: l'assegnazione di progetti particolarmente ben retribuiti, settimane di "aggiornamento" in luoghi turistici, diritto all'assenteismo, esenzione dai compiti più noiosi, uso pubblico del cellulare in ore di lezione per i propri affari personali, gestione alquanto sportiva dell'orario, licenza di ritardo perenne etc.

Questi ultimi tre privilegi sono, in certe scuole, estesi liberamente a tutti gli insegnanti che desiderino accedervi (con eventuale eccezione per i precari con situazioni particolarmente scomode, ai quali è chiesto di non derogare di un capellesimo di millimetro dalla più rigorosa osservanza delle regole); si tratta insomma di casi che si creano quando nella Dirigenza c'è un vuoto di potere, cioè il DS non conta o non vuole contare un cazzo e lascia fare a tutti tutto ciò che vogliono, salvo qualche occasionale sfuriata con i precari con i contratti più precariamente precari (i quali precari di solito, soprattutto per mancanza di esperienza e giovinezza estrema, non sanno ancora difendersi e vivono nel terrore di sbagliare qualcosa e fare un errore grave senza accorgersene, e sono quindi facili capri espiatori qualora questi dirigenti desiderino dimostrare "chi è il capo").
A sua volta questo vuoto di potere della Dirigenza è dovuto a mancanza di personalità del DS e soprattutto a menefreghismo completo di costui verso il proprio incarico: in pratica il DS si è assunto la mansione di dirigenza al solo ed esclusivo scopo di incassare lo stipendio, ed è quella l'unica parte del suo lavoro che gli interessa, lasciando in tutto il resto la gestione della scuola a totale disposizione di chiunque desideri assumersela.
In queste scuole di stampo, diciamo così. "anarchico"** nessuno è tenuto ad osservare regole particolarmente tassative, alunni compresi, e il disastro o l'incidente sono regolarmente dietro l'angolo (ma spesso non lo girano, l'angolo, perché c'è un dio anche per i lavativi e gli incoscienti, e pare anzi essere attivissimo, più di tanti suoi colleghi di divinità). In tali circostanze, il gruppo delle Compagne di Merenda si può creare o non creare, e talvolta si crea per semplice inerzia: i privilegi sono spesso spalmati con equità, con una lieve ma non gravissima discriminazione a danno di quei docenti che, in barba agli usi e costumi locali, osservino scrupolosamente gli obblighi sanciti dal contatto nazionale insegnanti. Ci sono addirittura casi in cui il gruppo delle Compagne di Merenda finisce per creare una Dirigenza ufficiosa riducendo al minimo la licenza sul lavoro, con l'unico inconveniente di una certa prepotenza di fondo, dettata dalle simpatie e antipatie che queste Compagne di Merende, come tutti gli esseri umani, hanno.
Là dove, invece, il Gruppo di Compagne di Merende si crea per volontà esplicita della Dirigenza, si possono avere illeciti anche a livello penale, ad esempio nella gestione dei bilanci.

Come può opporsi a questa situazione l'Insegnante Normale, ovvero quella creatura che desideri guadagnarsi lo stipendio onestamente?
La questione è complessa e spesso senza soluzione. Laddove l'Insegnante Normale è precario,vuoi a contratto saltuario, vuoi a contratto annuale, gli conviene mostrarsi cieco, sordo e pure cerebroleso e non dare l'impressione di aver notato nulla di insolito, salvo sfogarsi occasionalmente con i colleghi precari, meglio se fuori dalla scuola e lontano da orecchie indiscrete; nel caso però in cui vengano lesi i suoi diritti contrattuali (ad esempio quando si pretende da lui la frequenza di tutti gli organi collegiali pur avendo costui un contratto a orario ridotto), qualche occasionale visita ai sindacati potrà essergli di grande aiuto. Imbarcarsi in crociate per il ripristino della legalità, sia pure al seguito dei colleghi di ruolo, è rischioso e senza prospettive particolarmente vantaggiose.
(D'altro canto essere precario lo garantisce molto bene in situazioni come quella in cui la Dirigenza gli chiede di alzare i voti agli scrutini o di diminuire i compiti assegnati per casa alle proprie classi: lì basta fregarsene alla grande, eventualmente scegliendo un'altra sede per l'anno successivo, e tenere i registri in ordine, adattandosi eventualmente a qualche sfuriata occasionale che basterà farsi passare sopra, come acqua sulle penne di un'anatra).
Gli insegnanti di ruolo potrebbero invece coordinare un'azione anche molto decisa di opposizione, che potrebbe portare, sia pure sobbarcandosi qualche conflitto aperto e un po' di rogne, a debellare il gruppo delle Compagne di Merende e costringere la Dirigenza ad emigrare verso altri lidi. Tuttavia, stante che la stragrande maggioranza dei docenti di ogni ordine e grado ama assai la lamentela, il mugugno e la maldicenza ma vive nel continuo terrore di uno scontro frontale, sia pure uno scontro contro un blocchetto di gelatina tenuto insieme dalla colla di pesce, molto spesso tale azione concertata non si appalesa nimmanco di lontano.

Sono del tutto sconsigliabili crociate individuali, anche se apparentemente iniziate con l'appoggio di gran parte dei colleghi - appoggio spesso promesso a gran voce in Sala Professori quanto del tutto invisibile al momento opportuno.
A livello individuale è però possibile far capire con garbo alle Compagne di Merende, in modo velato e quasi casuale ma citando all'occorrenza articoli e norme di legge, che questa e quest'altra intromissione non saranno tollerate, ottenendo così una situazione lavorativa decente, almeno a livello individuale.

*va da sé che "compagne di merende" è indeclinabile, e la categoria include insegnanti di ogni sesso (maschi, femmine, neutri, ermafroditi, altri)
**fermo restando che l'uso del termine "anarchia" in questa accezione è del tutto improprio, anche se entrato ormai nell'uso corrente.

domenica 24 luglio 2011

Alle medie è diverso

Il riflesso di un ricordo dell'ombra di una presenza inquieta....

Le medie sono un scuola particolare.
D'accordo, ogni scuola è particolare, così come ogni classe, ogni materia, ogni alunno, ogni insegnante (dove spesso "particolare" sta per "da manicomio").
Ma in mezzo a tanta particolarità, la scuola media è particolare anche nell'ambito scolastico.

Le medie sono la scuola che viene dimenticata. O forse si dovrebbe dire "rimossa"? Tutti la dimenticano, prima di tutto chi l'ha frequentata.
I ricordi della scuola, per esempio: tutti ricordano le elementari o le superiori, a volte perfino l'asilo. Delle medie non parla mai nessuno, nemmeno per dirne male. Si suppone, se ricordi le superiori, che prima delle superiori tu abbia fatto anche le medie, bene o male che sia; ma è una cosa data per sottintesa, non raccontata.
Tutti ricordano i maestri delle elementari o i professori delle superiori, mai quelli delle medie. Eppure, questi "tutti", avranno pur avuto anche loro docenti di italiano, inglese, musica, artistica, bravi o incapaci che fossero.
Non credo sia una specifica antipatia verso di noi - sul piano statistico dovrà pur esserci qualche insegnante accettabile anche alle medie (almeno si spera).

E' che le medie occupano quella fascia d'età che nei ricordi viene rimossa, quando la personalità è in fase magmatica di costruzione. Quello che viene fatto, detto, pensato e vissuto in quegli anni è importantissimo per la vita futura, ma viene continuamente sommerso da nuove ondate e stratificazioni. A quell'età si cambia quasi tutte le settimane, con gran disperazione di genitori, insegnanti e perfino fratelli e amici. Si cambia tanto che nemmeno i nostri amici riescono a starci dietro. E gli stessi amici che la settimana prima erano il centro del nostro mondo, improvvisamente rivelano tutta la loro insulsa insignificanza, laddove chi ci stava più antipatico appare improvvisamente in una luce affascinante.
Si cerca un punto fisso per costruirsi, e se ne provano tanti. Ogni tanto ci si accorge, o si crede di accorgersi, che lì non si può costruire nulla di solido perché, altro che roccia, c'è solo un po' di sabbia. Allora si raccatta tutto e si emigra altrove senza nemmeno salutare, lasciandosi dietro rancori, rimpianti e anche un sollievo inconfessato. Ci si convince facilmente di amare persone che non amiamo affatto, si provano e rifiutano modelli, si macina e tritura di tutto, sputando via gli ossicini. Si provano maschere di tutti i tipi, non tanto o non solo per nascondere qualcosa o per proteggersi, quanto per trovare un punto fermo, una linea da seguire. Se sono Macbeth ucciderò il re, se sono Banquo mi farò uccidere, se sono una strega predirò il futuro. Ma se fossi invece uno spettatore, o un tecnico delle luci, o il regista? E se lavorassi in un altro dramma?

In mezzo a questo turbine perenne, tanto mosso da sembrare fermo, gli insegnanti, che a loro volta hanno vissuto e rimosso quegli strani e faticosissimi anni, si disorientano con facilità, e già comunque li disorienti con poco. Storditi dalle incandescenti onde emotive che vorticano in ogni classe (di cui spesso non sono nemmeno consapevoli) si rifugiano per sopravvivere dietro a poche certezze più o meno quantificabili: la disciplina, la tenuta delle classe, i voti, le presenze. Spesso sono inconsapevoli della loro forza o dell'importanza di quel che fanno, ma anche quando lo sono non fa molta differenza, perché non sono in grado di prevedere l'esito delle loro azioni, nemmeno delle più innocenti o insignificanti. I ragazzi assimilano, macinano e triturano a modo loro, e neanche loro sanno bene come e perché lo fanno - anzi, spesso nemmeno sanno di farlo.

Usciti dalla scuola media, i ragazzi dimenticheranno quasi tutto, istantaneamente, iniziando l'epoca della consapevolezza. Senza dimenticare niente, in realtà.
"Tu resterai una presenza inquieta nel loro subconscio" mi disse un amico quando cominciai a insegnare. Ho sempre pensato che avesse ragione, parlasse o meno sul serio.

Noi siamo quelli che verranno dimenticati, perché lavoriamo negli anni che poi saranno rimossi. Noi siamo quelli che resteranno, Soprattutto sul piano didattico: quel che si è imparato alle medie non si dimentica più. Entra talmente a fondo dentro di noi che non lo vediamo più, ma fa parte di noi, come la trama di un tessuto.

Date più soldi alle scuole medie, e smettete di farneticare di anelli deboli: le medie sono molto, molto importanti.

mercoledì 20 luglio 2011

Manuale del Perfetto Insegnante - Il Bravo Insegnante

              Budda: dopo la sua illuminazione rappresenta un modello piuttosto valido per noi insegnanti.
Certo, sembra che anche lui avesse i suoi difetti....
Che cosa sia esattamente un Bravo Insegnante è questione invero assai complessa. Esistono però un buon numero di qualità su cui tutti concordano e che trovano assolutamente basilari, e possiamo senz'altro partire elencando quelle.
Il Bravo Insegnante deve essere innanzitutto preparatissimo sulla disciplina che insegna, avendone ampia competenza sia sul piano teorico che su quello pratico. La sua non deve essere una conoscenza superficiale e nozionistica della materia, bensì una reale competenza che lo renda profondamente consapevole delle sue più profonde implicazioni; tale competenza è stata acquisita a suo tempo con lunghe ore di studio e di applicazione pratica, ma viene costantemente rinnovellata grazie ad una puntigliosa opera di aggiornamento che gli permette di conoscerne tutti i nuovi sviluppi, e le implicazioni con la società contemporanea in essi impliciti, oltre ai nuovi indirizzi verso cui cotale disciplina si va incamminando, naturalmente inseriti nel vasto quadro dell'evoluzione del pensiero e della cultura mondiali. Tale vasta ma accurata conoscenza gli permette di non lasciare insoddisfatte le legittime curiosità dei suoi allievi e di porsi nei loro confronti come un ineludibile punto di riferimento, riuscendo nel contempo ad indirizzare i più interessati verso gli opportuni approfondimenti.
Il Bravo Insegnante deve poi saper esporre la sua disciplina in modo semplice, efficace e nel contempo preciso, adeguandosi al livello linguistico e didattico dei suoi allievi e avvalendosi di tutte le moderne tecniche didattiche, che sa opportunamente dosare nonché adattare ai singoli casi. Deve inoltre essere consapevole dell'effettivo potenziale dei suoi alunni, adattandosi ai casi particolari con una programmazione su misura che tenga conto delle loro eventuali difficoltà.
Il Bravo Insegnante verifica costantemente il grado di preparazione dei suoi allievi, ne conosce le lacune, sa come indirizzarne il recupero, prepara per loro prove di verifica adeguate e numerose che tengano conto dei più moderni criteri di docimologia e valuta il loro percorso didattico considerando tutte le variabili del caso. La sua valutazione è trasparente e segue criteri noti, conosciuti e spiegati chiaramente agli alunni.
Il Bravo Insegnante sa gestire ogni tipologia di allievo, a partire dallo straniero digiuno di italiano che piomba in classe a metà anno dai più remoti angoli del pianeta, fino ai ragazzi con gravi difficoltà di socializzazione; sa placarne i contrasti, smontarne i pregiudizi, ammorbidirne le difficoltà di adattamento. E' in profonda sintonia con la classe, di cui comprende le correnti e i contrasti interni, che sa armonizzare e indirizzare in modo proficuo.
Il Bravo Insegnante sa rendere la classe un luogo accogliente dove, esauriti i motivi di contrasto, i suoi Bravi Allievi riescono ad integrarsi armoniosamente con i compagni, gli insegnanti, la scuola, la società e il mondo; indirizza la crescita interiore dei suoi alunni e insegna loro i valori della fiducia, dell'amore, dell'apertura al Vicino e della tolleranza e del rispetto verso il Diverso. Si pone nei confronti dei suoi allievi come un modello positivo e come comfidente autorevole, guidandoli nella crescita individuale.
Sa orientarli verso scelte valide sul piano sociale e professionale e sa aiutarli a costruirsi una personalità forte e un giusto sistema di valori. In pratica: li aiuta a crescere nel rispetto delle loro individualità e sa potenziarne le capacità.
Il Bravo Insegnante sa interfacciarsi con i colleghi, collaborando con loro per la crescita armoniosa delle classi come dei singoli allievi. Collabora in modo costruttivo con i genitori venendo incontro alle loro richieste ed esigenze e tenendo conto delle loro osservazioni.
Il Bravo Insegnante ha un carattere amabile e fermo: in lui una dolce disponibilità alle esigenze degli alunni si uniscono alla giusta fermezza nel richiedere l'osservanza delle regole di comportamento. Sa tenere la giusta disciplina in classe e sa gestire gli alunni al di fuori dell'ambiente scolastico, con responsabilità e attenzione. E' dotato di una profonda comprensione dell'animo umano e sa reagire con prontezza alle situazioni impreviste.
Il Bravo Insegnante mantiene sempre il decoro previsto dal suo incarico: non alza la voce, non porta i suoi problemi personali a scuola, non tiene atteggiamenti scomposti, si veste e si cura in modo impeccabile e adeguato al suo ruolo, si mostra coscienzioso nell'adempimento dei suoi doveri ed ha cura di non sprecare il tempo delle sue lezioni con chiacchiere inconcludenti, leggendo il giornale o simili. Trasmette in tal modo ai suoi alunni un senso di disciplina che rende spontaneo da parte loro l'adeguamento alle varie regole. E' scrupoloso nell'adempiere ai suoi doveri: evita le assenze immotivate ed è tempestivo nel raggiungere la nuova classe al cambio dell'ora.
Il Bravo Insegnante, grazie al suo buon carattere e a una notevole dose di diplomazia intrattiene ottimi e proficui rapporti anche con il personale non docente della scuola (segreteria e custodi) e con il Dirigente Scolastico. Rispetta le scadenze, tiene in ordine la documentazione e gestisce con precisione e nei giusti tempi i registri di classe e personali.
Si tratta insomma di una persona di grande cultura, intelligenza, saggezza e diplomazia, perfettamente centrato sul piano interiore, in possesso di un mirabile equilibrio e dotato di un grande senso del dovere. Praticamente un Illuminato. Non sorprenderò dunque che una persona tanto saggia ed equilibrata non dia eccessivo peso agli status symbol e accetti senza problemi una retribuzione che non gli consente di accedere facilmente ai beni di lusso più pregiati.
Date queste premesse, invero di carattere piuttosto elevato, non sorprenderà che gli insegnanti reputati all'altezza del loro delicato e complesso lavoro non siano molti: al contrario, è assolutamente sbalorditivo che ce ne sia pur qualcuno che risponde quasi perfettamente a questi requisiti e che inoltre molti possiedano una buona parte delle qualità elencate.
Più normale è invece scoprire che, ahimé, esiste anche una buona fetta di insegnanti che è decisamente lontana da questo luminoso archetipo.
Insomma, un conto è il Bravo Insegnante e un conto sono i comuni insegnanti che popolano le varie cattedre. A questo proposito si impongono alcune di considerazioni, molto pedestri.
Primo: in un paese dove l'obbligo scolastico è di dieci anni e si punta verso l'istruzione di massa, di insegnanti ne servono parecchi, e nel caso dell'Italia il "parecchi" si conta nell'ordine di qualche centinaio di migliaia anche dopo i tagli, anzi la razionalizzazione del Ministero Tremonti-Gelmini.
Secondo: qualunque sia il criterio scelto per il reclutamento dei docenti, costoro vanno reclutati tra i comuni mortali perché al momento non disponiamo di tecniche adeguate per convincere gli abitanti del Superuranio a onorarci della loro presenza e dei loro senz'altro preziosi insegnamenti.
Terzo: per quanto perfetto possa essere il Bravo Insegnante, costui si ritrova a lavorare in un mondo imperfetto, e ciò gli è di notevole ostacolo per dispiegare tutta la sua perfezione. Di questo mondo imperfetto fanno parte un'infinità di fattori uno più terra terra dell'altro, dalla difficoltà a far funzionare il laboratorio di informatica all'epidemia di influenza che falcidia gli alunni alla spicciolata. Naturalmente in un paese in recessione economica questi fattori aumentano di giorno in giorno, ma sono anche presenti in paesi prosperi e ben governati.
Ne consegue quindi che, per quanto sia preciso dovere di ognuno di noi cercare di migliorare, per quanto consentito alle nostre deboli forze, il mondo che ci circonda, tuttavia è opportuno prendere atto dell'ìintrinseca limitatezza della natura umana e, al momento di affrontare il delicato problema del Reclutamento dei Docenti, è necessario prima di tutto armarsi di un certo realismo e accettare di operare nel mondo che ci circonda, qui e adesso, e non nel migliore degli universi possibili.

N.B.: nella sua sconcertante banalità, il post qui presente non è da considerarsi rivolto agli alunni o ai loro genitori (i quali hanno naturalmente diritto ad aspettarsi il migliore degli insegnanti possibili essendo gli utilizzatori finali del servizio, ovvero quelli che pagano) bensì agli esperti di didattica e di scuola, i quali sembrano del tutto inconsapevoli del fatto che la scuola è una realtà magari imperfetta ma concreta ed è popolata di esseri ben più pertinenti alla realtà fenomenica che al mondo delle idee.

domenica 17 luglio 2011

Manuale del Perfetto Insegnante - La Disciplina - 1


Giustizia e Pace di Corrado Giaquinto

Ordunque, caratteristica precipua del Perfetto Insegnante è saper mantenere una perfetta disciplina in classe. Tutti te lo spiegheranno, appena prenderai servizio, convinti di dirti una cosa sensata e del tutto immemori di come non riuscivano a tenerla loro, quando hanno cominciato (tra le caratteristiche principali del Perfetto Insegnante è infatti da annoverare una memoria non sempre attendibilissima).
I colleghi più nonnisti anzi ti spiegheranno che, loro, nella classe che a te fa vedere i sorci verdi, tengono una disciplina esemplare (usa molto a tal proposito la celebre quanto falsa frase "non vola una mosca": e se talvolta è vero che non volano mosche, magari perché l'inquinamento della zona le ha fatte morire tutte nel raggio di due chilometri, assai più sovente capita che mosche, mosconi, api, calabroni e bombi, per tacere dei tradizionali aereoplanini di carta, volino eccome, alla faccia della disciplina scolastica, distraendo assai la scolaresca tutta); su questo concetto avranno cura di insistere e ricamare a punto croce e sopraggitto, vuoi nei consigli di classe (all'occorrenza anche davanti ai genitori), vuoi in Sala Professori.
I colleghi più materni invece ti spiegheranno con gentilezza che "devi fargli capire chi comanda", felicemente convinti di averti passato la chiave di tutte le discipline. Talvolta, in un lampo di originalità, possono anche aggiungere qualcosa su "l'importanza di far rispettare le regole", le quali regole, si capisce, "devono essere uguali per tutti".
Ora, il punto che col tempo si tende a dimenticare ma che è una delle poche verità indiscutibili sui cui ruota l'affascinante e complesso mestiere di insegnante è che, in classe, comandano gli alunni. Farglielo capire può essere nel migliore dei casi una sciocchezza che non lascia troppe conseguenze, se la classe è di animo gentile e disponibile - ma può rivelarsi anche un errore dei più difficili da rimediare, e dunque sarebbe assai opportuno provvedere acciocché la scolaresca resti nella sua beata ignoranza sotto questo aspetto, ed evitare di scandagliare troppo la questione.
Una classe che ha capito chi comanda ha il coltello dalla parte del manico e può fare polpette di ogni docente, senza distinzioni di sesso e di età. Davanti a loro qualsiasi insegnante è disarmato: note, rapporti e tutto questo genere di cose, fino ad arrivare alla sospensione, sono tutte sanzioni che hanno un valore solo se l'alunno glielo riconosce. L'autorità di un insegnante esiste solo se e quando gli alunni, per bontà loro, per condizionamento psicologico, per sincera fascinazione o per malefico incantesimo, la riconoscono o si sentono obbligati a riconoscerla. E siamo tutti d'accordo che nei campi di sterminio non c'erano problemi di disciplina - e tutti siamo capaci, purché ci basti lo stomaco, a tenere la disciplina con l'aiuto di una fornitura di mitra ben funzionanti e gran copia di filo spinato elettrificato (no, la frusta e la bacchetta non sono sufficienti, altrimenti non sarebbero stati abbandonati come pratiche educative. Non ci sono statistiche adeguate, ma non risulta che bambini e ragazzi picchiati abitualmente siano più disciplinati degli altri. Possono venire su più impauriti o più violenti, ma questa è un altra storia). Tali metodi tuttavia sono incompatibili con un regime costituzionale, quindi al momento del tutto inapplicabili.
Lo sventurato insegnante si ritrova dunque armato di modeste sanzioni verbali e rimproveri scritti contro un'intera classe, e aiutato da quelle poche e inadeguate armi deve venire a patti con la classe in questione tanto da convincerli a seguire le sue lezioni e studiarle a casa quanto basta per saperle ripetere e applicare in presenza di testimoni a livello almeno sufficiente. L'impresa appare ben più complessa delle varie battaglie contro gli zombie, i draghi o i mostri marini che costellano la nostra mitologia antica e moderna, e tuttavia in gran parte dei casi riesce. Ogni insegnante che è agli inizi deve racconsolarsi pensando che, se in molti ce l'hanno fatta, è ben possibile che anche lui ci riesca e che l'impresa non è disperata in partenza, evitando di farsi prendere troppo dallo sconforto (compagno inevitabile quanto indesiderato, e destinato a ripresentarsi a scadenze più o meno regolari e con intensità variabile durante tutto il percorso lavorativo di un docente, e occorre imparare a conviverci).
Detto questo: l'impresa spesso riesce, ma riesce ogni volta per motivi diversi e non c'è una regola precisa per riuscirci né un incantesimo che valga a renderla facile. Quindi la Regola n. 1 è "Non esiste un metodo che ti garantisca un'adeguata disciplina in tutte le classi, perché ogni classe funziona a modo suo".
Qualora quindi capiti di sentire un insegnante, anche di lungo corso, che esordisca con "Ah, io ho un metodo molto semplice, e consiste nel" è opportuno staccare l'audio, o meglio ascoltare con attenzione ma sempre tenendo a mente che il metodo può funzionare come no, esattamente come tutti i metodi e le tecniche in questo complesso settore, e che spesso tale insegnante spaccia come metodo infallibile qualcosa che ha funzionato nell'ultimo paio di anni. Quasi sempre infatti l'insegnante di cui sopra aggiunge "perché prima facevo sempre così e cosà, poi mi sono accorto che non funzionava" - ma in realtà, se prima faceva sempre così e cosà, era perché facendo così e cosà le cose funzionavano. Quando poi le cose non hanno più funzionato, l'insegnante ha cercato altre strade - che con le classi che aveva al momento funzionavano, ma non è mica detto che con tutte.

Ne consegue che la Regola n. 2 è "Non esiste un metodo che automaticamente impedisca un'adeguata disciplina in tutte le classi, perché ogni classe funziona a modo suo". In base a questo principio si sono viste cose stranissime: classi dove l'evidente imbranataggine dell'insegnante alle prime armi faceva scattare l'istinto cavalleresco e protettivo dei ragazzi, classi scalpitanti davanti ad una disciplina ferrea che si sono istantaneamente affigliolate davanti a un'insegnante dolce e disponibile, classi indomabili che si sono ammansite all'istante davanti a supplenti alle prime armi con un contratto che veniva rinnovato di settimana in settimana perché quest'insegnante li faceva lavorare come castori oppure perché quest'insegnante garantiva tempi più morbidi e distesi e piacevoli chiacchierate intimistiche che sviluppavamo la programmazione su strade impreviste. Le strade sono infinite e imprevedibili, perché infinite e imprevedibili sono le tipologie delle classi.
E' opportuno quindi che l'insegnante cerchi di percepire le correnti che circolano nelle classi con cui ha a che fare e tenti di assecondarle, senza troppa fiducia nelle Regole Indiscusse e nei Principi Conclamati: con l'aiuto di una certa dose di culo, è ben possibile che riesca a trovare la chiave giusta, magari impiegandoci un po' di tempo.
La Regola n. 3 infine dice che "Quasi mai gli errori fatti all'inizio, per quanto gravi, sono irrimediabili" e dunque ne consegue che se anche i ragazzi fanno un gran casino il primo giorno, non è detto che continueranno a farlo tutto l'anno.
Naturalmente, non è detto nemmeno il contrario.

giovedì 14 luglio 2011

Manuale del Perfetto Insegnante - Fenomenologia del Vero Insegnante di Lettere alla scuola media


Tra i Fiori di Bach, Chicory è il principio attivo di chi si prende a cuore i problemi degli altri ma che, con metodi manipolatori anche molto raffinati ed invisibili tentacoli, li obbliga ad accettare le sue premure. Se armonizzato, invece, è lo spirito di servizio verso gli altri, senza secondi fini.
Nella scuola media l'insegnante di Lettere occupa una posizione particolare, e non manca mai di sottolinearlo; del resto anche molti colleghi ne sono convinti e capita di sentirli dire che "tutte le classi in fondo sono figlie dei loro insegnanti di Lettere". Che cotali insegnanti siano maschi o femmine è, in fondo, una mera circostanza accessoria, ma per tutta una serie di motivi socio-cultural-esistenziali la categoria è a forte prevalenza femminile; tuttavia qui se ne parlerà al maschile secondo le regole dell'italiano, lingua maschilista che richiede il maschile laddove si abbia una pluralità di esseri che includa in sé anche un solo esemplare al maschile - e d'altronde le caratteristiche di questa particolare rama della specie insegnantesca non sembrano differenziarsi in modo rilevante in base al genere.
Di solito l'insegnante di Lettere lavora in due sole classi (nei tempi prolungati addirittura in una) e verso queste classi finisce per sviluppare un senso del possesso (forse prealessandrino) del tutto particolare, indulgendo ad espressioni del tipo "la mia classe", "la mia seconda" o addirittura "i miei ragazzi", lasciando con ciò intendere che gli altri docenti (con la possibile, ma non sempre ammessa, eccezione per Matematica) sono semplici accidenti di passaggio per la classe in questione, appaltati per poche ore e tutt'altro che determinanti. Il Vero Insegnante di Lettere infatti è quello che conosce i ragazzi e spesso ha (o è convinto di avere) con loro un eccellente rapporto di fiducia che lo porta a sapere con certezza se hanno fatto questo o quest'altro, perché con lui i ragazzi sono sinceri. Tale incrollabile convinzione si traduce sovente in osservazioni sarcastiche verso le altre insegnanti di Lettere (i cui ragazzi sono invece maleducati, rumorosi, indisciplinati etc.) e in difese a oltranza piuttosto comiche, se viste dall'esterno, qualora i ragazzi in questione siano coinvolti in risse, litigi o malefatte di vario tipo, specie nelle uscite collettive: ah, i miei non sono stati, e se sono stati loro, è perché i tuoi li hanno istigati, etc. etc. Finisce così non di rado che l'azzuffatina tra più classi si estenda anche ai rispettive insegnanti di Lettere, dando così luogo a invereconde scenate nei corridoi o in Sala Professori dove altri insegnanti, che hanno entrambe le classi, sia pur con meno ore, si guardano bene dall'intervenire essendo assai desiderosi di riportare la pelle a casa e riabbracciare i loro cari.
Capita tuttavia che, ai Consigli di Classe, la granitica immagine che l'insegnante di Lettere che sa ha della sua classe venga messa in discussione da qualche coraggioso collega che osa sostenere che X non è poi così privo di valori morali, Y tende alquanto al ruffiano, Z ha una mente logica, W si mostra molto disciplinato negli sport di squadra e J ha una sensibilità artistica davvero speciale. A seconda del grado di educazione e/o di buonsenso, l'insegnante di Lettere non rifiuta a priori queste osservazioni (talvolta) ma, in cuor suo sempre, fra i denti talvolta, e a piena voce non di rado, proclama che lui, i ragazzi, li conosce e sa come sono e gli altri colleghi non possono pretendere di allargarsi più di tanto.
La questione si presenta in modo particolarmente acuto al momento dell'esame di licenza media: dal punto di vista del Vero Insegnante di Lettere è del tutto scontato che il colloquio dell'esame debba vertere principalmente sulle materie afferenti alla cattedra di Lettere e soprattutto che il voto dato all'alunno debba necessariamente essere quello che l'insegnante di Lettere gli ha dato in cuor suo. Qualora il resto della Commissione non concordi appieno con tale voto, ivi saranno pianto e stridor di denti e scrutini interminabili, finché la Commissione non ceda per puro sfinimento oppure, con un'azione ben concertata, non riesca a mettere infine a tacere Colui Che Conosce i Ragazzi e che, unico tra tutti gli insegnanti, è in grado di valutarne appieno il percorso didattico.
Essendo l'unico in grado di stabilire un vero, profondo e sincero rapporto sul piano umano con la classe, il Vero Insegnante di Lettere ama molto ricevere dai suoi alunni attestati e dichiarazioni in tal senso; spesso anzi i Veri Insegnanti di Lettere gareggiano tra loro su chi abbia avuto gli attestati più appariscenti, sotto forma di elogi sperticati in temi, video, lettere collettive (sono molto ambite, le lettere collettive, e vengono sempre lette in Sala Professori davanti al più numeroso pubblico possibile, spesso coinvolgendo anche l'incauto Dirigente Scolastico che non riesca a spaniarsi con sufficiente prontezza e financo custodi e personale di segreteria), disegni, omaggi di fiori o piccoli oggetti; questi ultimi però perdono quasi tutto il loro valore se la classe non riesce a spremersi almeno un Brillante Bigliettino di accompagnamento in cui si elogino la dedizione, la pazienza e la simpatia umana dell'insegnante in questione. Qualora la classe sia composta, almeno in buona parte, da gentilfanciulle e gentilfanciulli, tali omaggi di fine anno vengono estesi a tutto il Consiglio di Classe, compresi quegli insegnanti che, oggettivamente, un granché con la classe non hanno legato. Tutto questo, se torna a onore della finezza d'animo della scolaresca, costituisce però una vera coltellata per il fegato del Vero Insegnante di Lettere (che è in realtà l'unico Insegnante che i ragazzi abbiano avuto, essendo, come già spiegato all'inizio, tutti gli altri insegnanti meri accidenti del caso).
Altrettanto pericoloso per il fegato del Vero Insegnante di Lettere è rirovarsi colpito da qualche malattia che obblighi la scuola ad assumere un Supplente di Lettere nelle sue classi - non già per le conseguenze dolorose che una malattia o un intervento chirurgico possono arrecare di per sé, quanto per l'orribile eventualità che il Supplente riesca gradito alla scolaresca. L'unica possibile eccezione è costituita dalla gravidanza, che porta in sé tali e tante implicazioni e sì complesse tempeste ormonali che spesso l'insegnamento passa in seconda linea persino se la gestante è una Vera Insegnante di Lettere (spesso, ma non sempre). Il Vero Insegnante di Lettere perciò, in barba a tutte le leggende metropolitane sull'assenteismo dei docenti, compie autentici atti di eroismo (o di idiozia pura, a seconda dei punti di vista) per non lasciare terreno libero al Temuto Rivale e ha gran cura di assillarlo con voluminosi fascicoli di istruzioni, ripetute telefonate, imposizioni di visite a domicilio (del titolare) e rimpiattamento dei registri personali, onde impedire al suddetto Rivale di intervenire con valutazioni sue proprie che, ovviamente, non possono essere che approssimative e arbitrarie.
Gli scopi di tutte queste manovre sono: 1) impedire che il Supplente si allarghi e finisca con lo stabilire un Proprio Autonomo rapporto con la classe (perché potrebbe (orrore!) risultare tollerato e financo più gradito del titolare) e 2) controllare che costui non riveda le bucce al Vero Insegnante di Lettere - cosa che può senz'altro accadere perché in ogni Supplente di Lettere, per quanto alle prime armi e all'apparenza sottomesso, si annida un Vero Insegnante di Lettere in nuce.
Sempre a tal proposito occorre ricordare che niente è più deleterio di un collega, magari mosso dalle migliori intenzioni (ma qualora il collega sia di Lettere, sulle sue migliori intenzioni è lecito nutrire ben più di un dubbio) il quale rassicuri l'infermo nel suo letto di dolore che "i ragazzi si trovano benissimo e il supplente è molto bravo". E' necessario aggiungere poi che il peggiore sgarbo tra i peggiori sgarbi che una classe può commettere verso un Vero Insegnante di Lettere è non dare alcun problema di disciplina o di adattamento in presenza di un Supplente di Lettere: tale sgarbo amareggerà il Vero Insegnante di Lettere per anni e, nonostante le apparenze, non verrà mai perdonato né dimenticato, sebbene un minimo di ritegno possa talvolta inibire al Vero Insegnante di Lettere le reazioni più scomposte.
Il Vero Insegnante di Lettere usualmente sta nelle sue classi dalle nove alle quindici ore a settimana. Capita tuttavia che, vuoi in virtù di quella demenziale istituzione ministeriale che è l'ora di Approfondimento delle Materie Letterarie, vuoi per questioni varie di orario o per una normale rotazione, costui si ritrovi a fare meno di quattro ore (o addirittura due o una sola) in una classe.
Questa condizione, che la maggior parte degli insegnanti considera normale, viene vissuta dal Vero Insegnante di Lettere come declassante e squalificante, una roba al limite del mobbing, nonché come una condizione che limita o addirittura impedisce un normale approccio con la classe, tanto da indurlo a spiegare ai Consigli che di quella classe non è in grado di parlare perché ce l'ha per poche ore e quindi non la conosce.
Tra le materie di Lettere vige una ben precisa gerarchia: in testa c'è Italiano, che è la materia per eccellenza, l'unica in realtà che vale la pena insegnare; a tale materia afferisce Letteratura, che il Vero Insegnante di Lettere coltiva con gran cura, particolarmente quando si tratta di propinare agli alunni generose dosi de I Promessi Sposi, spesso scelto come libro di narrativa per la terza media (il fatto che in linea di massima gli alunni mostrino scarso entusiasmo verso cotal libro non viene considerato minimamente un ostacolo a propinarglielo).
C'è poi il Latino. Molte scuole medie hanno un laboratorio supplementare di Latino (di solito richiesto dalle famiglie e frequentato con scarso entusiasmo dagli alunni in vista di un futuro liceo); chi lo gestisce si sente, ed è effettivamente considerato, l'insegnante di Lettere in cima alla piramide gerarchica della scuola: è noto infatti che il latino apre la mente e insegna un metodo di studio, e nel cuore di ogni Vero Insegnante di Lettere sonnecchia un potenziale Insegnante di Latino (che infatti non di rado cerca di diventare un Insegnante di Latino a tutti gli effetti, tramite passaggio di ruolo ai licei). Le lotte intestine per accaparrarsi l'ambita preda del Laboratorio di Latino sono feroci, benché sotterranee, e per chi non insegna Lettere possono anche risultare divertenti, ma non c'è dubbio che si tratti invece di un affar serio, per il quale scorrono spesso sia sangue (vivaddio di solito solo metaforico) che lacrime (di solito nient'affatto metaforiche). Si sa di pericolose faide che sono cominciate proprio da un'assegnazione sconsiderata del laboratorio di Latino, magari fatta a cuor leggero da un Vicepreside che, insegnando Inglese o Tecnologia, non si era reso conto appieno della micidiale portata che potevano avere le sue decisioni.
Al secondo posto (anzi al terzo, contando anche Latino) viene Storia, spesso considerata con un certo fastidio: di fatto è una materia noiosa e nozionistica, che i ragazzi non sanno mai imparare a dovere e che è comunque stata fissata definitivamente nei suoi canoni all'epoca in cui il Vero Insegnante di Lettere ha studiato a malincuore il paio di esami necessari per la laurea: da allora il dibattito storiografico dorme un sonno profondo e non ha partorito niente di valido o notevole.
Per insegnare Storia ci sono gli schemi: si collegano un po' di cause e un po' di effetti, poi si dà una bella verifica di Vero/Falso per vedere se le creature hanno capito (anche se non sempre risulta che abbiano effettivamente capito). Per scegliere il libro di testo di storia si guardano soprattutto le illustrazioni e le mappe concettuali, poiché è stato stabilito da tempo che se ci sono quelle tutto va bene. anche se il testo contiene un'immane quantità di scempiaggini (che di solito il Vero Insegnante di Lettere non è comunque in grado di riconoscere).
Geografia è considerata meno prestigiosa ma più risposante: ci sono un'infinità di elenchi di nomi di province, capitali, montagne e laghi e fiumi da imparare a memoria - anche se purtroppo, dai tempi della Riforma Moratti, hanno tolto lo studio delle regioni italiane in prima, e quindi i ragazzi non conoscono più il proprio paese (tale infausta circostanza sta letteralmente minando alla base le capacità e lo sviluppo delle nuove generazioni, ahimé).
Ci sono anche, purtroppo, a Geografia, tutti quei noiosissimi indicatori: il Prodotto Nazionale Lordo, il Redduto Pro Capite, il Tasso di Inflazione, la Crescita Demografica... tutta roba piuttosto noiosa che non affina l'animo umano. numeri, e nulla più. Il Vero Insegnante di Lettere di solito non è nemmeno consapevole dell'esistenza di un'entità chiamata Economia (il che gli è di un certo intralcio anche per insegnare Storia): i numeri sono aridi e impenetrabili, e il Vero Insegnante di Lettere li trova piuttosto incomprensibili - occorre considerare poi che spesso il Vero Insegnante di Lettere si è rifugiato a Lettere appunto per scansare i numeri, non avendo mai avuto grande simpatia per la matematica, e sovente ha cura di trasmettere questa sua idiosincrasia anche alla prole: un trattato a parte potrebbe essere scritto sulle figlie delle insegnanti di Lettere che sono tenute, praticamente per contratto, ad andare male a Matematica (per i maschi o i figli di insegnanti maschi di Lettere vengono talvolta concesse speciali dispense).
Del pari poco interessanti vengono ritenute le parti di Geografia che potrebbero collegarsi a Scienze, come vulcani, terremoti, sedimentazioni moreniche e simili, e tuttavia vengono fatte, se pure a malincuore, perché i ragazzi mostrano di gradirle assai. Lo svolgimento di queste parti del programma è solo raramente concordato con l'insegnante di Scienze, vuoi per questioni di programmazione (i libri di testo di entrambe le materie li spostano da un volume all'altro con grande disinvoltura) vuoi soprattutto perché per il Vero Insegnante di Lettere è sempre difficile interagire con i colleghi; naturalmente quest'ultimo problema si complica in maniera esponenziale quando in una classe la cattedra di Lettere è divisa tra due o (ahimé, in questi tempi di degrado morale succede perfino ciò) addirittura tre insegnanti diversi. In quel caso è sottinteso che l'insegnante gerarchicamente più importante è Italiano, che all'occorrenza invade serenamente anche la programmazione altrui. Di questa tacita convenzione gli altri colleghi di Lettere sono perfettamente consapevoli, e spesso in cuor loro la approvano; altrettanto spesso però si ingegnano e adoperano per intervenire a loro volta nella programmazione di Italiano per poi indignarsi davanti alle rimostranze del collega. Anche su questo ogni Sala Professori conserva una ricca aneddotica, e anche su questo i colleghi tendono a non intervenire perché non desiderano lasciare orfani i loro figli e vedovi i loro consorti.
Tornando al piano gerarchico, tra Storia e Geografia prevale, per importanza e prestigio, la prima (fermo restando che solo Italiano è una materia degna di questo nome): l'insegnante che in una classe fa solo Geografia sarà sempre socialmente inferiore all'insegnante che nella stessa classe fa soltanto Storia.
Allo stesso modo, l'insegnante di Lettere che abbia uno spezzone e si ritrovi solo ore di Storia e Geografia o addirittura (dio non voglia!) soltanto ore di Geografia, è considerato e si sente il paria tra tutti gli insegnanti di Lettere e, con chiunque voglia ascoltarlo e anche con molti che di ascoltarlo non avrebbero desiderio alcuno, si lamenta spesso e a lungo di questa sua ingrata condizione.
Esistono infine questioni gerarchiche di minor grado legate all'età, alle mense e alle ore di Alternativa all'Insegnamento della Religione Cattolica, ma variano da scuola a scuola e non coinvolgono solo gli insegnanti di Lettere, per cui non mette conto parlarne qui.
N.B: Naturalmente sia tu che leggi (se insegni Lettere alle medie) sia io che ho scritto non abbiamo nulla da spartire con gli esemplari qui descritti; inoltre - per fortuna nostra e di tutti - non esiste un Insegnante di Lettere che abbia tutti i requisiti qui indicati.
Almeno, si spera.

giovedì 7 luglio 2011

L'esame della Cerbiatta


Non era mai stata la prima della classe - quel titolo da sempre spettava di diritto a Hermione Granger. Era era la seconda, quella che avrebbe tanto voluto essere la prima e lavorava con tutte le sue forze per diventarlo, ma invano. Una ragazza molto bella, molto gentile e molto diligente ma le mancava quel certo nonsoché.
Era così evidente che ci teneva che i suoi voti erano sempre stati un po' gonfiati, per non mortificarla; ma, gira e rigira, sembrava poco più che la classica bambina diligente che si impara le lezioni a memoria. A inglese, poi, in terza, c'erano stati un bel po' di problemi: lei aveva seguito alla lettera ogni istruzione dell'insegnante, aveva chiesto, ottenuto e svolto tonnellate di esercizi supplementari ma il meccanismo non si sbloccava. Inglese aveva fatto del suo meglio per non peggiorare le cose, arrivando in un'occasione ad alzare il voto in un compito all'intera classe per portare lei alla sufficienza.
Quanto a me, avevo conosciuto diversi casi di compagne di studi che si erano impegnate al calor bianco per l'esame di maturità, conducendo vita monacale e buttando a mare un intero anno di vita per poi crollare all'esame, dove avevano preso votazioni miserabili considerate le circostanze; preoccupata da quegli spettri finii per suggerirle di rallentare un po' l'impegno, perché "nello studio le pause potevano rivelarsi più fertili del troppo lavoro". Ne accennai anche alla famiglia, ma i genitori mi garantirono che su questo la ragazza non sentiva ragioni. C'era da crederci, conoscendola.
Ansia da prestazione, certo. Tanto più che aveva deciso (i suoi genitori avevano deciso?) che voleva fare il liceo classico, anche se con molto tremore & apprensioni. Oddio, ce la farò?
La mia brutale risposta "Certo che ce la farà, chiunque è in grado di prendere una licenza classica" si basava sull'esperienza diretta, ma era troppo prosaica per convincerli. Corressi il tiro, assicurando che una ragazza con la disponibilità verso lo studio che aveva la Cerbiatta e con il suo amore per la letteratura era senz'altro in grado di fare il liceo classico (beh, almeno non rientrava nel filone delle ragazzine che fanno il classico perché non c'è matematica: lei a matematica andava bene e non aveva nessun rigetto per tale materia).
Nonostante i voti arrotondati, nessuno sperava di darle più di otto all'esame. E invece fu proprio l'esame, questo misterioso processo alchemico che rivela talvolta come il piombo sia oro, a portare alla luce il filone di metallo pregiato che la Cerbiatta racchiudeva in sé.
Che gli scritti (inglese a parte) andassero piuttosto bene rientrava nell'ordine naturale delle cose, ma nessuno prevedeva che andassero così bene, e soprattutto che il suo compito di inglese fosse il migliore della classe e prendesse il massimo dei voti.
Il suo colloquio era l'ultimo. Ci aspettavamo di vederla un po' ansiosa, invece arrivò fresca, sorridente e agguerrita, portando un circuito elettrico fatto con le sue belle mani che ci espose brillantemente. Il colloquio si trasformò in una chiacchierata informale che saltellava da una materia all'altra spelluzzicando argomenti di tutti i tipi, ben al di fuori del percorso che aveva preparato.
Durante questa chiacchierata ad ampio spettro l'insegnante di Fisica si informò di come mai avesse portato proprio lo sci, tra tanti sport. E lei ci raccontò una storia molto interessante.
Da bambina, durante una vacanza in montagna, suo padre l'aveva iscritta a un corso di sci che lei non aveva la minima inclinazione a fare. Aveva sfogato con la madre il proprio disappunto, ma non voleva deludere il padre. Così si era dichiarata entusiasta e aveva frequentato il corso stringendo i denti.
Lo sci non le era piaciuto, all'inizio, ma aveva insistito con la consueta determinazione nel corso degli anni. Poi aveva cominciato a vincere qualche gara - e nel momento in cui aveva cominciato a vincere, aveva scoperto che lo sci non le dispiaceva affatto.
Scoprimmo così che quella ragazza tanto bella e gentile era un'animale da competizione: gli ostacoli le piacevano, e non si dava pace finché non li aveva superati. Improvvisamente quella cerbiatta dai tratti gentili e lo sguardo vellutato ci apparve per quel che era, cioè una sequoia travestita da azalea. Una sequoia molto, molto ambiziosa.
Naturalmente anche l'orale di inglese fu ottimo.
La licenziammo con nove, proprio come Hermione Granger.

lunedì 4 luglio 2011

La scuola ai tempi di Facebook

Sin dallo scorso anno la Classe dei Tordi mi domandava a scadenze regolari se ero su Facebook. Sapevano che avevo una mia vita informatica e non si capacitavano che la vivessi altrove.
"Perché dovrei andarci?" avevo provato a chiedere "Cos'ha di tanto speciale Facebook?".
"Ci si diverte" avevano provato a spiegare "Poi puoi chattare con gli amici".
"Ho un programma di chat e una linea telefonica passabilmente funzionante. Cosa me ne faccio di Facebook?".
"Manda i messaggi".
"Ho varie caselle di posta elettronica perfettamente funzionanti".
"Possiamo diventare suoi amici, così chattiamo con lei".
"Mi vedete dieci ore alla settimana più intervalli, non direi che ci mancano le occasioni per scambiare due parole. E potete scrivermi tutte le mail che volete, prometto di rispondere".
Loro scuotevano la testa con compatimento e passavamo ad altro.
Non è che avessi qualcosa contro Facebook, ma non mi sembrava una roba adatta a me.
Poi, per tutta una serie di circostanze* su Facebook sono entrata, anche se sotto pseudonimo per scansare i vecchi compagni di liceo con cui avevo interrotto i contatti da trent'anni e le infinite persone con cui non volevo avere a che fare. Così, all'ennesima domanda dei Tordi, un bel giorno ho ammesso che adesso su Facebook c'ero anch'io.
Mi hanno chiesto se ero disposta a diventare loro amica.
Avevo avuto tutto il tempo per ponderare la questione. Ci sono svariate scuole di pensiero, in merito: qualche insegnante sostiene che con gli allievi mai, altri che con gli allievi a volte, specie dopo che hanno smesso di essere allievi. Sary ritiene che con gli allievi sì, eccome; e dal momento che non usavo il mio account per gestire traffici illegali o gruppi terroristici e che per la parte più personale della mia vita privata continuavo ad arrangiarmi col telefono, ho seguito la sua scuola di pensiero e promesso che avrei accordato la mia amicizia senza problemi a chiunque di loro me l'avesse chiesta; tra l'altro ero convinta che me la chiedessero soprattutto per far numero, perché nelle nuove generazioni il numero di amici su Facebook è un indice di stato sociale.
Le prime ad arrivare sono state le ragazze, prima alla spicciolata e poi a gruppo. I ragazzi sono arrivati dopo, più lentamente e non tutti. Alla fine mi sono ritrovata due terzi della classe più l'Assenteista, unico della Seconda Domandiera (dove si sono sempre disinteressati della mia vita informatica), ma del resto lui era una specie di membro esterno della classe dei Tordi che solo per un susseguirsi di sfortunate circostanze non era più con loro.
Ancor più a sorpresa è arrivata anche una fanciulla che alla fine dell'anno scorso ci aveva lasciato per trasferirsi con la famiglia all'altro capo dell'Italia e che non aveva mai mostrato grande entusiasmo nei miei confronti, ma che mi ha fatto una gran bella sviolinata via chat (della serie "non abbiamo la minima idea di quel che passa per la testa di quei figllioli"). Mi ha chiesto l'amicizia anche qualcuno dei ragazzi che avevo avuto l'anno scorso per l'Approfondimento, e lì mi sono regolata a mio esclusivo capriccio.
Aggiungo che in quel di Maggio qualcuno ha avuto la brillante idea di aprire un gruppo dedicato alla classe, ammettendo anche me e Matematica e mettendoci così in contatto con tutti (esclusi i due che su Facebook non ci sono mai entrati).
Ho così scoperto (beh, l'avevo già intuito da circa 700.000 indizi grossi come case seminati in temi e diari) che buona parte di quella classe su Facebook ci viveva, letteralmente. Come me ne sono accorta? Beh, perché ad un certo punto è scattata in me una folle dipendenza da un demenziale giochino di caccia al tesoro per fare il quale andavo su Facebook tre, quattro e pure cinque volte al giorno. Dalla fine di Maggio poi ho lasciato aperta la finestra su Facebook ogni volta che stavo al computer per i fatti miei (e, sinceramente, caccia al tesoro a parte, ci sto abbastanza).
La cosa è stata molto interessante, e anche molto utile. Prima di tutto, scorrendo le varie bacheche, sono venuta a conoscenza di tutta una serie di vicende che ignoravo o avevo solo intuito a grandi linee - e in cui naturalmente ho evitato con ogni cura di intervenire.
Poi, soprattutto negli ultimi mesi, mi sono ritrovata a gestire una sorta di help desk sulle più varie questioni scolastiche. Visto che in classe non avevamo mai molto tempo per parlare - erano ventisette - abbiamo avuto diversi chiarimenti sulle tesine, i percorsi d'esame e simili. C'è stata anche una modesta terapia di sostegno - ogni tanto qualcuno, soprattutto tra le ragazze, andava in crisi mistica e allora una piccola chat era l'ideale per racconfortare la creatura di turno con buone parole e lievi frustatine.
Naturalmente (era pur sempre la classe dei Tordi) c'era anche qualche anima candida che chiedeva "Ma domani mi interroga?" a cui seguiva una garbata risposta del tipo "Caro/a, quel che stai facendo non è molto corretto, lo sai?".
Ho fustigato, cardato e racconsolato più volte l'Assenteista che, ho scoperto, in chat era molto, molto più disponibile e sottomesso di quanto non fosse in territorio scolastico, soprattutto quando nelle ultime settimane temeva di essere nuovamente segato (il che non è avvenuto, vivaddio). Ho elargito consigli su come trovare carte geografiche in rete (basta dare la stringa di ricerca in inglese), ho rassicurato sulla possibilità di portare percorsi informatici (si sa con quali risultati), ho dato consigli di redazione e impaginazione e perfino scodellato all'impronta le cause e concause delle rivoluzioni industriali, mentre in contemporanea un'amica mi aggiornava sulle sue aggrovigliate vicende sentimentali. Nell'area del gruppo ho elargito consigli, auguri, complimenti per l'esame e gran copia di messaggini di buon auspicio (soprattutto a base di lupi). E tutto questo è stato molto bello e ha senz'altro aiutato a saldare il gruppo & la coscienza di classe di tutti noi e la sintonia tra me e Matematica.
Non sono state solo rose e fiori, naturalmente: proprio su Facebook mi sono arrivati, ai primi di Luglio, i messaggi stizziti di Lunastorta che chiedeva "senza polemiche" come mai gli avevamo dato solo sei, rovinandogli così l'ingresso al liceo (artistico), mentre lui agli scritti aveva preso cinque solo a francese e matematica - e non ho potuto nemmeno rispondergli come meritava, perché nel frattempo il ragazzo si era rotto una gamba ed era in trazione sui un letto di dolore.
Ma tanto anche se non ero su Facebook mi avrebbe scritto una mail.
Ho avuto anche occasione di riflettere su alcuni particolari.
Primo, quelli che studiavano meno non erano necessariamente quelli che passavano più tempo su Facebook, bensì quelli che ci stavano ancora dopo mezzanotte. Per la cronaca, l'orario in cui il computer si trasformava in zucca andava intorno alle undici di sera. Lì sparivano tutti... cioè quasi tutti. E quando vedevo il segnale che l'Assenteista era on line, sapevo che la mattina dopo non lo avrei trovato in classe.
Non mi sembrava corretto intromettermi e quindi mi sono risparmiata le prediche; ma è chiaro che se entri a scuola alle otto devi svegliarti almeno intorno alle sette, o anche prima, se hai il pullmino da prendere, e a quattordici anni sei ore di sonno non bastano. In questi casi, e non ci son santi, è la famiglia che deve provvedere, se l'alunno da solo non è assistito da bastevole buon senso, e nel caso dei due nottambuli è chiaro che la famiglia non era granché presente.
Secondo, gli album di foto: quei bellissimi e interminabili album di foto dedicati alle gite scolastiche, alle uscite, al gemellaggio, al viaggio agli ex campi di concentramento... e alla tua classe.
Cosa c'è di più bello di un bell'album di ottanta foto dedicato alla tua amata classe e condito di vari "Non vi dimenticherò mai" e "Siamo i + ganzi"? Vabbe', un sacco di cose, comunque si capisce che a loro possano piacere.
Senonché, scorrendo le molte foto, risulta evidente che le suddette erano state fatte in gran parte... in classe. Certo, alcune durante l'intervallo. In teoria nella scuola di Hogsmeade l'uso del cellulare è vietato, durante l'intervallo, ma io sono del parere che non si debba essere troppo fiscali, anche se non li ho mai incoraggiati. Altre sono state fatte durante il cambio dell'ora, perché la cattedra risulta vuota. E stando al regolamento non si dovrebbe usare il cellulare durante il cambio dell'ora, ma infine se lo si fa non mi sembra che si arrechi danno a nessuno.
Però ci sono anche le foto fatte durante le lezioni. Le riconosci dall'insegnante in cattedra, dai primi piani di studenti che seguono più o meno attentamente, dalla presenza dei libri sul banco, dal fatto che tutta la classe è seduta... insomma, le riconosci.
No, io non sono mai inquadrata, e dunque posso illudermi che durante le mie ore nessuno abbia fatto foto con il cellulare (e come no). Buona parte degli altri colleghi però c'è.
Non ho detto niente nemmeno in questo caso, perché ho scorso quegli album in un pomeriggio ai primi di Giugno, quando ormai ero assai prossima a non essere più una loro insegnante; ma non ho potuto fare a meno di pensare che alcuni di questi ragazzi sono davvero un po' troppo fiduciosi nel loro approccio al mondo: quanto a me, al posto loro, se avessi qualche insegnante tra gli amici, terrei una bacheca pulita e scintillante e mi guarderei bene dal far postare qualcosa che lasci supporre che non sono la più diligente degli alunni possibili, e farei anche attenzione a quel che posto in giro; perché, a seconda del grado di sicurezza che scegli, la tua bacheca può essere vista non solo dagli amici, ma anche dagli amici degli amici - e i commenti che lasci in giro e le foto che mandi agli altri "per condividere" possono essere visti praticamente da chiunque, perché compaiono in bacheche che possono essere meno protette della tua o alla quale accedono amici, magari recenti, che non hai considerato.
Buona parte dei ragazzi questo lo sa d'istinto o per riflessione; ma i più sprovveduti sono per l'appunto quelli che scrivono le cose meno accorte o seminano in giro le foto più compromettenti.
Forse sarebbe ora di avvisare questi fanciulli, destinati a convivere con la Grande Rete per tutta la vita, che i rischi di internet non sono solo improbabili maniaci che ti chiedono il numero di cellulare per appostarsi sotto casa tua e violentarti, come sembrerebbe dai video che la polizia postale proietta nelle scuole: la Fuga di Notizie Riservate è un inconveniente molto più comune, e può portare gran copia di rogne.

*le circostanze sono che Sary mi ha fatto il lavaggio del cervello finchè non mi sono arresa a discrezione.

venerdì 1 luglio 2011

Esami a Hogsmeade - 3 Io! Io! Io e soltanto io!


Passano sette giorni, durante i quali vengono esaminate le altre tre terze (ignoro se con o senza supporto informatico). Durante questa settimana viene celebrato anche l'ultimo Collegio dei Docenti dell'anno. Sì, lo so: usa farlo dopo la conclusione degli esami e non in mezzo, ma, come ho già accennato più volte, a Hogsmeade seguiamo usanze tutte nostre.
Il Collegio a sua volta fa da farcitura tra la prima e la seconda parte di un ricco rinfresco che le tre colleghe future pensionate offrono alla collettività. La collettività, devo dire, avrebbe gradito meglio e di più se il torrido clima tropicale non avesse smorzato anche gli appetiti più vivaci. Ad ogni modo nessuno si tira indietro e personalmente attingo senza remore al pregiato spumante, sia brut che dolce, confidando che mi sarà di conforto per reggere il Collegio, né ho motivo di rimpiangere le abbondanti libagioni, nonostante l'alcool mi abbassi vieppiù la pressione, che d'estate tende al rasoterra.
Infatti la Preside saluta le tre pensionande, com'è giusto, e dedica loro anche... una sua poesia - una composizione di rara originalità, basata sullo spregiudicato paragone tra le varie stagioni dell'anno e le varie epoche della vita, condita con un riferimento alla rugiada del tempo.
Naturalmente applaudo, come tutti. Apprendo però che l'usanza della poesia (sempre rigorosamente made by Preside) ai Collegio di inizio e fine anno vige da diversi anni. E improvvisamente ricordo che il Collegio conclusivo dello scorso anno l'avevo saltato per indisposizione, mentre ai due Collegi di inizio anno non avevo ancora preso servizio*.

La mattina dopo alle otto riprendono gli orali. Le temperature virano su più ragionevoli gradazioni, abbiamo undici e non dodici alunni da esaminare e l'unico scoglio di Smemorina, e ormai i punteggi delle prove Invalsi dovrebbero essere stabili.
Le cose vanno bene sin dall'inizio: in onore dell'esame Smemorina riesce a ricordarsi quanto basta a fare un'orale almeno vagamente sufficiente e tutti noi siamo ben lieti di collaborare con accorte domande sul colore del cavallo bianco di Napoleone e sul nome del progettista della Tour Eiffel.
Con sorpresa di molti (ma non mia) l'Orfanella sfodera una bella grinta e fa un colloquio brillante - ma in effetti anche nei momenti più neri se l'è sempre cavata meglio nell'orale che nello scritto, e non c'è dubbio che dall'inizio dell'anno abbia fatto un gran bel miglioramento.
Alcuni dei ragazzi portano percorsi piacevolmente originali, che a fine esami sono particolarmente graditi alle commissioni stremate: Lunastorta è riuscito a collegare tutte le materie con i pipistrelli, spaziando dalle tecniche di volo alla foresta amazzonica fino a Dracula di Bram Stoker e ai vari fumettisti di Batman ("possiamo anche dargli otto al colloquio" commenta Inglese con un bel sorriso "tanto il sette non gli viene comunque" e tutti annuiamo soddisfatti: l'orale era effettivamente da otto ma nessuno, me compresa, ha nessuna obiezione da fare al sei per Lunastorta, che dopo due anni delle mie amorevoli cure scrive ancora stò e sà senza formalizzarsi, ha quattro in matematica e in tre anni ha sempre e solo studiato se e quando gli pareva, e non è che gli paresse spesso); Sognatrice porta un percorso sul Giappone ma, accanto al consueto progetto Manhattan e alla solita energia atomica parla di Memorie di una geisha e, soprattutto, di Rumiko Takahashi, la Divina autrice di Ranma e Lamù e Inuyasha (ebbene sì, grazie alle mie accorte manovre al suo orale si è parlato soprattutto della Takahashi, visto che il Progetto Manhattan l'abbiamo ormai sentito e risentito e dell'energia atomica siamo tutti stufi e arcistufi).
Il problema del dieci si ripresenta quando arriva il turno di Tank, che non suona notturni di Chopin ma fa comunque un orale con fiocchi e controfiocchi che sembra a tutti assai indecoroso sigillare con un banale "nove", tanto più che il ragazzo ha sempre studiato come un castoro** ed è uno straniero arrivato sei anni fa digiuno di italiano ma che adesso parla e scrive meglio di quasi tutti i suoi compagni.
Ma come fare, se anche Tank si ferma al solito 9.46 e il dieci scatta solo a partire dal 9.50?

Sulla possibilità di dare o meno questi due dieci la commissione si incarta miserevolmente per più di un'ora in fase di scrutini, la mattina dopo. Il problema non è se dare o no il dieci, perché tutti noi siamo convinti che darli è opportuno - o, per dirla più esattamente, nessuno di noi è contrario a darli perché gli sembrano eccessivi. No, il problema è se possiamo, e soprattutto in che modo.

Preside e Vicepreside spiegano che la Circolare del Ministero non concede margini. Chiedo e ottengo pubblica lettura del passo incriminato.
E qui occorre una premessa giuridico-sostanziale: si tratta della leggendaria Circolare 46 del 26 Maggio 2011, quella con cui il Ministero dell'Istruzione detto MIUR spiega, due settimane prima dell'inizio degli esami di licenza media, come va fatto l'esame di licenza media e, tra le righe, lascia scivolare la notizia che - SORPRESA!! - la prova scritta della seconda lingua comunitaria (altrimenti detto Compito di Francese o di Spagnolo) va fatto da tutti, volere o volare, perché la notte prima il Ministero aveva deciso che non era più facoltativa - decisione che poi ha dovuto rimangiarsi***.
Per quanto riguarda la valutazione conclusiva dell'esame, si tratta di un documento malamente raffazzonato con materiali di riciclo dalla Circolare 49 del 2010 che a sua volta per la valutazione di fine anno citava il D.P.R. 122 del 2009. Veniva detto che il voto finale dell'esame “è costituito dalla media dei voti in decimi ottenuti nelle singole prove e nel giudizio di idoneità arrotondata all’unità superiore per frazione pari o superiore a 0,5”. (e questo viene dal D.P.R., cioè dalla legge). Segue un passo preso dalla Circolare 49 del 2010 che viene segnalato come molto importante: "Al riguardo è quasi inutile ricordare che tutti gli allievi ammessi all’esame di Stato hanno già conseguito nello scrutinio finale almeno un voto di sufficienza nelle diverse discipline. Sarà perciò cura precipua della Commissione e delle Sottocommissioni d’esame, e della professionalità dei loro componenti, far sì che il voto conclusivo sia il frutto meditato di una valutazione collegiale delle diverse prove e del complessivo percorso scolastico dei giovani candidati. Si cercherà così di evitare possibili appiattimenti che rischierebbero di penalizzare potenziali “eccellenze”». Il tutto, conclude candidamente la circolare 46," nella prospettiva di evidenziare i punti di forza nella preparazione dei candidati anche in funzione orientativa rispetto al proseguimento degli studi.
Inoltre è stata avanzata, da qualche scuola, l’ipotesi di applicare un “bonus” in analogia all’esame di Stato conclusivo del II ciclo d’istruzione. In merito si fa presente che tale istituto non è contemplato da alcuna norma per l’esame finale del I ciclo. Pertanto, va escluso che le Commissioni d’esame possano decidere in tale senso. ". In coda, la circolare spiega che se vogliamo possiamo dare la lode a chi ha dieci, purché la cosa venga decisa all'unanimità.

Non è proprio un testo chiarissimo, diciamoci la verità: prima ti spiegano che va fatta la media dei voti dell'esame e del voto di ammissione, Poi ti ricordano che all'esame si viene ammessi solo se c'è almeno la sufficienza nelle varie materie e perciò la commissione deve dare un voto che sia "il frutto meditato di una valutazione collegiale delle diverse prove e del complessivo percorso scolastico".
"Perciò una sega" viene da dire: cosa c'entra che l'ammissione è sufficiente, e soprattutto volete la media dei voti o volete il frutto meditato? Perché la media dei voti non richiede meditazione e fruttificazione alcuna, mentre un frutto meditato, che tenga conto delle diverse prove e del percorso scolastico e delle meditazioni più o meno fruttuose della commissione, può portare a risultati diversi dalla media calcolata con un foglio in excel.
Non solo, ma il frutto meditato viene meditato allo scopo di evitare possibili appiattimenti che rischierebbero di penalizzare potenziali "eccellenze".
Infine, per meglio chiarire le idee a chi legge si aggiunge che la Commissione non può assegnare un bonus come di fa alla maturità perché l'esame di licenza media non è l'esame della maturità. E grazie tante.
Dunque, non si sa se dobbiamo calcolare o meditare fruttuosamente, ma ci spiegano che non dobbiamo penalizzare le eccellenze e non dobbiamo dare il bonus della maturità, e in più si ricorda che quelli che fanno l'esame sono stati ammessi con tutte sufficienze - il che col resto del discorso sembra entrarci come il proverbiale cazzo a merenda.
Con un testo del genere ci sono gli estremi per stabilire che non possiamo alzare i voti perché il calcolo del voto finale è una semplice operazione aritmetica (somma dei voti e poi divisione per il numero delle prove) ma anche che li possiamo alzare, purché prima ci meditiamo fruttuosamente, anzi deve essere nostra precipua cura alzarli, se la nostra meditazione frutta in tal senso, qualora ci sembri di avere un'eccellenza da valorizzare. Due eccellenze, nel nostro caso, e tutt'altro che "potenziali".

La Vicepreside si era fermata alla prima frase, quella della media dei voti, e ne aveva concluso che non potevamo decidere di testa nostra. Io invece ho rivoltato come un calzino la frase successiva sulla precipua cura e la fruttuosa meditazione, insistendo sul rischio dell'appiattimento delle eccellenze e sulla valutazione come frutto meditato, e ho dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che il voto lo potevamo alzare, eccome.
Ho evitato con cura però di esternare quello che per me era l'argomento più valido: con una circolare formulata in quel modo, davanti a un eventuale e improbabilissimo ricorso saremmo stati in una botte di ferro, perché quel testo giustificava in partenza qualsiasi decisione prendessimo: dal momento che non spiegava quale delle due strade andava percorsa, se il calcolo aritmetico o la fruttuosa meditazione, ci autorizzava di conseguenza a percorrere quella che più parva opportuna alla nostra "professionalità". Sapevo però che gli insegnanti sono spesso una razza tremebonda e davanti a una circolare confusa si sentono in colpa perché non la capiscono e ne concludono che qualsiasi cosa faranno basandosi su quella circolare sarà sanzionabile; così, invece di rassicurare i colleghi spiegando che quella circolare era meglio del pongo e potevi dargli la forma che volevi, ho fatto una tirata sulle eccellenze e sul frutto meditato.

Qualcuno si convince, qualcuno ha paura, qualcuno non è convinto ma vuole dare quei due dieci ed è disposto a correre il rischio.
Si formano vari partiti. Uno sostiene che dare il dieci a uno dei due ci obbliga a darlo anche all'altro - siccome non c'è nessuno contrario a questo, anzi tutti trovano ciò cosa buona e giusta, non mi è ben chiaro perché su questo si discute per almeno dieci minuti, o meglio discutono, perché io non apro bocca e risparmio le forze per un'eventuale tirata finale.
Altri sostengono che con questo dieci i due fanciulli potranno usufruire di un assegno di studio, che è una bella cosa - e anche lì, nonostante nessuno trovi nulla da ridire all'idea che Sirius e Tank si godano il loro assegno di studio, la questione va per le lunghe.
La Preside Esterna, mitemente, suggerisce di alzare i voti degli scritti - che è più facile a dirsi che a farsi perché a Italiano e Matematica i voti sono già al massimo, mentre le prove delle lingue straniere sono state corrette con la griglia e quindi il voto (che è nove) non si può cambiare, così come il voto dell' Invalsi.
Certo, se i due avessero preso dieci anche all'Invalsi ci avrebbero levato le castagne dal fuoco perché sarebbe scattata la fatidica soglia del 9.50 che permette di dare dieci senza farsi tutte queste seghe, ma invece no, hanno preso solo nove.
Sempre mitemente, la Preside Esterna osserva che, visto che sapevamo che erano in zona dieci, potevamo ammetterli con voti più alti. Rimprovero ingiusto, secondo me, dal momento che, molto banalmente, ci eravamo limitati a mettere i voti che andavano messi, a loro come a tutti gli altri. Le tre gemme della classe - De Rossi, Sirius e Tank, erano stati ammessi con nove e con l'implicita possibilità di un dieci finale, ma era una possibilità che stava a loro portare a compimento facendo un esame da dieci. De Rossi aveva fatto un ottimo esame da nove e aveva risolto il problema alla radice, ma Sirius e Tank avevano fatto l'esame da dieci, e quindi non c'era motivo che non prendessero dieci. Se non c'è possibilità di alzare il voto di ammissione, a cosa serve l'esame? Lasciamo i ragazzi a casa a riposarsi, riposiamoci anche noi e amen, proprio non c'è motivo di scomodarci tanto, se c'è solo da confermare il voto degli scrutini di ammissione.
Nessuno di noi comunque ritiene utile o fruttuoso avviare una sottodiscussione du questo tema, e quindi la mite rimostranza della Preside Esterna viene accolta e seppellita da qualche mormorio generico, del tipo "eh, ma sa..."
Qualcuno suggerisce di mettere dieci e fregarsene, tanto un ricorso contro un dieci non si è mai visto a memoria d'uomo, qualcuno dice però che i documenti vanno al Provveditorato dove, se controllano... anche se la possibilità che al Provveditorato di Firenze, dove di solito non controllano nemmeno il molto che dovrebbero, si mettano a controllare le medie delle singole scuole, classi e alunni non sembra in verità molto probabile a nessuno.

Infine, dopo che tutti abbiamo detto tutto e il contrario di tutto, viene fatta la votazione e i due dieci diventano ufficiali. Mi sento assai fiera del risultato: perché senza la mia puntigliosa analisi si sarebbero tutti arenati davanti a quella circolare balzana e contraddittoria. Invece io, io, io e soltanto io sono riuscita, con la mia fluviale oratoria e la forza persuasiva dei miei argomenti, a dare un senso financo a un demenziale documento del MIUR, permettendo con ciò ai colleghi di fare quel che volevano fare - perché, a conti fatti, a questi due dieci non era contrario nessuno, Preside Esterna compresa.
Tuttavia non mi autorizzo a gioire né a stappare alcuno champagne interiore finché l'ultimo voto non è stato trascritto e l'ultimo cartellone firmato. E finalmente usciamo, per lasciare il posto alla commissione successiva.

Stanca ma soddisfatta passo il resto della mattinata a sgranocchiare i pasticcini che alcuni gentili colleghi hanno portato (a Hogsmeade c'è sempre qualche gentile collega che porta il frutto delle sue fatiche o passa da un buon pasticcere in queste occasioni) e chiacchierando del più e del meno. Una collega ci legge la raccolta delle perle della sua commissione, e all'unanimità viene votata come migliore la Guerra di Secessione tra nudisti e sudisti.
Infine una rapida riunione finale, dove vengono letti i risultati e proiettato un video costruito con una serie di fotografie della Decana, che una volta di più piange abbracciando tutti prima di lasciare per sempre la scuola. Siamo tutti commossi, e anche notevolmente stremati. Con la coda dell'occhio vedo i custodi che attaccano i quadri con i risultati.
Nessuno sapeva quando sarebbero stati attaccati questi quadri, nemmeno la segreteria, nemmeno noi - si era parlato del primo pomeriggio, del tardo pomeriggio o del giorno seguente, invece vengono attaccati poco dopo mezzogiorno. E mentre i custodi sono ancora lì che trafficano con il nastro adesivo, vedo i primi alunni che scendono per la strada che porta alla scuola per guardare i risultati. Come abbiano fatto a sapere che li avremmo attaccati a quell'ora è uno di quei misteri insondabili che solo chi è nato e cresciuto in un piccolo paese può capire.

*E dunque una volta tanto nella vita mi ritrovo a ringraziare l'inettitudine del Provveditorato di Firenze, grazie ai quali le nomine sono state fatte in ritardo. E' proprio vero, tutti, ma proprio tutti, facciamo qualcosa di buono nella nostra vita.
**ammesso che i castori studino
***Su tutta la spinosa vicenda si è soffermata a lungo e con alti lai LaProf a partire da qui e nei post delle due settimane successive. La lettura di questi post è comunque assai deprimente (anche se non per colpa della Prof, naturalmente).