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lunedì 19 aprile 2021

Lunedì Film - La bicicletta verde (film per le medie)


L'Arabia Saudita è un paese strano, per molti versi sconosciuto per noi comuni mortali occidentali. Sappiamo che esporta un sacco di petrolio, e che in quel modo si è arricchito assai. 
Tendiamo invece a dimenticare, o a non sapere, che è una monarchia assoluta, che prende volentieri i turisti occidentali ma rifiuta parecchie cose del nostro mondo (le sale cinematografiche, per esempio, chiuse 35 anni fa e cautamente riaperte, pochissime e in pochissimi posti ben scelti, solo poco tempo fa), che ha un sacco di immigrati per i lavori più umili ma che, come noi, ha cura di tenerli in uno strano stato di precarietà per cui è difficilissimo che siano in regola - e tante altre cosette, tua cui una legislazione sulle donne che al confronto l'Iran è un trionfo del femminismo.
Di recente ha fatto alcune caute aperture appunto verso le donne, per esempio dandogli il diritto di voto e di guida; tutte cose però che valgono fino a un certo punto perché per farle  ci vuole il permesso del wali, ovvero il tutore maschio appartenente alla famiglia che ogni donna deve avere, e senza la cui autorizzazione non può nemmeno uscire di prigione - come hanno scoperto con comprensibile stupore gli alunni della Terza Brillante quando gli ho assegnato appunto una ricerchina sulla condizione legislativa della donna in Arabia Saudita. E devo dire che su quest'ultimo punto mi sono sorpresa anch'io, tanto che sono perfino andata a controllare pensando "Ma chissà cos'hanno capito, questi qui". Ma sembra proprio che avessero capito benissimo, perché le conferme in rete abbondavano.

Nel 2012, grazie ad aiuti e finanziamenti internazionali vari, è nato il film La bicicletta verde - primo film girato in Arabia Saudita da una donna regista, Haifaa al-Mansour, quando ancora i cinema erano chiusi e gli arabi i film li noleggiavano per guardarseli a casa. Ed è un film con un certo tocco artigianale, girato tutto in interni o in esterni molto contenuti - un paio di strade, il tetto di un palazzo, un negozietto di quelli che vendono di tutto. Da allora la regista ha fatto altri film (all'estero, immagino, visti i soggetti) e solo nel 2019 ne ha scodellato un altro, La candidata ideale, ambientato in Arabia. Comprensibilmente, anche questo parla della condizione femminile in quel paese. E di che volete che parli, una donna che vive lì?

Da noi La bicicletta verde non è conosciutissimo al grosso pubblico, ma nelle scuole viene somministrato con una certa generosità, specie in occasioni tipo l'8 Marzo. Nonostante sia un po' statico e non vanti particolari effetti speciali, i ragazzi lo guardano con interesse, come si fa con un documentario ambientato su Marte. Cinquant'anni fa, devo dire, sarebbe suonato meno strano - ma questo i ragazzi non lo sanno e non sarò io a spiegarglielo. 
A un certo punto ho fermato la proiezione - Sapete perché non va bene che una ragazza così giovane vada in bicicletta? - ho chiesto - Attenzione, ci vuole un certo grado di perversione per arrivarci.
Han provato qualche ipotesi: perché si scopre le gambe, perché sembra troppo intraprendente... Poverelli, giustamente non ci arrivavano. Oggi è un altro mondo.
-No, per paura che si rovini la verginità - spiego.
Mi guardano perplessi.
-Avete presente, c'è l'imene, quella piccola membrana che si rompe al primo rapporto...
Sguardi sempre più perplessi - Sì ma...
Ci vuole davvero un certo grado di perversità per arrivarci: tutte le ragazze vanno in bicicletta, vergini o spulzellate che siano, tutti i ragazzi sono abituatissimi a vedere coetanee che vanno in bicicletta. Nessuno di loro, comprensibilmente, ha mai stabilito connessioni tra questo e un qualche rischio per l'imene. Ma io ho letto molto, ho una certa età e so che ancora all'inizio del secolo qualche dubbio in materia c'era, almeno in Italia.
Il film riprende. Ma quando arriva la scena che più mi aveva colpita quando l'avevo vista la prima volta - con  la protagonista che cade dalla bicicletta e la madre si precipita preoccupatissima, non, come qualsiasi madre sarebbe, per la paura che la figlioletta si sia rotta, ferita o anche solo sbucciata, ma appunto per il timore che abbia compromesso la sua verginità - non devo interrompere. Perché adesso lo strano passaggio risulta perfettamente chiaro.

La storia è molto semplice: c'è una ragazzina che vuole una bicicletta, e per comprarsela comincia a risparmiare e nel frattempo si fa insegnare da un amico come andarci. La madre non è affatto contenta. Il padre, a quanto si capisce, non è neppure informato della cosa. Del resto in casa non ci sta molto.
Non è una famiglia particolarmente arretrata, comunque: la madre insegna - anche se per andare alla scuola dipende da un autista uomo che porta lei e altre colleghe, e si fa cadere molto dall'alto per farlo. E il marito sarebbe molto disponibile a tenersi una sola moglie, ma disgraziatamente la madre non può più fare figli (dopo un parto molto rischioso è stata sterilizzata) e quindi non può dargli l'ambito figlio maschio che la famiglia pretende, così lui finirà per cedere e prendere una seconda sposa. 
Il singolo non può fare molto contro la società, specie in uno stato dove i limiti di libertà sono davvero ristretti. E non occorre spiegare che le feroci custodi dell'Ordine Stabilito (le insegnanti della scuola, per esempio) sono convinte di lavorare per il bene delle ragazze loro affidate: è evidente anche senza dirlo.
Non è colpa dei singoli, che sarebbero anche disponibili a cambiare le cose: l'amico della protagonista che le insegna ad andare in bici, il negoziante che la prende in simpatia e le tiene da parte la bicicletta verde (convinto che prima o poi lei riuscirà a trovare i soldi per comprarla), l'amica di famiglia che prova a convincere la madre a lavorare in ospedale, dove potrà stare senza velo (ma lei non si lascerà convincere).

Per procurarsi i soldi per la bicicletta, la protagonista affronta con mirabile determinazione una gara di lettura del Corano a scuola - ma al momento di ritirare il consistente premio in denaro fa la sciocchezza di dire che lo userà per comprarsi una bicicletta verde, e la direzione decide che il premio verrà invece devoluto ai profughi palestinesi.
Tuttavia la bicicletta  verde arriverà: sarà la madre a comprargliela, stufa di rispettare le regole, e il finale vede la bambina pedalare... ma sul tetto del palazzo.
Vabbé, è il pensiero che conta e si spera che la lasceranno pedalare anche per la strada.
Magari in futuro.

Il film dura novanta minuti. Anche se è un po' statico è molto scorrevole, e ai nostri occhi occidentali risulta talmente ricco di dettagli uno più sconcertante dell'altro che i novanta minuti passano in un lampo.
Ed è istruttivo, davvero molto istruttivo.

6 commenti:

Hermione ha detto...

Sai, una cosa simile accadde a mia nonna. Nel secondo dopoguerra lei, milanese, si ritrovò a vivere nel paese del marito, poche anime nel profondo della Puglia. Abituata a un clima di maggiore emancipazione, creò se non scandalo quanto meno stupore perché faceva cose che di solito le donne non facevano. Uscire a passeggio senza il marito, fumare e...andare in bicicletta. Attività evidentemente sconveniente per le donne, a prescindere dallo stato civile (mia nonna era sposata e già madre).

Unknown ha detto...

Cara Murasaki, io ho 59 anni e ho avuto lo stesso problema con mia madre per i Tampax...che tra l'altro mettevano nella terribile condizione di dover rovistrare troppo da quelle parti.

Pellegrina ha detto...

C’era un tempo un bel blog di cucina che, nella più pura tradizione della scrittura femminile appuntata su supporti e testi che dovevano servire a qualcos’altro, cioè a uno scopo pratico, raccontava gustosi quadretti quotidiani dell’Arabia Saudita, vista però da un’occidentale che viveva lì, in una città portuale petrolifera della provincia.
I testi erano scritti con garbo e qualche tocco ironico in uno stile BCBG maneggiato con grazia.
Il periodo più interessante è del 2010-2016 circa.
Purtroppo ora è stato rimaneggiato ed è difficile risalire ai post conologicamente.
Però potrebbe essere una fonte interessante per i tuoi alunni, tra l’altro in italiano, su un paese su cui in giro c’è veramente poco e che personalmente mi ha sempre affascinato nel senso di incuriosito. E ha il vantaggio di essere comunque una testimonianza di prima mano.
La palma dell’assurdità va ai bagni di una moschea installata in un centro commerciale (e già lì) in pieno deserto, presi d’assalto e trasformati in camerini di prova perché nei negozi di abbigliamento, ovviamente gestiti rigorosamente da soli uomini, è assolutamente impensabile che le clienti possano spogliarsi.
Cosa non si fa per popolare le vie della devozione.
Comunque oltre che le biciclette sono giudicati pericolosissimi anche i saponi solidi per l’igiene intima.
Concludo con una riflessione sui poveri profughi palestinesi che non si meritavano certo di destare l’odio dello spettatore per essere accomunati loro malgrado e a loro vera insaputa a una masnada di sadici insegnanti frustrati che ruba il premio all’alunna più brava e più abile.

https://www.arabafeliceincucina.com/
Le ricette? Allora le apprezzavo molto. Quelle pubblicate da quattro-cinque anni in qua sono veramente troppo USA style, ai limiti dell’insano per zuccheri, grassi et similia.

Murasaki ha detto...

@ Hermione:
Infatti, erano anni assai pesanti se appena lasciavi le grandi città (comunque ancora negli anni 50 fumare non istava affatto bene per una fanciulla, nemmeno in città...)

@Unknown:
Oh sì, i tamponi interni. Mia madre venne assai rimproverata perché mi permetteva di usarli (non da una povera vecchietta stordita della provincia, dalla giovane moglie di un assessore del comune di Firenze - che era una giunta tutta di sinistra)

@ Pellegrina
Grazie della segnalazione, può tornare utile e me lo guarderò.
Sì, quello del profughi palestinesi è un vero colpo basso, poveretti! Mi ha ricordato tantissimo certi filantropi di Dickens che costringono i loro figli a dare i soldi dei regali dei parenti per non so quale causa di evangelizzazione nell'Africa ^_^

Kukuviza ha detto...

Ma lo sai che io, che pur ho passato da un pezzo l'età dei tuoi studenti, non lo sapevo della cosa bicilette-rottura imene? E giuro che non mi era passato manco per la testa.
Anche io pensavo che fosse più una cosa di scoprimento gambe, oppure di posizione, tipo a cavallo. Perché ora mi viene il dubbio, la posizione femminile da cavallo è per non aprire le gambe o anche lì per il discorso dell'imene? Le cose non sono uguali certamente ma ora mi viene il dubbio...

Murasaki ha detto...

La posizione a cavallo, che io sappia, è per non scoprire le gambe. Considera che fino a poco tempo fa (ancora all'inizio del secondo dopoguerra, in Italia) le donne portavano solo la gonna. Il cosiddetto "costume da amazzone" usato dalle donne per cavalcare per tutto l'Ottocento comprendeva una gonna a sirena, piuttosto attillata, appunto perché cavalcando non ci fosse il problema delle gambe scoperte, che con una bella e comoda gonna ampia rischiava di presentarsi.
Quanto al problema dell'imene, so che negli anni 50 rappresentava una scusa comune per spiegare un cosiddetto Primo Rapporto (cosiddetto perché magari non era il primo, ma questo lo sapeva solo la ragazza e non voleva farlo sapere in giro) senza spargimento di sangue. Considerando che non sempre c'è poi tutto 'sto gran sangue, il problema si presentava anche per fanciulle illibate e allora veniva usata questa spiegazione.
In Europa, dove anche ragazze rispettabilissime andavano in bicicletta già alla fine dell'Ottocento, la questione era comunque un po' meno sentita: si supponeva che un uomo rispettabile prendesse per buona la scusa o magari che, semplicemente, si fidasse.