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lunedì 29 giugno 2020

Crudeli scrutini (gli Implacabili insegnanti di St. Mary Mead colpiscono ancora)

Un insegnante delle medie di St. Mary Mead in un momento di particolare implacabilità

Finita fortunatamente* la scuola arriva il momento degli scrutini, e tra le classi da scrutinare c'era anche la Seconda Invasata, dove già avevo dato prova di implacabile severità.
Stavolta avevamo alle spalle molte meno ore passate a lamentarci** perché le lezioni via rete rendono più difficile per gli alunni insultarsi e prendersi in giro. Mi erano bensì arrivate vaghe notizie di qualcuno che durante la prima lezione onlineera divertito a buttarne altri fuori dalla classroom, alla prima lezione, ma in suo  onore ci eravamo fatti ritoccare il programma e con me non aveva potuto dilettarsi in sì insulsa attività.
Nel complesso gli Invasati avevano partecipato (abbastanza), avevano studiato un po' (qualcuno anche a livello più che decoroso), si erano comportati bene. In parecchi avevano fatto in modo assai scialbo i miei rutilanti compiti creativi, in parecchi han fatto grandi difficoltà a mandarmi le cartoline che gli chiedevo, in diversi si erano fatti un po' di sconto sui compiti, ma insomma si erano per lo più mantenuti nei limiti della decenza e qualcuno aveva fatto delle belle cose, anche tra quelli del livello medio-basso.
Inoltre erano arrivate disposizioni quasi precise dal Ministero: dovevamo premiare l'assiduità, l'impegno e la disponibilità (senza tenere troppo conto, si capiva tra le righe, di risultati non eccessivamente brillanti).
C'era però il problema dell'Assenteista, che aveva avuto una crisi di rigetto e in sostanza durante l'anno aveva fatto ben poco, e con la Didattica a Distanza ancora meno. I genitori avevano piagolato che era tanto difficile trattare con lei e che non si voleva collegare in rete al momento delle lezioni - e infatti non si collegava.
Ecco, da qualsiasi parte lo si guardasse, quello dell'Assenteista per me era un cinque con tanto di fiocchi: presenze pochissime, un compito e mezzo su una buona dozzina...
Ma volendo era anche un sei, perché avevo due prove positive in presenza. Un po' stirate, ma sufficienti.
Ho meditato a lungo, cambiando il voto non meno di cinque volte.
Non mi spaventavano le scartoffie che quest'anno erano obbligatorie (e che richiedevano ben più tempo a descriverle che a redigerle) ma... dopo il cinque ci sarebbe stato l'esame di recupero a Settembre.
Ero sicura che un esame di recupero avrebbe sortito effetti benefici?
Nemmeno un po'.
Soprattutto: siamo alle medie. Anche ai miei tempi, e anche in circostanze normali, avrebbero rimandato qualcuno a Settembre in Geografia?
Ne dubitavo fortemente.
Le colossali lacune a Geografia sortivano, nell'ambito della sua preparazione, un effetto consistente nella sua preparazione?
Certo, come no: gravissime, irrecuperabili. Che speranza ha un povero alunno di affrontare la Terza se non conosce la penisola balcanica e i paesi del Patto di Varsavia?
Beh, sapere qualcosa sul Patto di Varsavia male non gli farebbe, in effetti. Ma tanto ne sentirà parlare a storia.
E poi, insomma, non prendiamoci in giro. Fosse Matematica, fosse Inglese. Ma Geografia?
Eddài, è una materia di appoggio.
Ma non è giusto verso gli altri...
Vabbé, non è che "gli altri" si siano mai molto preoccupati di lei, sono due anni che di mestiere là dentro lei fa la Scema del Villaggio e viene trattata di conseguenza.
No, non è esatto. In realtà una delle ragazze le ha fatto un certo sostegno morale: l'ha presa a casa sua per un paio di lezioni, ha svolto con lei un paio di compiti... una cosa molto apprezzabile, in effetti.
Insomma, sei anche all'Assenteista.
E otto invece che sette alla Diligentissima, che aveva lasciato il libro a scuola nell'armadietto, non aveva potuto mandare nessuno a recuperarlo nell'unico giorno in cui la scuola era stata riaperta ma, tra foto e fotocopie non ha perso un colpo nonostante per diverse settimane non avesse nemmeno il computer e nonostante le avessi detto che badasse soprattutto a tenersi in salute (visto che rientrava in una delle poche categorie a rischio tra i giovanissimi).
E voti un po' arrotondati a tutti gli altri.

In conclusione, l'implacabile prof. Murasaki si è ritrovata stavolta perfettamente allineata ai suoi colleghi di consiglio e la Seconda Invasata, a giudicarla dai quadri, sembrerebbe perfino una buona classe.
O suprema possanza della Didattica a Distanza!

* perché o finiva lei o saremmo finiti noi
** più esattamente a lamentarSI perché io non mi ci trovo poi malaccio, fermo restando che lavorano al minimo sindacale, e potrebbero fare assaissimo meglio

venerdì 26 giugno 2020

Ifigenia in Aulide - Euripide


A seguito di una interessante conversazione con un cugino* ho ripreso in mano quest'opera teatrale che da molti anni non rileggevo. 
La trama è abbastanza nota, e siccome si tratta di un dramma greco si può raccontare tranquillamente senza problemi di spoiler, dato che anche gli spettatori che lo videro la prima volta conoscevano benissimo la storia.
Siamo in Aulide, appunto, e la flotta greca scalpita per partire per Troia e fare la famosa guerra per riprendersi Elena. Agamennone è stato eletto capo della spedizione** ma fa una qualche stupidaggine che offende Artemide, la quale decide perciò di mandare venti contrari per impedire la partenza della flotta. 
Il povero Calcante, indovino al seguito dell'esercito, viene interrogato, indaga e scopre che, appunto, Artemide è arrabbiata e impedirà la partenza finché Agamennone non le sacrificherà la sua figlia maggiore, Ifigenia, una fanciulla appena in età da marito.
Agamennone comprensibilmente recalcitra, ma alla fine si fa convincere e manda a chiamare la figlia dicendo che la vuol dare in sposa.
Durante il prologo vediamo che Agamennone è molto pentito e scrive alla moglie Clitemnestra (del tutto ignara dei problemi creati da Artemide) per dirle che non se ne fa di niente. Il fratello Menelao intercetta la lettera e inizialmente fa una bella piazzata ad Agamennone, ma poi ci ripensa, capisce il punto di vista del padre che non vuole sacrificare la figlia innocente per rendere al fratello una moglie che tanto innocente non è e che sembrerebbe meglio persa che trovata e dice che, pazienza, farà a meno di Elena.
Disgraziatamente è troppo tardi; ed ecco arrivare Ifigenia, ovviamente accompagnata dalla madre molto contenta perché la figlia va a sposarsi, e al seguito c'è pure il piccolo Oreste, così il padre vedrà come cresce bene.
Agamennone si dispera, cerca di convincere la moglie a tornare indietro senza assistere al matrimonio (pretesa assurda che Clitemnestra non prende in minima considerazione) e si inventa che Ifigenia verrà data sposa ad Achille. Guarda caso, nel giro di un paio di strofe Clitemnestra scopre che Achille non ne sa niente.
Messo alle strette, Agamennone finisce per rivelare la verità. Clitemnestra cerca di farlo ragionare, Ifigenia piange perché non vuole morire, Oreste non dice una parola in tutto il testo ma probabilmente si sta già domandando in che razza di famiglia è finito e Achille proclama che farà di tutto, a costo di combattere contro l'intero esercito, per salvare Ifigenia - che poi, se crede, lo sposerà, lui ne sarebbe anche contento, ma non è quello il punto: il punto è che il suo nome non va usato per cogliere in trappola povere ragazzine innocenti e infilarle a forza in oscure trame. Quanto a Clitemnestra, esterna con molta decisione il suo estremo disappunto e dichiara che se Agamennone fa il sacrificio, lei troverà modo di fargliela pagare - una reazione più che comprensibile, in effetti.
L'esercito, informato della faccenda da (si suppone) Ulisse, si dimostra invece molto meno comprensivo di Menelao e molto meno cavalleresco di Achille e proclama che questo sacrificio s'ha da fare.
A questo punto - ma solo quando è chiaro che non c'è speranza, perché anche Achille avrebbe i suoi problemi ad affrontare l'esercito greco, Ifigenia toglie del castagne dal fuoco a tutti e accetta di sacrificarsi in nome dell'Ellade e della libertà. Clitemnestra disapprova e rifiuta decisamente di assistere al sacrificio - che non sarà tale perché all'ultimo momento Artemide rapisce la fanciulla e manda una bella cerva bianca da sacrificare al suo posto. 
Com'è noto, allo scambio con la cerva Clitemnestra non crede, anche perché nel frattempo Ifigenia è scomparsa - e di conseguenza il futuro coniugale di Agamennone non sarà dei migliori***.
Siccome sto parlando dell'Ifigenia in Aulide di Euripide, classico tra i classici, universalmente lodato, è inutile che perda tempo a dire quanto è bella e cose del genere, e anche che spieghi quanto mi è piaciuta: Euripide è uno dei miei autori preferiti, sin da quando l'ho incontrato la prima volta ai tempi del ginnasio, e l'ho sempre letto molto volentieri. Ma la storia di Ifigenia la conoscevo già da prima, perché è fra quelle raccontate in Storie della storia del mondo. Quando la lessi per la prima volta però ero una bambina, e ai miei occhi Ifigenia era, per quanto giovane, una ragazza "grande", e la sua era solo una delle tante storie greche, spesso drammatiche, che mi passavano sotto gli occhi.
Qualche anno fa, invece, scoprii che non era affatto una buona idea far leggere quel capitolo di Storie della storia del mondo a una prima media. Avevo portato con molta serenità le fotocopie a scuola e solo arrivata al punto in cui Ifigenia dice "Babbo, tu non vuoi che io muoia, vero?" mi accorsi del silenzio assurdo che c'era in classe. Venti ragazzi ciarlieri assolutamente ammutoliti e con l'espressione choccata. Perché per loro Ifigenia non era grande, era una coetanea. E suo padre l'aveva tradita nel più definitivo dei modi.
Una scelta didatticamente infelice, ammettiamolo.
E così per la prima volta vissi la storia di Ifigenia non come ascoltatrice da intrattenere, ma dal punto di vista della protagonista.
Quando arriva al campo, Ifigenia è una ragazzina. Corre tutta contenta dal padre, per cui ha una predilezione che anche Clitemnestra vede con benevolenza ("sei sempre stato il suo preferito, sin da quando era piccola"), e quando il padre accenna a un sacrificio che va fatto prima delle sue nozze dice tutta convinta che sì, è importante non trascurare gli dei.
Quando si rende conto di essere lei il piatto principale del sacrificio, improvvisamente le piomba addosso anche la consapevolezza di un mucchio di altre cose: che suo padre è disposto a sacrificarla; che ci sono ragioni politiche per cui un sacrificio come il suo (atto empio, impuro e sacrilego lo definisce Eschilo nell'Agamennone) è accettabile agli occhi degli adulti; che ci sono forze che suo padre non è in grado di fermare - né suo padre né il pur famosissimo Achille; che lei, per quanto potesse essere la coccola del papà, conta talmente poco da poter essere privata della vita pur non avendo mai fatto niente di male; che suo padre, anche se poi si è (un po') pentito, l'aveva già venduta; che la vita può essere molto ingiusta e gli dèi peggio che peggio; che per suo padre la politica conta più di tutto, anche della figlia prediletta.
Costretta a crescere tutto insieme, finisce per comprendere che la sua sorte è già segnata, che nessuno può più aiutarla e che l'unica scelta che le resta è di evitare un combattimento interno tra greci e la morte di Achille (che nel difenderla non sarebbe aiutato nemmeno dai suoi stessi uomini (che anzi sono quelli che scalpitano più di tutti perché il sacrificio ordinato da Artemide venga compiuto). Messa così con le spalle al muro decide di piegarsi all'inevitabile senza creare problemi a nessuno, facendo perfino del suo meglio per evitare rimorsi a suo padre: non solo accetta di morire, proclama fieramente di volerlo.
Io l'ho vista così.
Aristotele criticò quell'improvviso mutar d'animo sostenendo, appunto, che era troppo improvviso per lasciare coerenza al personaggio. Non sono d'accordo. Un po' di più posso forse condividere la teoria che dice, in sintesi, che Ifigenia sceglie di fare la brava bambina fino alla fine, ma a me sembra che Euripide racconti una storia diversa e una scelta più lucida.
Ufficialmente Ifigenia in Aulide è considerata una "tragedia a lieto fine", ma un vero lieto fine a ben guardare non c'è, perché proprio l'atto empio, impuro e sacrilego, per quanto non realmente avvenuto, dà la stura ad una serie di atti ancor più empi, impuri e sacrileghi che finiscono quasi per sterminare l'intera famiglia degli Atridi (che d'altra parte hanno una storia familiare fra le più agghiaccianti della letteratura di tutti i tempi anche prima del sacrificio di Ifigenia). 
È però un classico dramma euripideo, dove il vero cattivo è la divinità di turno, nessuno a parte Ifigenia si può definire buono ma in fondo tutti fanno del loro meglio: Clitemnestra che cerca di salvare la figlia, Agamennone che quasi rinsavisce e non vuol più sacrificarla, Menelao che rinsavisce del tutto, ma non prima di aver reso il sacrificio inevitabile, i greci che ormai sono lì e vogliono combattere, Calcante che fa il suo mestiere (ma parla con un po' troppe persone), Achille che sembra preoccupato soprattutto del suo prestigio personale, almeno all'inizio... ma c'è un altro grande Cattivo dietro le quinte: la Politica. Agamennone ama svisceratamente il suo posto di comando e per mantenerlo è quasi disposto a sacrificare la figlia, Ulisse manovra dietro le quinte perché la guerra si deve fare, l'esercito una volta scatenato non intende ragioni e nessuno riesce più a fermarlo, tanto che perfino i Mirmidoni di Achille trovano normalissimo e anzi doveroso sacrificare una ragazza innocente. Ifigenia dalla sua ha soltanto il (legittimo) desiderio di vivere e continuare a vedere la luce. Non basta, nemmeno un po'. Lo sappiamo tutti che a volte non basta.
Così questa storia vecchia di quasi tremila anni risulta deplorevolmente attuale anche ai giorni nostri: l'innocenza non ti dà diritto alla vita, se nasci nella famiglia o dalla parte sbagliata.
Di tutto questo però non ho parlato con mio cugino, anche perché mi è venuto in mente solo due giorni fa, dopo la rilettura.
Invece abbiamo parlato del sacrificio di Isacco. Siamo partiti dal catechismo**** e di come ai giorni nostri tendesse a sorvolare su certi episodi della Bibbia.
Per esempio, appunto, il sacrificio di Isacco.
A ben guardare le due storie sono davvero simili: una mattina un qualche dio si alza e dice "ehi, tu, sacrificami il tuo amatissimo figlio". Così, senza un motivo (del resto, non esiste un motivo valido per una richiesta del genere). In entrambi i casi la madre non viene messa al corrente (chissà perché), il fortunato prescelto prende per mano la vittima ignara e insieme si avviano all'ara e solo all'ultimississimo momento il dio o la dea di turno cambiano idea. Cosa pensa l'agnellino sacrificale di turno quando si accorge che era tutto uno scherzo non è dato sapere, anche se ci sono diversi racconti più o meno seri sul trauma che Isacco si porta dietro, e un bel po' di quadri dedicati ad entrambe le storie. Per esempio per Ifigenia abbiamo Tiepolo che senza dubbio presenta con molta chiarezza il concetto di vittima all'altare, ma molti altri si sono occupati del soggetto, con alterni risultati.

A Isacco invece è dedicato una delle tele più celebri di tal Caravaggio, che tra l'altro esprime con estrema chiarezza il punto di vista del ragazzo.



Tra le due storie ci sono però anche delle differenze.
Sono diverse le motivazioni dei due genitori, prima di tutto; Abramo è mosso da puro  spirito di obbedienza e sottomissione e nessuno (tranne forse Isacco, almeno sul momento) ci trova da ridire. Più avanti il sacrificio di Isacco verrà interpretato come una prefigurazione del sacrificio che Gesù compie in obbedienza al Padre, cioè dell'evento più importante nel cristianesimo*****. Comunque dopo aver salvato Isacco dio mostra di apprezzare molto l'obbedienza di cui Abramo ha dato prova davvero notevole.
Agamennone invece fa quel che fa in nome della guerra ventura, e secondo Euripide anche per il potere e la carriera (e per come ci viene di solito descritto Agamennone, ciò sembra assai probabile). Artemide a lodarlo non ci pensa nemmeno, e nessun altro lo fa anzi l'atto viene descritto come empio, impuro e sacrilego; più avanti nessun dio si preoccupa di proteggerlo dalle conseguenze di quell'atto, che saranno lunghe, assai articolate e finiranno col ricadere sull'innocentissimo Oreste. Perché il bello degli dei greci è anche questo: a disobbedirgli te la passi malissimo, a obbedirgli talvolta pure, e il povero Oreste ne sa qualcosa perché dopo aver ucciso sua madre in obbedienza a un preciso ordine di Apollo, mezzo pantheon si deve dar da fare per ottenerne l'assoluzione e la purificazione, che comunque arriva solo dopo che il poveretto ha condotto una vita decisamente grama.

Quel che io e mio cugino concludemmo dopo questa lunga e colta conversazione fu che, sì, certe storie è meglio maneggiarle con cautela quando gli ascoltatori sono molto giovani.
E comunque il gelato era ottimo e il pomeriggio fu molto piacevole.
Erano i bei tempi in cui si poteva riunire una tavolata di una dozzina di congiunti stretti per stare allo stesso tavolo senza che ad alcuno venisse in mente nemmen di lontano di biasimare la cosa.

Con questo post molto variegato partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma augurandomi che l'estate ci porti anche qualche raduno, oltre a molto tempo libero per leggere.

* che nonostante sia un cugino a pieno titolo non è particolarmente interessato alle leggende metropolitane
** carica che ricoprirà facendo non poche sciocchezze, peraltro.
*** molto giustamente, secondo me.
**** no, nelle intenzioni non era una conversazione colta. Eravamo a un compleanno multiplo estivo, e ci stavamo ingozzando di gelato dopo un pasto di quelli che cominciano con tre antipasti.
***** si potrebbe osservare che Gesù obbedisce al Padre, ma lo fa volontariamente e consapevolmente, al contrario di Isacco: d'altra parte la questione è abbastanza complicata perché, di fatto, Gesù è il Figlio ma è anche il Padre, quindi sarebbe strano se non obbedisse a ciò che lui stesso ha stabilito di fare. Ma sto divagando, né ho alcuna speranza di districarmi da un tal teologico ginepraio.

mercoledì 24 giugno 2020

Cronache dell'Esame che non è un esame - Colloqui a distanza, o presunti tali.

Non ho mai visto questo film.
Tuttavia il titolo rende bene l'idea.
Dopo aver letto gli elaborati, aver valutato gli elaborati e avere variamente commentato gli elaborati, era giunto infine il momento dei colloqui orali, dove sarebbero stati gli alunni che avevano fatto gli elaborati a parlare dei loro elaborati. E noi su quei loro discorsi avremmo dovuto valutare... boh, non si sa bene che cosa, ma insomma dovevamo valutare.
Non eravamo affatto tranquilli. In particolare, io scrutavo continuamente il cielo che prometteva pioggia, diluvio e temporali, e spesso li manteneva anche.
Quando a un esame normale piove non è di solito un gran problema: tutti, esaminatori ed esaminandi, prendono l'ombrello per ripararsi dalla pioggia mentre vanno alla sede degli esami e questo è quanto. Anche se le condizioni delle scuole non sempre sono ottimali, normalmente dentro non ci piove.
Stavolta saremmo stati tutti al comodo nelle nostre casette, ma la linea... ah, la linea.
"Che succede se durante gli esami parte il collegamento?" chiedo preoccupata dopo il secondo mini black-out di pochi secondi mentre i fulmini saltellano allegramente per il contado fiorentino.
"Eh...." sospira la vicepreside "Speriamo che non succeda".
"Cos'ha detto la preside?".
"La preside dice poco, perché è a fare la maturità da tutt'altra parte".
Normalmente nel corso degli esami delle medie il Dirigente Scolastico della scuola non dice alcunché, in quanto è impegnato a sovrintendere agli esami in altra scuola - ma abbiamo naturalmente un Dirigente Scolastico di altra scuola che ci assiste o intralcia, a seconda dei casi e comunque offre un qualche tipo di soluzione ai nostri dubbi e alle nostre ambasce.
Stavolta però la nostra Preside è stata precettata per dirigere gli esami di maturità, e si suppone che sia assai impegnata, ma non è stata sostituita da alcunché. E non è che le circostanze dell'esame siano delle più ordinarie - tanto per cominciare perché stavolta l'Esame non è un esame, bensì Stanislao Moulinsky in uno dei suoi più riusciti travestimenti.

Il primo giorno comunque il mio collegamento è decoroso. In compenso Musica ha la telecamera rotta e un bellissimo fondale arancione, degno di un fervente seguace di Krishna. D'altra parte una delle alunne ha portato un percorso che include anche l'India, quindi è tutto molto congruo.
Uno ad uno arriviamo tutti, esaminatori ed esaminandi, e i colloqui vanno a incominciare.
Andromeda ci racconta del suo percorso interstellare, raccontandoci quanto le stelle sono sempre state importanti per lei. Mentre ci spiega che nei momenti più difficili sin da piccola ha sempre trovato conforto nel contemplare la volta stellare si commuove ma continua a parlare. Più volte le lacrime affiorano, ma il percorso è brillantemente esposto. Alla fine Fisica le fa i complimenti e attacca una tirata spiegando che le sue lacrime non sono segno di debolezza bensì di forza. A quel punto Andromeda si scioglie vieppiù in lacrime.
In cuor mio dissento: da brava dama hejan, ritengo che le lacrime non siano segno né di forza né di debolezza, solo di profonda sensibilità e di raffinato sentire e non mi sembra il caso di insisterci sopra, ma me ne sto zitta e buona.
Il secondo colloquio è abbastanza balordo, ma la cosa rientrava nelle previsioni. Nessuno piange se non per il sollievo quando arriva la fine.
Al terzo Ippolita ci spiega il profondo affetto che da sempre la lega ai cavalli, e di nuovo si sfiorano le lacrime. Stavolta però ricorriamo tutti alla tecnica dello struzzo e facciamo finta di niente.
Ecco, a volte succede anche agli esami dal vivo che qualcuno pianga, ma di solito rimediamo con l'offerta di un kleenex e di un bicchiere d'acqua  e qualche pacca sulla spalla. In rete non si può.
D'altra parte non è mica tanto comune che qualcuno pianga all'esame. La tensione, d'accordo, ma di solito arrivano tutti ben armati e vanno via trionfanti...
Quando però si mette a piangere anche Ifigenia finalmente comprendo.
"Va tutto bene" la rassicuro  "Tutto questo succede perché non avete avuto l'ultimo giorno di scuola".
"Eh?" chiedono i colleghi perplessi mentre Ifigenia si asciuga gli occhi.
"Questi poveri ragazzi non hanno avuto il rituale dell'ultimo giorno, quando tutti si sciolgono in lacrime" spiego compunta "Quindi stanno facendo in contemporanea l'addio alla scuola e l'esame".
Dai microfoni arrivano vari "È vero" "Giusto" "Ecco che cos'era". Ifigenia finisce per mettersi a ridere.
"Benissimo. Chi vuol piangere pianga, va benissimo così" stabilisce Arte.
In un lago di lacrime l'Esame che non è un esame prosegue e la giornata arriva al suo giusto compimento.
Il giorno dopo però nessuno piange.
Tutte anime dure e insensibili?
Non proprio. Ma piove a dirotto e dire che il collegamento fa pena è fargli un complimento.
Non il mio: a Lungacque il tempo è bello e la mia connessione non crea problema alcuno.
Ma oh, quella degli altri, in particolare gli alunni!
Davvero non è il caso di definirli "colloqui". Al massimo "Tentativi malriusciti di".
Musica va e viene peggio di uno spirito in pena, gli alunni sembrano immersi nell'acqua o parlare dall'oltretomba. Disastro su tutta la linea, letteralmente - o meglio, disastro di tutta la linea.
Più che colloqui, sono stati atti simbolici di fede.
"Beh, non sarebbero stati comunque un granché" prova a consolarsi Matematica.
"Diciamo che è il pensiero che conta".
Nemmeno la possibilità di fargli un saluto decente, alla fine di un triennio.
Ma è inutile piangere sull'esame versato (che per fortuna non è un vero esame).
In assenza di colloqui valutiamo i non-colloqui e l'esame che non è un esame e chiudiamo la seduta con quaranta minuti di anticipo, al grido di "Prima finisce quest'anno di merda e meglio è".

L'Esame che non è un esame è finito, evviva l'esame.

venerdì 19 giugno 2020

Romanzo di un crimine (i libri con Martin Beck) - Maj Sjöwall e Per Wahlöö


Nel 1973, quando ancora facevo le medie ed ero assai amante dei gialli (come ora, del resto) vidi spuntare nella rastrelliera del giornalaio accanto alla scuola un volumetto giallo intitolato Il poliziotto che ride, con una fascetta che inneggiava al primo poliziesco scandinavo che era pure Premio Gran Giallo Città di Cattolica. In un colpo solo appresi così
- che esisteva un luogo, in Italia, chiamato Città di Cattolica (e che razza di nome era?)
- che in quel luogo dallo strano nome avevano un premio letterario per romanzi gialli
- e infine che, volendo, avrei potuto comprarmi con poca spesa un giallo svedese (sì, ignoravo l'esistenza di Città di Cattolica ma la Svezia sapevo benissimo cos'era: la patria di Pippi Calzelunghe).
Apprezzavo molto la collana dei Gialli Garzanti, che conteneva libri un po' diversi dai Grandi Classici Mondadori - più internazionali, spesso più moderni. Tra l'altro avevo un grande amore per i tascabili Garzanti in generale, anche perché avevano un formato molto più comodo di quelli Mondadori, che erano un pelo troppo alti per buona parte degli scaffali della mia libreria componibile e che con la loro presenza mi obbligavano a sacrificare un palchetto.
Insomma guardai il libro, il libro mi guardò di rimando, e qualche giorno dopo lo comprai.
Mi piacque moltissimo. Funzionava in modo diverso da quelli della Christie: non c'era l'Investigatore, ma una squadra di polizia ben descritta, un sacco di piste morte, un sacco di tasselli più o meno significativi. E poi c'era la Svezia, che mi si aprì davanti in tutta la sua modernità: un mondo diverso, che non se la tirava troppo ma era ben organizzato e dove tutti sembravano molto più ricchi e assai meglio assistiti che da noi e c'era molta meno retorica e molti meno pregiudizi.
senza grandi pretese e con molti meno pregiudizi. E tutta quella gente così spettacolarmente libera di andare e venire come gli pareva, anche le donne, anche i ragazzi (due categorie che, comprensibilmente, mi stavano molto a cuore). In una pagina Martin Beck riflette in tono critico che sua figlia, a sedici anni, ha un orario per rientrare (mezzanotte) anche se ha sempre mostrato di sapersi badare benissimo, mentre nessuno si è mai sognato di darne uno al figlio minore, assai più stordito "ma lui era un maschio" - in pratica criticando la mentalità retrograda in cui viveva immerso e che andava avanti per forza d'inerzia. Pur cresciuta in una famiglia abbastanza liberale, mi sembrava che Ingrid ricevesse comunque un trattamento di lusso anche se, certo, era un peccato che fosse un po' meno lussuoso di quello ricevuto dal fratello.
Adorai la Svezia, in blocco, senza remore. La adoro tuttora. Non oso pensare a quanto avrebbero scosso la testa gli autori, se avessero saputo quel che mi passava per la testa mentre leggevo quei libri che loro avevano scritto per denunciare l'inqualificabile grado di corruzione e disordine in cui vivevano laggiù.

C'era anche una bella trama gialla: una notte qualcuno sale su un autobus (in un orario in cui da noi gli autobus non si sognavano nemmeno di circolare) e ammazza tutti i passeggeri per poi andarsene tranquillo per i fatti suoi perché la Svezia era un paese moderno e brulicante di vita ma alle undici e un quarto parecchi se ne stanno a casa a dormire e quindi il posto era piuttosto deserto.
E tutti a studiare le stragi americane, a ricostruire i complessi meccanismi psicologici che possono aver portato qualcuno a fare una cosa del genere... fin quando Martin Beck osserva che di solito gli autori di stragi non studiano il modo di svignarsela.
Da lì si passa a cercare di capire se il Qualcuno magari voleva uccidere uno dei passeggeri in particolare, indagando sulle vittime. Interrogatori di amici, parenti, conoscenti e vicini degli sfortunati passeggeri. La Squadra Omicidi arriva alla soluzione un pochino alla volta, entrando nelle case dei testimoni, portandoli a pranzo, ascoltando una serie di chiacchiere più o meno inconcludenti. E pezzo a pezzo impariamo anche un sacco di cose sulla vita privata degli investigatori della Squadra Omicidi, che son gente normalissima che spesso tiene famiglia e vive la vita di tutti i giorni.
Siccome non era piaciuto soltanto a me Garzanti continuò a pubblicare i libri della serie (Il poliziotto che ride era il quarto): quelli pubblicati prima, quelli pubblicati dopo...
Poi la collana si fermò e io me ne dimenticai, salvo rileggerli ogni tanto. Anni dopo scoprii che in Italia non ne erano arrivati tre, e li presi in inglese. Li lessi, più o meno, ma trovai la cosa piuttosto complicata - d'altra parte, era sempre meglio che niente.
Passarono molti altri anni; dalla Scandinavia arrivarono un sacco di altri gialli. Provai a leggere qualcosa ma mi annoiavano, ed erano così deprimenti... Nel frattempo Andrea Camilleri, che a suo tempo come me li aveva letti e apprezzati, suggerì a Sellerio di ripubblicarli.
Sellerio fece un lavoro di fino: prima di tutto tradusse non dalla versione inglese, come avevano fatto alla Garzanti, ma dallo svedese. E poi li tradusse tutti, e in versione integrale. Perché nell'edizione Garzanti mancava un buon terzo del testo, principalmente le osservazioni politiche di cui il testo era ben farcito e una grande quantità di dettagli legati alla vita svedese. E io che mi ero tanto infervorata con solo quel poco che avevano lasciato! Troppo facile prendere in giro una povera ragazzina inesperta delle medie, che oltretutto all'epoca nemmeno sospettava che avrebbe percorso le impervie strade della filologia né avrebbe saputo a che porte bussare per controllare se in un libro mancasse qualcosa.
Accidenti agli editori (ma non all'editore Sellerio, naturalmente).

Passarono anni prima che mi accorgessi che la Squadra Omicidi di Stoccolma era tornata in Italia e, convinta com'ero di averne già sette aspettai con pazienza che arrivassero anche quelli che non avevo. Poi un giorno trovai il primo, Roseanna, in biblioteca, e rimasi sorpresa dell'altezza del volume. Scoprii che era una nuova traduzione e decisi di assaggiarlo. E mi accorsi, con il disgustato orrore che provo sempre in questi casi, di averne letta una versione ridotta.
Come per i libri di Agatha Christie. Come per Piccole donne
Abominio e perversione! Scandalo! Depravazione!
E accidenti agli editori italiani, una volta di più (ma non a Sellerio, Adelphi e Einaudi).
Rallegriamoci; almeno Orgoglio e pregiudizio l'ho letto in edizione completa sin da bambina. E non è poi così scontato. Ma, davvero, questa vita è una giungla e non sai mai se puoi fidarti di qualcuno.

Naturalmente li ho ricomprati tutti. Più esattamente, ho acquistato i tre volumi della foto. I primi casi di Martin Beck contiene i primi tre: Roseanna, L'uomo al balcone, L'uomo che andò in fumo. Il secondo volume Martin Beck indaga a Stoccolma contiene Il poliziotto che ride, L'autopompa fantasma, Omicidio al Savoy. Il terzo Ultimi casi per Martin Beck contiene L'uomo sul tetto, La camera chiusa, Un assassino di troppo, Terroristi.
Ognuno dei romanzi è corredato da una introduzione fatta da nomi illustri: Camilleri, per esempio, che ci racconta appunto di come gli era piaciuto leggere quei gialli della Garzanti e come gli fosse venuto in mente di farli riproporre al pubblico italiane, oppure Anne Holt, giallista di gran rinomanza. 
Da queste introduzioni scoprii un sacco di cose; per esempio che ognuno dei romanzi ha il sottotitolo originale Romanzo di un crimine. Infatti questa serie nacque (oppure diventò col tempo, non saprei dire) come un unico romanzo diviso in dieci parti, uno per anno, dal 1965 al 1975, che aveva lo scopo di descrivere la società svedese, con le sue molte ombre (?), i suoi orribili difetti (??) nonché gli orribili sfaceli che andava generando per colpa della corruzione interna e dell'autoritarismo del regime (???). I due autori erano sposati, e il marito morì proprio dopo l'ultimo dei capitoli del Romanzo, il che è molto triste. Il progetto venne condiviso punto per punto e i due scrivevano un capitolo per uno dopo aver fissato la scaletta.
Insomma, un Lungo Romanzo in dieci capitoli figlio punto per punto di quei magici anni rivoluzionari, molto occupato a criticare il regime: un romanzo a tesi, insomma. Di cui qualcuno, nelle varie introduzioni, osserva come quelle critiche al giorno d'oggi sembrassero magari un po' estremizzate, ma che all'epoca erano perfettamente intonate allo spirito dei tempi. I romanzi di Martin Beck non erano soltanto dei libri da leggere sotto l'ombrellone, ma, come dire, "portavano avanti il discorso" ed erano assai stimati dalla critica.
Beh, anch'io come lettrice li stimavo moltissimo, non c'è dubbio; anche se i miei occhi italiani vedevano la questione sotto una luce un po' diversa. Certamente il paese era il loro, i due lo conoscevano bene e se gli sembrava il caso di criticarlo facevano benissimo: Ma io ero italiana e vivevo negli anni di piombo, in mezzo a un continuo alternarsi di terrorismo di destra e di sinistra dove le spiegazioni ufficiali sembravano talmente improbabili da rendere complottista anche il più fiducioso degli individui, e per quanto radicale e pure un pochino rivoluzionaria leggendo la versione addomesticata di Garzanti la critica spietata e radicale non la colsi affatto; e se ogni tanto qualche componente della Squadra Omicidi si immergeva in cupe riflessioni esistenziali sul mestiere di poliziotto, l'eccesso di autoritarismo del mondo che lo circondava eccetera lo trovavo molto bello e raffinato da parte sua, e del resto dove stava scritto che un poliziotto non potesse interrogarsi sul Bene, il Male, il Potere e l'Autorità, come qualsiasi altro essere umano di questa terra? Ma, appunto, le vedevo come riflessioni esistenziali, non legate a problemi reali. Siamo seri, da noi c'era una legge che prescriveva che autorizzava all'arresto, in nome dell'ordine pubblico, di chiunque si aggirasse con fare sospetto in un qualsivoglia luogo!
Ma è pur vero, come ho scoperto col tempo, che le sue zone d'ombra anche la Svezia le ha e le ha avute, e per tutte le pagine dell'ultimo romanzo (quello dove la critica al regime è più aperta e dichiarata) la lettrice contemporanea ha rievocato ad oltranza l'assassinio del premier Olaf Palme avvenuto nel 1985 in pubblico e solo molto di recente, sembra, risolto (quando già l'assassino era da tempo morto e sepolto - roba da far invidia perfino all'Italia, dove quanto a indagini interminabili e mai completate non ci siamo davvero fatti mancar niente).

In questi dieci romanzi c'è di tutto: serial killer, delitti per cause privatissime, omicidi a sfondo sessuale, delitti incastrati uno dentro l'altro, cold case, storie di spionaggio, omicidi per cause sociali, omicidi per vendetta, intrighi internazionali e perfino un classico dei classici, ovvero un delitto della camera chiusa. Indagini lentissime e indagini fulminee, indagini contorte e indagini che girano a vuoto, indagini bloccate finché arriva un piccolissimo aiuto del caso, molto più spesso indagini condotte sobriamente seguendo le piste più logiche che prima o poi da qualche parte arrivano.
Nel corso dei dieci anni e dei dieci volumi la Squadra Omicidi si fa una sua reputazione, cambia alcuni uomini e alla fine viene (forse) smantellata. Il gruppo degli investigatori cambia un po' nella sua composizione e i singoli ispettori si sposano, divorziano, si riproducono, traslocano, cambiano reparto, cambiano lavoro - insomma vivono. E indagano, ognuno col suo metodo e le sue caratteristiche.
I singoli capitoli del romanzo sono costruiti con la tecnica a mosaico e i punti di vista di vittime, assassini, delinquenti, testimoni casuali, uomini politici e investigatori si sommano e si sovrappongono. Vediamo un sacco di case e di abitazioni (non sempre le due cose coincidono) che regolarmente descrivono gli abitanti. Conosciamo anche le città: non soltanto Stoccolma, ma anche Malmö - dove prima o poi una capatina viene quasi sempre fatta e dove sta un abile poliziotto che è in un certo senso un componente esterno della Sezione - più un po' di Copenhagen e qualche paesello più o meno sperduto. Ci si sposta in aereo, in aliscafo, in battello, in macchina, in taxi, in metropolitana e spesso anche a piedi, si consumano pasti sontuosi e pasti rabberciati, si raccattano indizi e prove grazie alla Scientifica, ai sopralluoghi e alle segnalazioni di più vari tipi, si consultano registri automobilistici ed elenchi telefonici - mirabile il momento in cui si scopre che il cognome di un testimone assolutamente indispensabile da rintracciare al più presto è... Andersson, ovvero uno dei cognomi più comuni di tutta la Svezia.
Martin Beck è quello che tiene insieme tutte le fila e di solito finisce per trovare la soluzione. Non è una persona particolarmente carismatica e brillante e non tende a mettersi in mostra, pur finendo per accumulare suo malgrado una certa fama che considera alla stregua di una grande scocciatura e un notevole credito tra i colleghi di cui si rende conto a malapena ma riesce a sviluppare una certa empatia con tutti, compresi gli assassini e i lettori. Non si può nemmeno definire un poliziotto anomalo, perché non ha niente di particolarmente anomalo, al massimo qualche caratteristica personale - ma chi è che non ne ha? Oggi i poliziotti un po' scialbi e in perenne crisi esistenziale sono piuttosto comuni, ma lui è stato il primo e secondo me il migliore.
La Squadra Omicidi di Stoccolma invece non è stata la prima squadra di poliziotti della storia del giallo (credo che la capostipite sia stata l'87° Distretto di Ed McBain che non so perché le uniche volte che l'ho assaggiata mi ha annoiata a morte, ma molte altre sono venute dopo) ma è sempre stata la mia preferita.

In Italia questi libri sono rimasti un fenomeno di nicchia, e sono molto meno conosciuti dei gialli nordici moderni. Nonostante una certa impronta ideologica però io li ho sempre trovati una lettura fresca e molto vitale e sono molto contenta di averli letti (e riletti).

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma ed auguro un felice solstizio d'estate a chiunque passi di qua.

Su personaggi del passato non sempre del tutto allineati con la morale e i costumi dei nostri giorni

Esempio di un personaggio storico piuttosto discusso: Vlad III principe di Valacchia. Ha avuto, tra l'altro, fama di principe rigoroso ma giusto, fama di sanguinario (giustificata, sembra) e fama di vampiro (ma di vampiri si cominciò a parlare solo un paio di secoli dopo la sua morte). Di sicuro difese il suo paese contro gli invasori.

In questi giorni capita spesso di vedere messi in discussione illustri personaggi storici e uomini di cultura che da vivi si sono talvolta comportati in modo allineato ai costumi del tempo, ma che ai nostri moderni occhi risultano aver agito in modo assai discutibile. sul piano etico.
A ciò risponde spesso il lamento "Ma sono 745 anni che onoriamo e rispettiamo il tal dei tali, proprio ora dovete svegliarvi e accorgervi che non rilasciava mai gli scontrini? Ai suoi tempi gli scontrini non c'erano!". Al che segue una risposta del tipo "Vero, non c'erano scontrini, ma comunque lui non rilasciava nemmeno le ricevute (che c'erano eccome) e su questa base non pagava le imposte dovute, con gran danno dell'erario". Il che magari un po' è vero, un po' no ma sappiamo tutti che i suoi servi non se la passavano granché bene e che aveva fatto mettere una tassa sui calzini gialli che non pagava mai, pur portandoli regolarmente in pubblico.
E tutto ciò un po' fa ridere e un po' ha un senso, e comunque nessuno è perfetto, ogni generazione ha i suoi idoli da distruggere, il tempo passa e le cose cambiano e non è vero che i gatti sono opportunisti e se ne fregano di te. Eccetera.
A questo proposito vorrei citare un personaggio che mi ha sempre lasciato incerta e dubitosa.
Nel corso della mia carriera scolastica ormai quasi ventennale ho insegnato in varie scuole, e si sa che ogni scuola ha un nome.
Alcune sono intitolate a grandi artisti e scienziati del nostro paese: Leonardo da Vinci, Dante Alighieri, Michelangelo Buonarroti, Benvenuto Cellini.
Altre a grandi figure internazionali che hanno condotto battaglie in nome dei diritti umani: Martin Luther King, Gandhi, Iqbal Masih, Malala Yusafzai.
Oppure a figure di spicco nella storia dell'istruzione e della pedagogia italiana: Gianni Rodari, Maria Montessori, Maria Maltoni, Maria De Mattias, Lorenzo Milani.
O a grandi scrittori degli ultimi due secoli: Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Luigi Pirandello...
... Giovanni Papini.
In Toscana ne abbiamo quattro, di queste scuole, e in una ho anche lavorato per diversi mesi, quando stavo a Firenze.
Sui meriti artistici di Giovanni Papini come scrittore si possono avere varie opinioni. La mia è sempre stata molto chiara e ben delineata, e personalmente non gli intitolerei nemmeno un tombino delle fogne o un cassonetto della raccolta indifferenziata. Aveva quel tipo di prosa tronfia e roboante che mi fa venire l'orticaria già dopo mezza riga. L'unica volta che ho letto una delle sue pagine anticlericali ho provato un intensissimo desiderio di iscrivermi ai focolarini, e l'unica volta che ho letto una sua pagina da cattolico (che mi sono pure dovuta imparare a memoria per una recita scolastica) il mio disamore verso la nascita del Redentore toccò punte mai raggiunte né prima né dopo e che perfino all'epoca trovai eccessive. 
Giovanni Papini è uno di quegli autori che mi fa considerare con una certa larghezza di venute la possibilità di un rogo di libri.
Tra l'altro costui è l'autore di uno scritto che viene citato in numerosi manuali di storia delle scuole per meglio descrivere lo spirito interventista italiano ai tempi della prima guerra mondiale (e va detto che lo descrive proprio benino): Amiamo la guerra, che già dal titolo dire che fa a pugni con la nostra moderna sensibilità è una elegante litote.
Celebre e sempre riportata è la frase Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.
Le classi la ascoltano sempre con sembiante assai perplesso.
Ma è il caso di dedicare delle scuole a un uomo che ha professato principi del genere, che possiamo solo non dico giustificare, ma ingollare bene o male che sia ricordandoci del tempo, del contesto, del gran desiderio di scandalizzare i borghesi eccetera?

Comunque Papini non è stato solo un guerrafondaio. Si è occupato di molte altre cose: di scuola, per esempio. Scrisse anche un trattatello dal suggestivo titolo di Chiudiamo le scuole. Tutte, di ogni ordine e grado. E pazienza per gli insegnanti che restano disoccupati. Chiudiamole tutte per il bene, prima di tutto fisico, dei giovani (non voglio sapere cosa avrebbe pensato dell'intervallo da trascorrere in classe. Probabilmente è un campo dove, a sorpresa, ci saremmo ritrovati uniti da una perfetta sintonia di animo e di cuore).
Chiudiamole poi anche per la loro totale inutilità che spesso e volentieri sconfina nel danno:
L’unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c’è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione.
Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé.
Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene – e non tutti ci arrivano.
Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati.
Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico.
Insegna (pretende d’insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d’ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Nonostante la scrittura assolutamente orrida a' miei occhi di dama hejan assai desiderosa di armoniose sfumature (e qui di ricerca di armonia ce n'è davvero pochina), ritengo che le argomentazioni di Papini non manchino di una loro validità; e sono infatti state riprese, tutte, qualche decennio dopo, in occasione del leggendario 68 - e in qualche misura han circolato  anche prima e dopo. Tutte. Tra l'altro, magari in forma un po' attenuata, alcune trovano una certa risonanza anche in molti di noi che nella scuola, con la scuola e per la scuola lavoriamo.
E di nuovo sorge la domanda: è il caso di dedicare delle scuole a un uomo che esorta senza mezzi termini a chiuderle tutte?
Forse. Magari lo si potrebbe fare in nome di una scuola non autoritaria e non repressiva, per esempio. Come monito per tutti quelli che nella scuola ci lavorano - qualcosa, insomma del tipo "Dimostriamogli tutti insieme come avesse torto". Perché no?
In quel caso però le scuole in questione andrebbero decorate con grandi scritte che riportino passi scelti di questa sua opera, come monito e incoraggiamento a ben operare verso una Scuola Ideale, non basata sulla repressione e l'autoritarismo.

In questi giorni va di moda distruggere statue. Io, più quietamente, sarei disponibile a togliere qualche targhetta dedicatoria.

giovedì 18 giugno 2020

Sono arrivate le mascherine! (post più scolastico di quel che potrebbe sembrare)

Il Bravo Insegnante cura molto l'outfit, anche in caso di pandemia
Costretto alfine a rendersi conto che in qualche modo la scuola dovrà riavviarsi in presenza, il Ministero dell'Istruzione continua a farneticare di pannelli divisori in plexiglas, (la cui inevitabile sorte è stata mirabilmente descritta da chi conosce la scuola) di classi di dieci alunni e di un sacco di altre assurdità tra cui l'agghiacciante prospettiva di ritrovarci tutti in classe con la mascherina - ipotesi, quest'ultima, che ha effettiva possibilità di verificarsi e che si potrebbe perfino rivelare di una qualche validità.
Nel dubbio, comunque, meglio attrezzarsi.
Così, quando il gattile di questa zona ha lanciato le mascherine a gatti mi sono precipitata a ordinarle - ma per quanto mi sia precipitata, la prima mandata si è volatilizzata in men che non si dica. Comunque la volontaria si è rimessa subito al lavoro, e oggi finalmente è arrivato il desiato pacchetto.
Mascherine in cotone, si lavano e si stirano, si sterilizzano col ferro a vapore. E sono decorate da eleganti motivi gattosi. Due le regalo, ma le altre quattro me le tengo.
Che almeno questi adorabili felini impreziosiscano con la loro presenza le brulle aule scolastiche in sì deplorevole circostanza! E se non altro, i ragazzi avranno qualcosa di carino da guardare e potranno farsi quattro risate alle mie spalle senza arrecarmi offesa alcuna.

Naturalmente il ricavato è andato al gattile. Il quale gattile in questo periodo non se la passa troppo bene perché in primavera non ha potuto partecipare ad alcun mercatino (dove le volontarie vendono gran copia di oggetti gattosissimi, spesso confezionati a mano) e naturalmente in tanti hanno problemi economici e han dovuto tagliare le donazioni. Triste, ma inevitabile. E ancor più naturalmente non è il solo gattile o canile o centro di assistenza di animali ad avere di questi problemi.
Così, oltre a mostrare il mio (possibile)  futuro accessorio scolastico, ne approfitto per ricordare a chi passa di qua che i gatti e cani e conigli eccetera abbandonati non hanno avuto problemi di coronavirus ma continuano a mangiare esattamente come prima, e se vi capitasse di voler lasciare un piccolo contributo a chi li assiste nella vostra zona, ecco, sarebbe un pensiero davvero molto carino da parte vostra.

martedì 16 giugno 2020

Cronache dell'Esame che non è un esame - The Mysterious Affair Of The Elaborato

L'immagine raffigura uno strumento di orientamento particolarmente efficace: l'aletiometro.
Peccato che non sia facilissimo trovarne uno.
Il 16 Maggio 2020, con comodo e senza fretta, Il nostro Ministero si è infine degnato di mandare qualche svagato cenno su come andava svolto l'Esame di terza media che non è un Esame; e subito fu pianto e stridor di denti.
Tale Esame Fantasma consisteva prima di tutto in un elaborato, parola misteriosa che già da qualche tempo circolava tra i Dirigenti Scolastici. E avrebbe dovuto essere trasmesso via cavo o in altra idonea modalità concordata.
Piccioni viaggiatori? Telepatia? Pare che fosse possibile perfino portare dei fogli di persona a scuola, dove apposito personale avrebbe dovuto prenderlo, immagino con lunghissime pinze, e passarlo in qualche modo ai docenti che ne dovevano prendere visione. Perché, con il venti per cento dichiarato di casi in cui la Didattica a Distanza non era potuta avvenire poteva darsi, sì, effettivamente poteva darsi, che qualche sventurato cavernicolo non fosse in grado di consegnarlo altrimenti (per fortuna a St. Mary Mead così non è stato).
E cosa avrebbe dovuto esserci, in questo elaborato?
Viene spiegato nell'Ordinanza che esso elaborato inereva* una tematica condivisa dall'alunno con i docenti della classe e assegnato dal consiglio di classe. Cotal tematica è individuata per ciascun alunno tenendo conto delle caratteristiche personali e dei livelli di competenza dell'alunno stesso e consente (all'alunno, si suppone) l'impiego di conoscenze, abilità e competenze acquisite sia nell'ambito del percorso di studi, sia in contesti di vita personali, in una logica trasversale di integrazione tra discipline.
Si poteva dirlo in modo più contorto, inutilmente complicato e incomprensibile?
Solo con molta difficoltà, ritengo.
Accantoniamo il verbo inenere (per altro facilmente traducibile con trattare, riguardare o qualche altra decina di verbi almeno vagamente comprensibili). Ma la prima domanda che si è imposta all'attenzione, in tutte le scuole del regno, è stata "Ma insomma, 'sto cazzo di tematica, gliela dobbiamo assegnare noi o l'alunno se la assegna (individua) da sé?".
Dopo decenni in cui l'alunno si sceglieva un percorso più o meno collegato per le varie materie (di solito costruito intorno a una tematica, ma mica sempre e non per tutte le materie) ecco che compare la tematica.
Naturalmente in ogni scuola del regno, immagino, si sarà seguita la procedura "dicci, tesoro, cosa vuoi portare?" a cui sarà seguita una risposta del tipo "il calcio" oppure "l'evoluzionismo del riccio delle Bermude"** e la pacata affermazione da parte dell'insegnante "Benissimo, te lo assegniamo"; ma non capisco perché complicare la questione in questo modo. Quanto all'idea di consentire l'impiego di conoscenze, abilità eccetera che la creatura attinge anche dalla sua vita personale, vabbé, grazie tante ma forse ci sarebbe venuta in mente anche se non ce lo suggerivano.
"Volevo parlare del cavallo". "E perché mai? A scuola non teniamo cavalli" "Ma io faccio equitazione da quando avevo quattro anni e adoro i cavalli!" "Affari tuoi, non ci interessa. Ti assegniamo invece un elaborato sulle leve".
Mapperpiacere.

E dunque ecco la ragazza alle prese con i suoi ricci delle Bermude. Come deve confezionare l'elaborato?
L'elaborato potrà essere realizzato sotto forma di testo scritto, presentazione anche multimediale, mappa o insieme di mappe, filmato, produzione artistica o tecnico-pratica.
Commovente. Nel 2020, e dopo tre mesi di didattica telematica, accettiamo anche slide o filmati.
Non disponete di lastre di pietra e scalpellini in quantità adeguata? Avete finito le scorte di pergamena? La vostra oca-da-penne preferita è stata mangiata al pranzo dello scorso Natale e avete finito sia la china che il succo di more? 
Niente paura, accettiamo perfino gli ipertesti.
Siamo gente tecnologizzata, ormai.
Da una buona dozzina di anni, ma questi son dettagli.

Un elaborato piuttosto generico, da confezionare a rotta di collo per l'alunno, da leggersi ognuno in dignitosa solitudine per i docenti, e su cui in seguito scambiare due parole con l'alunno. Cosa mai potrebbe andare storto?

Il 16 Maggio, giorno di emissione dell'Ordinanza che inereva l'elaborato, era Sabato. Lunedì 18 la macchina infernale si è messa in moto: con santa pazienza i Presidi han letto e decifrato l'astruso testo, poi han convocato a tamburo battente  i coordinatori delle terze, che a loro volta han convocato i consigli di classe e cominciato a mandare avvisi ai ragazzi.
I quali ragazzi, ammettiamolo, si son visti piombare addosso l'elaborato inerente dalla sera alla mattina, e se qualcuno aveva cominciato a organizzarsi per conto suo già da tempo raccogliendo notizie sui ricci delle Bermude, altri han sperato fino all'ultimo che l'esame non ci fosse e si sono ritrovati un po' spiazzati.
Fa niente, c'est la vie.
Inoltre c'era la questione delle materie: non era necessario portarle tutte, quindi gli elaborati andavano discussi uno per uno con i futuri elaboratori di elaborati da tutti i singoli insegnanti.
"Porto il Muro di Berlino e quindi parlo degli Stati Uniti a Geografia".
"No, ti limiti ad accennare alla questione dei due blocchi e della cortina di ferro. Basta e avanza".
"Ho scelto come argomento la pazzia e porto soprattutto personaggi pazzi, non so come metterci geografia".
"Non ce la metti" (per quanto, visto che notoriamente il mondo è dei pazzi...).
"Non saprei cosa mettere di italiano...".
"OK, niente italiano".
E così via.

La rete ferveva di domande e di risposte, con alcune inquietanti zone di silenzio.
"Rodolico non ha ancora mandato niente, nemmeno la tematica. E l'ho giù contattato tre volte. Mi dice sempre  sì, prof, stasera glielo mando...".
Niente di strano, Rodolico da quando c'è la didattica a distanza è praticamente scomparso nel nulla.
"Galatea ha mandato solo la tematica, poi non ha dato cenno di sé".
Galatea, in verità, cenni di sé ne ha mandati ben pochi, anche se talvolta a lezione è arrivata e ha perfino salutato; poi ogni volta ha detto che non vedeva, non sentiva, non le funzionava la telecamera e si è dissolta.
"E se non ci mandano niente?
Il Terrore incombe.
"In quel caso valuteremo il lavoro in presenza" ci rassicura la Preside.
Non siamo molto convinti: in realtà l'Ordinanza sembra dare per scontato (non del tutto irragionevolmente, va pur detto) che l'Elaborato Inerente ci sia.
Poi gli Elaborati cominciano ad arrivare, un po' per volta. La scadenza era il 3 Giugno ma naturalmente ne manca qualcuno. Aspettiamo.
La prof. Spini prepara apposita classroom per riceverli.
Qualche insegnante comincia a leggerli seminandoli di commenti e dimenticando che i ragazzi sono iscritti alla classroom.
Allora la Classroom viene archiviata e in qualche modo gli elaborati scompaiono. La prof. Spini ne apre una nuova, alcuni li rimandano, altri no.
Qualche elaborato non si riesce ad aprire. Qualche elaborato scompare e riappare.
Il coordinatore prepara una tabella per i voti, più un file per scambiarsi commenti.
Il Consiglio di Classe si consuma gli occhi e confronta prime e seconde versioni.
Leggiamo, valutiamo, commentiamo e compariamo. Ponderiamo, soprattutto ponderiamo. Anche perché ci è stato spiegato che l'elaborato ha un peso (nella valutazione). E come lo pesiamo?
Bilance a piatti? Magari sarebbe meglio una bilancia elettronica.
In tutti i casi c'è parecchio da stare allo schermo. Il collirio scorre a fiumi.
E come sono questi elaborati inerenti?

Sorpresa! Quelli bravi hanno fatto lavori lussuosi: ipertesti, mappe interattive, file musicali.
Considerazioni esistenziali sul Bene, il Male, la Vita, l'Amore e la Morte, collegamenti raffinati, ricerche sontuose. Non sfigurerebbero come percorsi per l'esame di maturità.
Qualcuno ha scelto come tema le stelle, e ha fatto delle bellissime slide con suggestivi sfondi galattici. Peccato che non abbia curato di più la scelta dei colori, perché per leggerle è necessario mettersi il proverbiale occhio in mano.
Qualcun altro ha impostato un complesso percorso su uno stimato gruppo pop: a ogni canzone, corredata di video,  è associata una materia e anche un po' di considerazioni personali. Un quarto d'ora per scaricarlo, mezz'ora per ascoltarsi le musiche guardando i video, più un bel po' di tempo per leggersi il testo perché l'autore decisamente non soffre di blocco della scrittura.
A sorpresa, per la prima volta nella mia ormai quasi ventennale carriera, qualcuno porta anche Religione. Cristianesimo per gli scout, ma anche shintoismo, culti animistici vari, e un incrocio molto pertinente con Ganesh. Tale prodigio non sembra però destinato a ripetersi negli anni futuri perché il nuovo insegnante di Insegnamento della Religione Cattolica (ma anche di altre, a quel che sembra) ha chiesto e ottenuto il trasferimento. Buon per lui e peccato per noi, ma ognuno ha la sua strada.

Taluni scodellano strana roba: un elaborato sulla follia dove il vero folle sembra quello che ha assemblato il tutto; una fascinosa galleria fotografica sul Marocco senza un rigo di didascalia; una collezione di mappe concettuali pescate da internet (con un certo criterio di fondo, se non altro); un percorso sui cani con tre righe tre di spiegazione per ogni argomento... "Per Geografia ho scelto il Giappone perché lì c'è una particolare razza di cani", segue foto del cagnolo giapponese and that's all per quanto riguarda il Giappone.
Sostegno contribuisce con l'uovo d'oro dell'elaborato multimediale fatto dal ragazzo dei Centri Sociali (ci lavoravano da mesi, quando il ragazzo ci è stato scippato. E meno male che abbiamo almeno quello, ma che peccato che sia rimasto incompleto perché era un gran bel lavoro e il ragazzo si è chiaramente molto divertito a farlo).
Le Anime Perse, di cui la classe abbonda, hanno appiccicato con lo sputo quattro magre relazioni standard, di quelle che si trovano a dieci per un soldo al mercatino dell'usato, senza collegamenti e senza un perché.
Parecchi si sono impuntati per portare le due lingue straniere: qualcuno perché sapeva quel che faceva, qualcuno perché era convinto di saperlo, qualcuno perché ha platealmente pescato dalla rete. Con grande pazienza le due insegnanti ci forniscono in nota chi ha copiato e come, ma scorrendo i testi sospetto che entrambe abbiano messo su parecchi capelli bianchi nel corso della lettura.
Immagini di quadri senza analisi, analisi di quadri senza l'immagine, presentazioni di pittori con foto ma senza quadri (ma questo, strano a dirsi in tempo di multimedialità, succede ogni anno).

Quello che quest'anno è strato offerto ai ragazzi di fare era un lavoro diverso dal solito, con grandi aperture verso percorsi indipendenti, della serie "Portateci qualcosa purchessia e se non sapete parlare di altro, parlateci pure di voi".
In apparenza era un lavoro più facile del solito, ma a dirla tutta avrebbe dovuto essere un po' preparato. Magari insieme agli insegnanti, e con un briciolino di assistenza informatica?
Insomma, con un po' di lavoro collettivo, ovvero proprio quello che è mancato negli ultimi mesi?
Certo, qualcuno se l'è cavata bene - guarda caso quelli che se la sarebbero cavata bene sempre e comunque, anche se li avessimo messi a fare l'esame a testa in giù.
Altri han fatto un onesto lavoro senza convinzione.
Molti han fatto roba parecchio scombinata.
Certo, va detto che quest'anno avevamo una Terza eccezionalmente mencia. Ma per l'appunto, alle medie può anche capitare di ritrovarsi tra le mani una Terza eccezionalmente mencia, che in tre anni non è riuscita a fiorire.
Magari mandando le istruzioni un mese prima anche loro avrebbero fatto qualcosa di meglio, può essere?
Personalmente sospetto di sì.

* imperfetto del verbo inenere. L'elaborato infatti è inerente. Inutile cercarlo sul dizionario, me lo sono ricostruito dal participio presente.
** non ho la minima idea se nelle Bermude abbiano ricci; ma è risaputo che a volte i ragazzi costruiscono percorsi partendo da spunti anche piuttosto stravaganti. E perché non dovrebbero? Anzi, un tocco di originalità è sempre gradito dalle commissioni stremate dai percorsi più consueti.