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domenica 24 maggio 2020

Il complesso ma affascinante mondo dei compiti a casa - Guida per l'aspirante Bravo Insegnante

I gentili lettori sono avvisati: questo non sarà un post molto divertente, anzi è soporifero in sommo grado
(nessuno comunque vi obbliga a leggerlo, a meno che non soffriate di insonnia.
Nel qual caso sì, direi che almeno  un tentativo lo merita)
"Affascinante 'na sega" sbufferebbero tutti gli alunni del mondo a una voce se per avventura passassero di qua (il che, per loro fortuna, è più che improbabile)
"Affascinante 'sto par de cojoni" ringhieranno alcuni genitori approdati per caso su queste rive. Non tutti però, solo i più malaccorti. Perché la prima regola dei compiti a casa è che il genitore non dovrebbe impicciarsene né tanto né poco: i compiti a casa degli alunni infatti sono, per definizione, degli alunni. 
Se tuttavia gli alunni non riescono a farli il genitore può utilmente collaborare in due modi:
1) suggerire alla sua prole di parlarne con l'insegnante
e se il problema persiste, dopo qualche settimana
2) parlare con l'insegnante per chiedergli francamente se la creatura non ha per caso a suo avviso qualche disturbo di apprendimento e regolarsi in base alla risposta. Magari l'insegnante è idiota o ha le traveggole, certo, può essere - nel qual caso una visita andata buca da un medico del settore andrà aggiunta alle tante seccature che il mestiere di genitore include; ma è il classico caso in cui è meglio essere troppo apprensivi che fregarsene perché se il problema esiste non passerà da solo.
Una cauta opera di sorveglianza da lontano mentre la creatura di cui sopra compiteggia può essere rassicurante per lei (e per il genitore); una amichevole risposta a un dubbio può essere un modo come tanti di comunicare; una paziente opera di ascolto della lezione su richiesta della prole può essere uno dei tanti balzelli che la vita ti impone di pagare per goderti le gioie della genitorialità. Fine.
I compiti a casa riguardano solo due categorie di persone: gli insegnanti e gli allievi. Qualche volta anche i pasticceri, se i figli sono creature socievoli e amano ritrovarsi tra amici per svolgerli insieme (nel qual caso una merenda si impone) e se il genitore ospite non sa fare le torte o gli sta fatica imburrare tramezzini, è giusto che si rivolga agli addetti del settore senza inutili sensi di colpa: un genitore è un genitore, non una macchina da cucina.

Spostiamo l'obbiettivo sui compiti, lasciando in pace le famiglie e le loro abilità culinarie.
I compiti nascono con il più o meno lodevole scopo di permettere agli alunni di assimilare quanto gli è stato rifilato a scuola - che magari a volte sono sciocchezze o cose inutili, ma questi son argomenti da discutere altrove e tra specialisti. Come tutti, anch'io ho un bel po' di teorie in merito (e per "tutti" intendo proprio tutti, anche quelli che con la scuola hanno cura di averci a che fare il meno possibile. E anche loro hanno diritto alle loro libere opinioni in proposito). Quindi lascio da parte tutte le opinioni sull'effettiva utilità dell'apprendimento mnemonico delle tabelline, dello studio della storia romana o della genetica e via dicendo - ripeto, tutte opinioni lecite e rispettabili ma non è di questo che stiamo parlando.

I contenuti si assimilano nei più vari modi. Ci sono compiti più noiosi dei giorni di pioggia, ci sono compiti divertenti e gradevoli. Puntare su una categoria o sull'altra a a che fare soprattutto con il rapporto che il singolo insegnante ha con il piacere, che a sua volta si lega al rapporto che il suddetto insegnante ha con la vita e con il sapere. Chi ritiene che solo una grandiosa ipertrofia testicolare conduca ad un giusto apprendimento non esiterà a dare compiti noiosi noiosi, convinto con ciò di fare il bene dell'alunno onde instillargli senso del dovere, disciplina e instradarlo all'esercizio di quell'utilissima virtù che è la pazienza. Altri, più goderecci e portati ad associare all'apprendimento emozioni piacevoli come il gusto della scoperta e il divertimento, cercheranno di darne di vari e di divertenti. 
A questo proposito occorre comunque ricordare che, se è vero che le emozioni piacevoli sono un fissante di grande rilievo per la memoria, questo vale anche per le emozioni negative quali la noia, l'esasperazione e il dispetto - e infatti anche gli insegnanti più goderecci assegnano talvolta compiti noiosissimi e interminabili, e anche gli insegnanti più puritani scodellano a sorpresa compiti variegati e divertenti: il Sapere, invero, è un grandissimo Mistero, e come tutti i veri Misteri ci sono molte strade che vi conducono, e molte porte per entrarvi e nemmeno i saggi conoscono tutte le risposte - per fortuna, vien da dire. Inoltre non tutte le classi reagiscono nello stesso modo: un gruppo di alunni dotati di ambizione, apertura mentale e salda autostima non avrà paura di divertirsi facendo qualcosa per la scuola e un compito insolito non li spaventerà - mentre alunni di mentalità più convenzionale e meno interessati alle scoperte affronteranno con diffidenza e leggerezza un compito dall'apparenza meno seriosa, e se ne faranno sfuggire l'utilità svolgendolo in modo trascurato e assai cialtronesco. In teoria è proprio ai secondi che dovresti dare i gadget più divertenti e riservare le idee più brillanti - ma andranno prima convinti e rassicurati che anche tu sai essere un insegnante noioso come tutti gli altri, prima che si azzardino a prendere sul serio un compito non troppo pedante.

La prima e indispensabile regola perché i compiti vengano presi sul serio è correggerli con grande accuratezza e pazienza e soprattutto controllare sempre che siano stati fatti, almeno nei primi tempi. Se la classe tende allo scioperato andante, conviene partire da dosi leggere, quasi omeopatiche, elargire votacci con grande liberalità una volta appurato   che non sono stati fatti, sopportare con infinita pazienza e dolcezza la torma di genitori che verranno in processione a lamentarsi di tutto ciò (perché una classe scioperata ha spesso alle spalle famiglie iperprotettive), persistere nei votacci e aspettare; e quando i compiti minimali cominciano ad essere svolti (il che a volte comincerà ad avvenire solo dopo il primo giro di colloqui con le famiglie o addirittura dopo la prima scheda di valutazione, ma solo se il voto è estremamente basso - insomma, quattro) alzare gradualmente il carico fino ad arrivare a dosi normali: in sintesi, la buona vecchia regola della bollitura della rana. Nel frattempo, può essere utile assegnare in classe esercitazioni molto facili, dove tutti possano ottenere in un modo o nell'altro valutazioni decorose: dopo qualche quattro un sei può talvolta sortire effetti miracolosi e perfino innescare una perfetta sindrome di Stoccolma. Capisco che possa sembrare una procedura a tinte sadiche ma, come si dice in questi casi, è per il loro bene.
Tutto questo può essere molto complicato quando si tratta di insegnare quelle che io chiamo "materie a trama" (come Matematica o le lingue straniere, dove senza certe basi non si va avanti; mentre alla fine Italiano è una lingua che l'alunno recupera quando vuole e decide di occuparsene, come Storia e Geografia).

La seconda regola consiste nel dare compiti impossibili da copiare, o che anche se "copiati" sortano comunque il loro effetto.
Poniamo di fare una poesia come A Zacinto. Si può assegnare una parafrasi scritta, e a quel punto parecchi rimedieranno con facilità perché una ricerca in rete può fornire in circa mezzo secondo ad andare lenti una buona decina di ottime parafrasi e qualche ventina di parafrasi scadenti - e sotto quest'ultimo aspetto alcuni siti di soccorso per gli alunni sono una vera iattura (ricordo che una volta diffidai apertamente una classe dal ricorrere a non so quale sito e finii con l'indirizzarli verso uno molto più affidabile - perché ce ne sono anche di molto buoni. Diciamo che provai a vincerli di cortesia. Una operazione di questo tipo può col tempo convincerli che sei una persona seria e che non conviene cercare di prenderti in giro. Succede solo con classi sprovvedute, certo. Ma una classe non troppo sprovveduta di solito fa la parafrasi, salvo magari controllarla in rete per sicurezza).
Oppure si può aggirare la questione della parafrasi - per esempio facendo leggere la poesia ai casi sospetti, e una volta avuta la prova con la lettura che chi legge non ha idea di cosa sta leggendo, partire con le domande: perché le sponde sono sacre, che significa inclito e chi è che scrive l'inclito verso eccetera. Dopo un paio di pubbliche figure di palta (e di relativi quattro) l'alunno, piuttosto seccato, finirà per cercare almeno di appiccicare la parafrasi con un po' di criterio, e a quel punto lo scopo del compito è conseguito.
Oppure si può far leggere la parafrasi ad alta voce, chiedendo a quali versi si riferisca, a quali espressioni corrisponda questo quel verso eccetera. Se il malcapitato si è limitato a copiare passivamente dalla rete non saprà rispondere, altrimenti vuol dire che in qualche modo alla fine la parafrasi l'ha fatta - senza usare la vostra, ma pazienza.
(Tutto ciò non è particolarmente gentile verso Foscolo, che quando scrisse A Zacinto aveva ben altri scopi in mente che quello di tormentare poveri ragazzi nei secoli a venire, e può darsi che dopo questa disastrosa esperienza di lacrime e sangue molti dei ragazzi non ne serberanno un gran ricordo. Se volete puntare solo sul piacere che può dare questa bellissima poesia, conviene limitarsi a leggerla e spiegarla, non dare compito alcuno e chiudere lì la questione: ha comunque un bel suono e delle parole molto suggestive*).

Oppure avete fatto la Rivoluzione Francese. Sapete che in quella determinata classe solo quattro o cinque alunni sono in grado di rifilarvi una bella interrogazione distesa sulla Rivoluzione Francese, che è argomento complesso e irto di date e di avvenimenti, e ognuno di questi candidi cigni ha già tre voti. Tuttavia, com'è comprensibile, desiderate che in qualche modo la Rivoluzione Francese resti impressa e sia conosciuta e compresa almeno a grandi linee.
Se volete puntare sulla memorizzazione potete fare una serie di interrogazioni programmate, una pagina per alunno. Ognuno studierò bene solo la sua, ma sentirla ripetere nel complesso sarà un utile esercizio di esposizione.
Oppure potete dare delle domande scritte da fare a casa. Qualche amante delle scorciatoie cercherò un riassunto a sintesi della Rivoluzione Francese (magari quello che c'è a fine capitolo del libro, oppure qualcosa in rete) ma alla fine sempre sulla Rivoluzione Francese lavorerà, volente o nolente. Oppure potete chiedere una cronologia, e per farla dovranno sfogliare e risfogliare quelle maledette pagine; o un riassunto: "La Rivoluzione Francese in 10 tappe, lunghezza massima quaranta righe", ed eccogli servito su un piatto d'argento un utile esercizio di sintesi. Se poi lo fate leggere in classe i poveretti ne ascolteranno una ventina di versioni diverse, e alla fine, stante che le gocce scavano le pietre, i concetti di base li avranno pur assorbiti, anche se per un malefico caso avessero trovato in rete proprio una sintesi in dieci punti della lunghezza richiesta (cosa pur sempre possibile) - e in quel caso avranno anche conseguito il bonus supplementare di  essersi dovuti leggere con cura la sintesi da copiare per controllare che rispondesse in tutto e per tutto ai requisiti richiesti e di essersi cimentati in una ricerca più particolareggiata. D'altra parte, anche quella che trovano sul libro di testo è una sintesi, ben lungi dall'essere perfetta, e per loro si tratta pur sempre di lavorare su materiale premasticato.
Ma potete anche scovare un breve video sulla Rivoluzione Francese e chiedergli di riassumerlo in cinque, sette o quale altro numero vogliate di punti. Se vorranno copiarlo da un compagno, dovranno ritoccare il testo per impedire che scopriate l'inghippo (se non si preoccupano di farlo c'è sempre il buon vecchio quattro a soccorrere l'insegnante in ambasce, e magari una interrogazioncina supplementare di recupero).
Oppure potete fargli fare una scheda individualizzata da leggere in classe dedicata a un singolo personaggio - con la Rivoluzione Francese si può fare tranquillamente anche con le classi più numerose. Lì si parte già dal presupposto che copieranno, o meglio dovranno cercarsi delle fonti; in rete, in questi barbari tempi, ma anche alla biblioteca comunale o dello zio Rodolfo in tempi più gentili.

Terza e ultima regola: i compiti si danno tenendo conto di quel che serve alla classe. Sono un po' incolti e devono sgrezzarsi? Conviene puntare spesso su compiti di ricerca, che gli apriranno nuovi mondi.
Espongono da cani? In quel caso anche le interrogazioni programmate hanno un loro perché.
Ripetono meccanicamente imparando a memoria? Conviene chiedergli l'argomento partendo da una prospettiva particolare.
Scrivono da far pena? Si danno soprattutto compiti scritti, attingendo da qualcosa che ben difficilmente può essere fatta da altri che da loro - magari lezioni preparate a tal scopo che dovranno riferire.
La punteggiatura questa sconosciuta? Si chiede un testo formato da un numero x di frasi che contenga anche almeno una domanda e due esclamazioni, legato a qualche argomento fatto in classe - in questo caso si possono agevolmente acchiappare due materie con una fava, e in più dare anche una mano all'insegnante di italiano.

Domanda: "ma tutta questa gran mole di compiti non sarà troppo lunga e faticosa da gestire?"
Caaaalma, nessuno ha parlato di una gran mole di compiti. Mica gli vanno dati tutti i giorni.
Non c'è da temere: nessuna classe a memoria d'uomo è mai morta di inedia per eccessiva scarsità di compiti. Essi compiti non devono essere troppo frequenti né troppo assidui, anzi il sovraccarico va evitato con cura - anche perché finisce per danneggiare soprattutto i più bravi e coscienziosi, ovvero quelli che i compiti li fanno sempre e comunque, crollasse il mondo. Inoltre non è sempre necessario correggere quelli che vengono letti in classe.

Altra possibile domanda: "non so perché, da qualche tempo avverto l'irresistibile tentazione di fargli fare qualcosa di assai monotono, tipo scrivere tutto il paradigma del verbo essere. Cosa vorrà dire?".
Risposta scontata: è noto che non fa mai bene resistere troppo alle tentazioni; inoltre, se una pensata così pallificante per tutti si è fatta strada, probabilmente c'è il suo bel motivo. Un po' di noia non ha mai ucciso nessuno - e magari tanto si annoieranno che impareranno a usare quel povero verbo in modo adeguato e corretto, non fosse che per la paura di dover rifare di nuovo un sì palloso compito. Dopotutto la vita non è solo un giardino di rose eccetera eccetera.

* E comunque mai dire mai: ricordo di una classe che si arrabattò malamente con In morte del fratello Giovanni tanto che alla fine chiesi scusa pubblicamente dicendo che avevo mancato verso di loro e verso Foscolo e che mai più avrei fatto una cattiveria tale a dei poveri ragazzi e a un sì bravo poeta. Mi guardarono stupiti e molti dissero che no, in realtà la poesia gli era molto piaciuta anche se era effettivamente risultata difficile. Vai a sapere.

9 commenti:

Profalcaffè ha detto...

Nel mio caso, dipende molto dalla materia e dall'età. Per latino e greco, i bimbi del biennio sono costretti a sorbirsi un severo regime di versioni e di frasette da tradurre a spron battente (per latino, sono così perverso da dare anche la traduzione dall'italiano al latino per le frasette, giusto per allenarsi alla varietà delle forme grammaticali). So che non sono compiti altamente stimolanti, ma per quella fase sono convinto che i bimbi debbano farsi le ossicine. Al triennio cerco di responsabilizzarli e di fare percorsi che variano di classe in classe, anche cercando di impostare il corso con loro, soprattutto nella scelta di autori e letture (opere da leggere a casa in traduzione e da commentare in classe, vari lavori per formulare un commento ragionato, ma scientifico, ai testi e così via).
Se i miei studenti del triennio generalmente si divertono e alla fine hanno anche risultati apprezzabili, per i pargoli del biennio risulto sempre come l'incrocio tra Piton e la McGranitt che so pure, nella mia malvagità, essere. Certo, mi piacerebbe riuscire anche con loro a creare qualcosa di vario, ma nella mia mente risuona la voce della mia professoressa del biennio, poi divenuta cara amica, che ci sottoponeva al perpetuo servizio del suo tetro altare, dandoci però una base straordinaria per conoscenza e rigore per gli anni successivi.
I colloqui con i genitori dei miei bimbi del biennio sono sempre, quando prendo le classi, molto, molto dolorosi, s'intende 😅.

dolcezzedimamma ha detto...

Concordo: dipende dalla classe e dall'età. Al biennio io sono piuttosto ligia e controllo minuziosamente che le consegne vengano svolte. Sul latino do esercizi noiosi o intriganti, ma c'è poco da fare: declinazioni e verbi te li devi studiare a memoria (anche se la tua prof ti ha scritto alla lavagna tutto le sviluppo storico/linguistico che porta a quella desinenza). I bravi ragionano e capiscono al volo, i più distratti arrancano, i negligenti non imparano. Ma io correggo sempre, ecco perché sono seeeeempre stanca, altri non verificano mai, e poi le conseguenze sono note.
Per l'italiano a dire il vero mi diverto molto a scompigliare le carte e quindi i poveretti non sanno mai cosa aspettarsi, ma nell'insieme si divertono. Con la DaD questo è stato l'aspetto migliore: ho proposto compiti folli e ho ottenuto compiti folli e geniali, per cui, globalmente, io sono soddisfatta, sfinita ma soddisfatta.

Pellegrina ha detto...

Oh che bello sembra fatto inver per me: un insegnante che sostiene la correzione dei compiti.
Ma tutto il post mi piace molto.

Romolo ha detto...

Ma tutti i professori hanno questo articolato costrutto mentale quando affibbiano i compiti a casa? La cosa mi rincuorerebbe, perchè allora sarebbe errata la mia precedente impressione, che invece vengono stabiliti con il classico paradigma del "pene di segugio"!

Pellegrina ha detto...

Torno ancora sulla questione correzione dei compiti perché è evidentemente per me un punto delicato.
Il fatto di non correggerli presuppone che si dia per scontato che non ci sia più niente da insegnare né da imparare. Ciò che non è vero. Se un esercizio non riesce e io non ho modo di sapere perché, cioè di vedere dove sta l’errore e perché l’ho fatto, tutto l’argomento, e persino il fato stesso di svolgere i compiti, mi diventerà un misto di frustrazione data da incomprensibilità e sensi di colpa, cioè qualcosa da cui fuggire risultato didatticamente oserei dire del tutto inutile.
Si insegna e si impara tantissimo correggendo e facendo capire o rispiegando un procedimento evidentemente non ancora padroneggiato dall’alunno. Con la ripetizione del punto ostico si favorisce inoltre per gli esercizi più schematici e ripetitivi il meccanismo di riconoscimento meccanico di una situazione o di un caso. E poco importa se magari lo si rifà con il libro aperto sulla pagina della regola, almeno saranno obbligati a rileggersela.
Certo questo può non valere per molti altri esercizi, ma pure togliere l’angoscia in parecchi casi.

Il punto è che ci si dovrebbe decidere a lasciarsi definitivamente alle spalle il potente mezzo dei sensi di colpa per controllare alunni e classi: e questo solo insegnanti realmente sicuri di sé sono disposti ad affrontarlo sul serio, osando rinunciare a quel tanto di sadismo che la loro situazione gli mette a disposizione.

Allo stesso modo per esercizi più complessi si possono aprire discussioni e riflessioni su questioni di metodo (esposizione, raccolta e selezione dei dati, costruzione di un discorso, uso di un certo linguaggio) e che avvantaggeranno non poco al momento degli studi superiori, o in qualsiasi situazione complessa.
Del senso di rispetto del lavoro e dell’impegno messi dagli allievi nel faticare fuori dall’orario scolastico che viene trasmesso da un insegnante che si prende cura di una correzione seriamente fatta dei compiti ho già scritto molte volte, ma già che ci siamo lo ripeto anche qui.
L’atteggiamento paternalistico essendo ciò che più detesto in un insegnante o altra figura guida, l’impostazione di dire: “Glieli ho dati per il loro bene, se non li fanno tanto peggio” mi sembra solo un’auto giustificazione per risparmiarsi una seccatura, perché la correzione, se fatta bene, magari aprendo un’altra lezione o un ripasso generale, sarà meno gratificante della fighissima lezione di presentazione sul vattelappesca di soggetto preferito, ma richiede preparazione e virtuosismo per renderla fruibile e partecipata; ma può riservare molte sorprese, non ultima vedere gli alunni che diventano protagonisti di qualcosa che infine capiscono di riuscire a padroneggiare.
Questo per quanto riguarda i miei ricordi.

Non insegno, anzi scuola per me vade retro satana, la odio con tutte le mie forze, mai vissuto un luogo supposto insegnarmi qualcosa che mi abbia altrettanto tarpato costantemente, continuativamente, pervicacemente, ottusamente, però mi capita di dare lezioni e fare formazione in altri contesti, certo più adulti, e vedo quanto un lavoro di questo genere riesca ad appassionare almeno una fetta di persone, in contesti piuttosto estranei a quanto mi capita di esporre.

Murasaki ha detto...

@ Profalcaffè e Dolcezze:
Mi rendo conto che al biennio, con materie come il latino, da lì non si esce. Va anche detto che, per chi ama la grammatica, fare le frasette o studiarsi le declinazioni non è necessariamente noioso. È una utenza ristretta, (anche se non tanto quanto comunemente si crede) ma esiste. In tutti i casi anche i compiti noiosi hanno un loro perché ^_^
Comunque Dolcezze ci conferma che esistono insegnanti che non correggono i compiti - il che non è molto etico perché fai il lavoro a metà, e chiaramente anche la classe impara a metà. A meno che non siano tutti geni, e in quel caso mi sembra una vera perdita di tempo dargli compiti.

@ Pellegrina 1 e 2:
Io conosco solo la scuola del mio orticello: St. Mary Mead, dove non a caso ho piantato le tende, ma anche parecchie scuole a Firenze e relativo hinterland e sei diversi comuni della provincia. In quell'orticello i compiti si correggono rigorosamente e devo dire che in generale si correggevano anche quando andavo a scuola in veste di alunna, diversi decenni fa, anzi la correzione era parte integrante della lezione e oggetto di interrogazione con relativo voto. La buona, vecchia e intramontabile scusa del "non sono riuscita/o a fare i compiti" si rivelava efficace solo quando effettivamente ci sono state delle difficoltà autentiche perché la prima reazione dell'insegnante-standard è "spiegami cosa ti è risultato difficile" e a quel punto i compiti devi effettivamente almeno provato a farli se vuoi in qualche modo mettere insieme una risposta che non trasformi l'insegnante-standard di cui sopra in una tigre ircana.
I compiti vanno assegnati e vanno svolti per tutti i motivi che ho elencato io, e vanno corretti per tutti i sennatissimi motivi che hai elencato tu, e prima ancora per una elementare questione di rispetto umano. Se si esce da questi due principi di elementare buon senso è ovvio ch, come osserva Dolcezze qui sopra "le conseguenze sono note": prima di tutto la classe smette ben presto di farli ove non si intromettano genitori eccessivamente occhiuti - e anche lì devo ancora vederlo in genitore cui i figli, per quanto buoni e coscienziosi, non riescono a infilare una balla per conservarsi del tempo libero da dedicare ad attività più utili e/o gradevoli - oppure alunni eccessivamente coscienziosi - ma anche lì non è detto che sia un bene, perché non saprai mai se li hai fatti male e rischi di trascinarti dietro automatismi dannosi e nozioni improprie - e direi che tutti gli insegnanti hanno nel carnet ricordi agghiaccianti in cui la Brava Classe Diligente era convinta di avere capito e fatto tutto nel migliore dei modi e poi si scopre che non aveva capito alcunché e aveva partorito mostri informi.
Ci tengo però a dire che dove ho lavorato io, si parlava abbastanza male di quelli che danno i compiti e non li correggono ed erano casi abbastanza occasionali - insomma non sono un pregiato cigno e a St. Mary Mead non siamo uno stormo di pregiati cigni in mezzo a un branco di oche schiamazzanti.

Murasaki ha detto...

@ Romolo:
Non saprei. La maggior parte dei compiti sono roba del tipo "fate questo tot di esercizi, fate un tema così e così, scrivete un dialogo in lingua di dieci battute" e vengono fuori abbastanza automaticamente, dietro un compito un po' elaborato può esserci un lampo di ispirazione che arriva in realtà dalla classe o uno studio a tavolino del tipo "i moti del 1848 sono molto complicati perché avvengono un sacco di cose in contemporanea. Allora gli darò una cronologia perché se ne accorgano bene, oppure un elenco di stati con relativi tumulti perché prendano atto della vastità del fenomeno", a volte perfino un consulto tra insegnanti "Gli diamo da costruire una piscina a forma di triangolo di cui devono determinare aree e volume e scegliere i colori e anche la composizione dell'acqua" stabiliscono insieme Matematica, Tecnologia, Chimica e Arte, magari nell'ambito di un progetto comune. A volte li dai distrattamente perché usa dare qualcosa per fargli applicare le regole "Fatemi venti frasi con due complementi oggetti e uno di specificazione" e poi gliele fai leggere in classe. Molto spesso il lavorío mentale è quasi inconsapevole, ma c'è. Se suoni un brano al pianoforte non stai a riflettere ad ogni singola nota cosa devi fare, la suoni e amen, se non sei proprio agli inizi, ma dentro di te qualcosa ti dice "pedale uno, pedale due, qui il tempo è lungo, qui scatta il la diesis" eccetera.
Poi, certo, puoi dare compiti cinofallici. Puoi fare qualsiasi cosa in modo cinofallico, al MIUR in questo momento ne sanno qualcosa.

stefanover ha detto...

non sono addentro nella materia dell insegnamento…. e non sono neppure un genitore, (se non di una cagnola nera di canile con poca voglia di studiale) …….. però la foto è stupenda !

Murasaki ha detto...

@ Stefanover:
Ma chissivede 😃
Un contentino andava pur dato al povero lettore che si sobbarcava la lettura di tutto lo sproloquio - oppure una piccola consolazione per chi si fosse trovato a leggerlo per caso, lo sproloquio. Un bel micio rilassato va sempre bene, ma anche la tua bella cagnola sarebbe stata adattissima ❤️❤️🐕❤️