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venerdì 24 gennaio 2020

Ritrovato e perduto - Ursula K. Le Guin (ovvero sulla raffinata arte editoriale di preparare un libro)


Nel Novembre 2018 Mondadori decise di tradurre una antologia dell'esimia Ursula K. Le Guin, scrittrice americana di gran rinomanza e insignita di numerosi premi Hugo per fantasy e fantascienza. Di ciò venni a conoscenza grazie a Tenar che del libro fece in seguito una lunga e dettagliata recensione e che a Le Guin ha dedicato di recente svariati post (ma ne ha parlato anche tempo addietro, com'è intuibile dal nome di rete che si è scelta).
All'epoca languivo nel mio letto di dolore e non potevo dunque acquistare libri se non con molta complicanza, così mi limitai a segnarmi un appunto. Con mia gran gioia però non dovetti scomodarmi né aspettare molto, perché una collega me lo scodellò come regalo di bentornata quando tornai a scuola dandomi gran gioia - perché se è vero che in un regalo è il pensiero che conta, quando il pensiero è assai azzeccato il regalo vale doppio.
Partiamo dai lati positivi: il rapporto qualità/prezzo è molto buono perché sono 740 pagine assai fitte per quattordici racconti, anzi "novelle" (quella strana bestia editoriale che include racconti lunghi e romanzi brevi e che King ha spassosamente descritto come la disperazione degli editori nell'introduzione di Stagioni diverse che appunto da quattro novelle è formato), e siccome sono 740 pagine scritte da Ursula Le Guin comprarle per 20 euro è un vero affare.
Sul piano editoriale per contro fa veramente pena. D'accordo, molti di noi sanno chi è Ursula Le Guin (più o meno) ma insomma le poche righe nel risvolto di copertina non ci dicono molto su di lei. 
Nell'altro risvolto danno (o meglio si illudono di dare) un elenco completo dei tredici titoli della raccolta - che però sono quattordici.
Ed effettivamente segnalano i singoli titoli originali con anno di edizione negli USA, o così credono, nella pagina a ciò solitamente dedicata ovvero quella prima del frontespizio.
Un pensiero carino, perché molti di questi racconti sono già stati stampati in Italia.

La prima novella è introdotta da una paginetta dell'autrice. Fine degli interventi editoriali. Ma, dico, due paginette di presentazione redatte da qualche esperto del settore potevate anche mettercele; o qualche commento, qualche notarella, qualche... insomma, possibile che non ci fosse niente di niente da dire su queste tredici novelle che poi son quattordici, scritte nell'arco di 27 anni, sulle circostanze della loro prima edizione, su cosa ne ha detto in seguito l'autrice, sui cicli da cui provengono, sul cazzo che vi pare?
O almeno dare un'occhiata alle bozze? 

Come onfatti credo di aver già vagamente accennato, le tredici novelle sono in realtà quattordici. La più lunga si intitola Il trovatore e racconta la complessa esistenza del signor Lontra, che a un certo punto si stabilisce nell'isola di Roke e per il resto della sua vita custodì le poste della Grande Casa di Roke, che sembrerebbe proprio un finale di racconto. Segue una poesiola, ma stavolta in quattro strofe, e la prima somiglia molto a quelle che hanno introdotto i capitoli delle vicende di Lontra; poi si va a capo, e la seconda strofa inizia con Rosascura e Diamante / una barcarola dell'Ovest di Havnor, e a seguire una canzoncina d'amore in tre strofe. Da lì abbiamo le vicende del signor Diamante e della signora Rosascura: al giovane Diamante piaceva molto la musica, ma suo padre la trovava niente più di un passatempo... Molto carina, devo dire, ma non c'entrava un accidente con la storia di Lontra. Giuro che a un certo punto mi sono domandata se il titolo Il trovatore potesse contenere qualche riferimento all'opera di Verdi - e dunque alla musica, che sembrava il tema portante dell'ultima parte del racconto; ma no: il trovatore di Verdi è un trovatore nel senso musicale, di quelli che cantano testi poetici, mentre Lontra è "uno che trova" (filoni di metallo, per esempio). Tutt'altro ordine di idee. Diamante invece canta, anche se nessuno lo chiama trovatore.
Ebbene sì, i primi due versi della seconda storia nelle intenzioni dell'autrice sono il titolo della storia successiva. L'ho scoperto per puro caso scorrendo un antologia del ciclo di Terramare che avevo in casa e non avevo mai letto.
E complimenti a Mondadori per l'accuratezza dell'edizione.

Dopo aver parlato in lungo e in largo di cosa in questo libro non c'è, intendo dedicare anche qualche riga a parlare di quel che c'è.
Abbiamo dunque, come ho già detto e ridetto, quattordici novelle travestite da tredici e scritte tra gli anni 70 del secolo scorso e i primi anni del nuovo millennio. Anche se LeGuin è famosa soprattutto come autrice di fantascienza e fantasy, ce n'è anche una che non appartiene ad alcun genere - o, se vogliamo specificare meglio, che rientra nel multiforme e non ufficiale genere della narrativa femminista anni 70. Si tratta di una narrazione rigorosamente al femminile che racconta la storia di una famiglia snodata su quattro generazioni, ambientata degli Stati Uniti tra la fine dell'Ottocento e gli anni Settanta del Novecento. Le donne si raccontano, ognuna col suo monologo, ma questi monologhi sono spezzati, sovrapposti e mescolati in una confusione apparente in cui la lettrice disorientata inizialmente dispera di venire a capo. Tuttavia questa disposizione apparentemente caotica finisce per disporsi in un quadro assolutamente nitido, credo proprio grazie a questa apparente confusione.
È, questa, una caratteristica piuttosto insolita della scrittrice: la sua scrittura è di solito molto chiara, quasi piana, ma quando è necessario ricorre senza sforzo apparente alla pagina a effetto, il cosiddetto pezzo di bravura che è però sempre funzionale all'effetto finale e mai fine a sé stesso (assolutamente splendida, sotto questo aspetto, la descrizione dell'astronave che apre l'ultimo racconto, quando solo dopo diverse pagine ci si rende conto senza che venga detto esplicitamente 1) che siamo su una astronave e 2) di che tipo di astronave si tratta ma anche 3) che a questo punto siamo perfettamente consapevoli dello stato d'animo di chi ci viaggia dentro.

A parte il racconto cosiddetto generalista, tutti gli altri racconti sono ascrivibili ai generi fantasy e fantascienza - con qualche difficoltà però ad inquadrarli esattamente; ad esempio Una storia alternativa, per quanto sfoderi la sua brava parte di astronavi e viaggi interstellari e perfino qualche paradosso temporale è di fatto una favola - o meglio, la versione alternativa di una fiaba assai celebre. Quanto al primo racconto, può essere tranquillamente attribuito a entrambi i generi, perché il tema centrale è comune ad entrambi.
Cotal primo racconto, oltre ad essere di genere incerto, è anche l'unico gratificato di una mezza paginetta introduttiva scritta da Le Guin e piena di considerazioni assai interessanti. Il protagonista è  un bosco, un perfetto bosco tolkieniano, di quelli che pensano e agiscono. Tuttavia è anche un bosco che non ha molto in comune con i nostri boschi terrestri - se vai su un lontano pianeta non puoi aspettarti di trovare larici, felci e baobab. I coraggiosi scienziati che esplorano l'universo in perfetto stile Star Trek troveranno qualcosa di differente dal boschetto sotto casa. Sì, qualcosa di molto differente. E dovranno interagirci in modo diverso da come noi interagiamo con la Selva Nera, poco ma sicuro.
Il secondo racconto si intitola Buffalo Gals, won't you come home tonight. Perché?
Francamente non ne ho la minima idea. Immagino che per un americano sia un titolo perfettamente chiaro, una volta terminata la lettura, e immagino che se l'autrice ce l'ha messo ci sarà pure il suo bel motivo, non è un titolo che si sceglie a caso quando non si sa cosa mettere, del tipo "La valle dei ricordi" oppure "In viaggio per Parigi". Sarà il verso di una canzone o di una poesia? Un pezzetto di filastrocca? Un modo di dire?
Vai a sapere. E di nuovo, sentiti ringraziamenti alla Mondadori. Comunque, titolo incomprensibile a parte, è un ottimo racconto fantastico con un complesso gioco di maschere dove la realtà e l'apparenza assumono forme assai variabili e i simboli hanno una concretezza molto solida mentre la cosiddetta realtà fenomenica si sfalda in un modo tutto particolare.
Ne La questione di Seggri, costruito con una serie di asettici rapporti squisitamente antropologici (Le Guin è figlia di un noto antropologo e conosce molto bene il modo in cui gli antropologi lavorano) intervallati da resoconti autobiografici del tipo detto "testimonianze" si immagina una civiltà dove i ruoli tra i sessi sono capovolti: gli uomini sono esclusivamente delegati all'accoppiamento e alla riproduzione mentre le donne gestiscono tutte le altre attività. Spiegazione: gli uomini sono pochissimi. Dopo attenta riflessione gli antropologhi optano per una serie di interventi molto blandi, quasi omeopatici, che innescheranno un processo di rinnovamento. 
Questi "antropologi", osservatori o come altrimenti si preferisca chiamarli vengono dall'Ecumene, una sorta di Federazione Galattica sul modello di quella di Star Trek (cito Star Trek perché le mie conoscenze del canone della fantascienza sono assai scarse, ma era un modello che era molto diffuso nella fantascienza del secolo scorso: alieni amichevoli che cercavano di includere altre culture ma senza snaturarle, senza interventi violenti, insomma non esportando la democrazia).
L'Ecumene è, ho scoperto, un vasto ciclo che comprende buona parte della produzione fantascientifica di Le Guin. Una scatola perfetta per osservare al microscopio culture diverse e i loro sviluppi, e infatti il cosiddetto "Ciclo dell'Ecumene" contiene veramente un po' di tutto perché ha una formula molto elastica e permette di curiosare in giro per pianeti scegliendo in assoluta libertà di guardarli dall'esterno, dall'interno o da un punto di vista moderatamente coinvolto senza doversi preoccupare di dividere i personaggi in buoni e cattivi o di condurre la vicenda in modo particolarmente etico.
Le storie dell'Ecumene sono molto interessanti perché aprono davanti al lettore scenari sempre nuovi e non limitano in alcun modo la libertà del narratore. Certo, c'è di mezzo una vicenda, e di solito l'autrice ha la gentilezza di far prevalere alla fine il punto di vista dei  personaggi più simpatici, ma non si vince e non si perde mai in modo definitivo: le cose continueranno ad andare a modo loro, dopo la fine del racconto (o del romanzo) e in certi casi il finale è addirittura aperto, o meglio prelude a un nuovo inizio. 
I protagonisti dell'universo leguiniano non sistemano mai nulla così bene da far vivere in seguito tutti felici e contenti per sempre. La trama standard di un suo  racconto, lungo o breve che sia è "C'è un contrasto, si cerca di risolverlo mediando, alle lunghe ci si riesce, ma si sa com'è la vita: morto un contrasto ne arriva un altro, e si deve ricominciare a tessere". Niente scontri titanici, niente vittorie schiaccianti, ma la vita che continua e vince non chi riesce a schiacciare l'avversario, ma chi riesce a renderlo ragionevole o a venirgli incontro. In questa particolare congiuntura storica, leggere storie così fa un gran bene.
Del ciclo dell'Ecumene fanno parte i sei racconti centrali (e forse, chissà, anche l'ultimo. O potrebbe farne parte). Si parla di condizione femminile in varie culture, ma anche e soprattutto di schiavitù - in realtà i due temi hanno svariate possibilità di intreccio, e ognuna moltiplica i possibili sviluppi che si aprono davanti al narratore. Se il pianeta Seggri aveva sviluppato una società dove le donne predominavano, partendo da un grosso squilibrio numerico tra maschi e femmine, cosa può succedere in un pianeta ricco di miniere che viene popolato inizialmente soltanto con schiavi maschi e che solo gradualmente inserisce una piccola percentuale di schiave femmine per scopi riproduttivi, una volta che il pianeta diventa indipendente? Quale posizione verrà riservata alle donne, dopo la liberazione? E cosa faranno le donne, stabilito che per loro non sembrerebbe cambiato un granché?
Il caso non è poi così teorico, lo sappiamo. Del resto, è ovvio che ogni scrittore di fantascienza finisce per raccontare la storia della Terra: ma è pur vero che la storia della Terra è abbastanza variegata da offrire un buon ventaglio di possibilità, tanto che anche il più prolifico degli scrittori non riuscirà mai ad esaurirle tutte.
Così abbiamo un racconto dal titolo apparentemente molto esplicito di Liberazione di una donna dove il tema dell'emancipazione femminile passa sullo sfondo e dove il tema portante è in realtà il rapporto schiavo-padrone e la gestione del potere.
L'ultimo racconto invece affronta il tema consueto dell'astronave impegnata in un viaggio multigenerazionale alla ricerca di un nuovo pianeta. Siamo ormai alla quinta generazione, con la sesta appena abbozzata quando arriva il Problema - deve pur arrivare un problema, altrimenti la storia non la fai. Stavolta il problema non è un errore dei progettisti o un meteorite che fa scempio dell'astronave (anche se in effetti un errore i progettisti l'hanno fatto); il Problema nasce però dalle particolari condizioni in cui si ritrova "naturalmente" una nave che viaggia per più di cento anni senza poter cambiare equipaggio e dove col passare delle generazioni si finisce non solo per dimenticare il motivo originario della spedizione, ma addirittura per dubitare del senso della spedizione stessa. Ci sono tutte le premesse per una spaventosa rivolta interna - e tuttavia la rivolta non ci sarà e il contrasto verrà mediato e risolto nel più scintillante trionfo della democrazia, con una soluzione assai originale e una specie di finale a sorpresa.
C'è anche un pacchetto di racconti fantasy - in pratica l'intero quinto volume del ciclo di Terramare, che fino a qualche anno fa era conosciuto in Italia come il ciclo di Earthsea (manca solo un racconto, piuttosto corto ma anche molto bello). Molto, molto rispettabili e anche ben scritti, ma ammetto di preferire Le Guin come autrice di fantascienza.

In conclusione: una buona lettura, molto adatta alle lunghe serate invernali, dove i racconti offrono anche spazio ad abbondanti riflessioni e ti tengono quindi imopegnata anche dopo la fine della lettura.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti buone letture in questo inverno che al momento segue tutte le regole del buon inverno e invita alle lunghe serate di letture sotto il kotatsu - con accanto una bella ciotola piena di mandarini.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Me lo segno. Mi pare assai interessante. Dopo la lettura di novelle e racconti "fanta..." pare che il cervello di tutti funzioni meglio.

Anonimo ha detto...

Che dire delle imprecisioni sconcertanti... Io leggendo l'inizio di Marin Eden di London mi sono trovata davanti a due affermazioni alquanto discordanti:

1876-1916 (.....) Distrutto dall’alcool, muore suicida a Glen Ellen, in California.

1922, novembre – Muore di uremia.

Una scritta nel piccolo riassuntino all'inizio e l'altra nella dettagliata cronologia della vita dell'autore, manco gli anni coincidono; l'edizione è di Rizzoli per Kindle.
E ora? Come è morto Jack London?Cerco un terzo parere e vado su Wikipedia?

Ciao

Betty

la povna ha detto...

Buona sera carissima. Intervengo qui solo per dirti, off topic, che sono riuscita a mandarti le immagini del famoso saggio. La Le Guin di solito mi piace moltissimo: queste novelle non le conosco, e magari ci faccio un pensiero.

Murasaki ha detto...

@ Mel:
Ignoravo che queste letture servissero a far megflio funzionare il cervello.
Una raguione in più, per me, di farne moltissime! ^_^

@ Betty:
Mi sembra chiaro che London è morto due volte, e con due cause diverse. Non vedo dove sia il problema.

In effetti se sei andata su Wikipedia avrai scoperto che la questione della CAUSA della morte di London è abbastanza controversa (ma decidere per una sola prima di mandare alle stampe il libro, oppure esporre entrambe era una soluzione così imporoponibile?).
Quanto alla data, in epoca moderna e con anagrafi ormai stabilmente funzionanti dovrebbe essere univoca. E sei anni di distanza per una persona che quando morì era ormai piuttosto famosa sono davvero difficili da spiegare...
Dunque, complimenti anche alla Rizzoli.

@ la povna:
Arrivata, e ti ringrazio, leggerò con calma.
Buon decorso per il piede, e avanti con giudizio!