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martedì 11 ottobre 2016

Piccolo vademecum per i genitori sui compiti a casa (ma questa volta il post è di Galatea)

Così innocenti, e così ingannevoli...

Così parlò Galatea con encomiabile saggezza in Piccolo vademecum per i genitori sui compiti a casa:


Visto che l’argomento compiti a casa suscita vespai di polemiche, e pare che noi insegnanti siamo insensibili al grido di dolore dei genitori, ecco a loro uso e consumo un piccolo elenco di consigli per affrontare i compiti a casa aiutando i figli a farli e non sostituendosi a loro.
  1. Vostro figlio è intelligente. Piantatela di trattarlo come se fosse ancora un lattante con il pannolino. Se il compito è stato assegnato dall’insegnante, vuol dire che è pensato per un ragazzino di intelligenza normale della stessa età del vostro. Se è preso da un libro di testo, vuol dire che è stato scritto da un team di esperti che si occupano di editoria scolastica da decenni. Se è un compito pensato dall’insegnante, vuol dire che è stato pensato da un tizio che conosce la classe di vostro figlio, vostro figlio e sa cosa ha spiegato in classe. Quindi è altamente probabile che il ragazzino lo sappia e lo possa fare senza aiuto. Fidatevi.
  2. «Non ho capito l’esercizio, non ci riesco!.» Prima di correre in aiuto al povero bimbo vessato da insegnanti crudeli fate qualche domanda più precisa. Lo so, sono le otto di sera, voi siete stressati e il bimbo vi guarda con occhioni da cucciolo come Bambi guardava la mamma prima di vederla morire. Lo fanno sempre. Anche con noi in classe. E sanno benissimo che funziona. Sono abituati che con questa tecnica un adulto pietoso si sente in dovere di fare l’esercizio al posto loro. No. Prima di tutto, circoscrivere il problema con alcune domande: «Cosa non hai capito?» Se risponde, come capita nel 90% dei casi, «Niente!» campanello di allarme che suona nella testa. Quasi sempre non ha letto la consegna o l’ha letta di corsa e di malavoglia. Rileggetela con lui e domandando cosa esattamente non ha capito, chiedendogli di spiegare la consegna con parole sue. Se non sa il significato di una o due parole si guarda sul vocabolario. Nella stragrande maggioranza dei casi, magicamente questo risolve tutto. Quando il ragazzino capisce che non ve la fa, si rassegna a fare l’esercizio. Se invece attacca con: «Ci ho provato, ma non ci riesco!» con un gran sorriso dite: «Ok, fammi vedere come hai provato e vediamo assieme qual è il problema.» Anche qua, nel 90% dei casi scoprirete che non ha mai nemmeno provato a risolvere la cosa, certo che l’avreste fatto voi.
  3. «Ci ha dato gli esercizi su cose che non ha spiegato!» Improbabile. Anche qua gran sorriso e domandare: «Ma hai degli appunti presi in classe? degli schemi? » Se comincia a bofonchiare, probabilmente la spiegazione da qualche parte c’è, ma è stata ingoiata da qual mare nero che è lo zaino, o giace scribacchiata su foglietti volanti persi chissà dove. Se invece l’argomento è spiegato sul libro, anche qua prima di fare gli esercizi gli si dice di leggere bene le pagine del libro e ripeterle usando parole sue. Nel 90% dei casi, magicamente, questo risolve i problemi. Non è che l’insegnante non spiega, è che il ragazzino cerca di fare i compiti senza aver prima studiato o ripassato quanto era stato detto in classe. Ci abbiamo provato tutti, da ragazzini.
  4. «Non ho i compiti/ ero assente/non l’ho scritto sul diario/non ho capito cosa si deve fare!» E subito i genitori si lanciano nella chat di classe su Whatsapp per tormentare tutti gli altri genitori ed avere consegne. No. Caspita, segnarsi i compiti è una cosa che deve fare il ragazzino. Se è stato assente, è lui e non voi che dovete arrabattarvi per scoprire cosa c’è da fare. Quindi lui chiama il compagno e si fa dare i compiti, gli appunti, le fotocopie. Non voi. Se era assente, telefona ad un compagno. Se era a scuola e non li ha segnati, si arrangia a recuperarli da solo. Se non ha capito cosa deve fare, si ricade nel caso sopra: si chiede di preciso qual è il problema, non si rompono le scatole a tutti gli altri genitori per tutto il pomeriggio.
  5. «Non so fare l’esercizio.» Se nonostante tutto il ragazzino non ce la fa comunque a farlo da solo, bene, l’esercizio non si fa. Il ragazzino la mattina seguente andrà immediatamente dall’insegnante appena entra in classe e gli dirà che non ha proprio capito come andava fatto. Gli insegnanti servono a questo ed è importante per loro avere questi riscontri, perché aiuta anche a calibrare in futuro gli esercizi da dare al ragazzino o all’intera classe. Quindi se non capisce, chiede. Deve abituarsi ad affrontare questa situazione, perché è chiedendo spiegazioni che si impara. E deve farlo lui, non voi. Non scrivete sul libretto all’insegnante giustificazioni. Se per caso l’insegnante dovesse dare una nota, allora e solo allora scrivete due righe sul libretto spiegando che aveva provato a risolvere l’esercizio e non era riuscito. Ma prima verificate che il ragazzo sia andato subito dall’insegnante a spiegare che non aveva fatto l’esercizio, e non abbia cercato invece di fare il furbo stando zitto, perché nel qual caso la nota è più che giustificata.
  6. Se poi vi rendete conto che proprio il ragazzino non ce la fa, non riesce a capire le consegne più semplici, non segna i compiti sul diario, è disorganizzato, i compiti sono una vera e propria agonia e non ha nessuna autonomia nel farli da solo ma abbisogna della vostra costante presenza per risolverli, eh allora c’è davvero qualcosa che non va. Ma non nella quantità di compiti. Potrebbe essere un disagio del bambino. Parlatene con gli insegnanti e considerate a quel punto di concerto con loro di rivolgervi ad uno specialista. Ma, credetemi, sono casi rari. Quasi sempre le grandi difficoltà dei ragazzini si risolvono immediatamente appena si rendono conto che non possono delegare a voi le cose e devono fare da soli. Imparano ad organizzarsi e a studiare. Diventano grandi. Il che vuol dire che voi siete un po’ meno necessari, e questo può far male, perché finché dipendono da noi noi ci sentiamo utili e giovani. Ma anche questo è essere genitori: stare un po’ male perché loro stiano meglio.

12 commenti:

Senzapre7ese ha detto...

Finalmente! Uno dei post più sensati che abbia letto sull'argomento. Sembrerebbe la cosa più semplice del mondo, però se lo fai non finisci su Repubblica con la tua bravata, e di che ti vanti con le amiche, poi?

Anonimo ha detto...

Questo post è me-ra-vi-glio-so!
Dovrebbero distribuirlo alle famiglie insieme al calendario scolastico.

Melchisedec ha detto...

Ben detto! Fin troppo gentile Galatea.

Murasaki ha detto...

@Senzapre7ese:
In realtà sta diventando una moda, fare il Bravo Genitore su Internet. Per esempio la famosa lettera del padre che spiega che non ha fatto fare i compiti al figlio perché insieme hanno fatto tante altre belle cose - sono andata a cercare e l'aveva pubblicata lui su Facebook con tanto di fotografia, che non mi sembra affatto giusto nei confronti del figlio (almeno, a me quando ero figlia e scolara una sparata del genere diffusa ai quattro venti non avrebbe fatto certo piacere). In realtà i genitori che fanno i compiti per i figli ci sono sempre stati, ma in qualche modo in questi anni il fenomeno si è parecchio diffuso e molti genitori si sentono anche obbligati. In questi anni va di moda un modello educativo estremamente protettivo, e da figlia credo che l'avrei trovato esasperante. Di sicuro non aiuta i ragazzi a sentirsi autonomi e mi sembra molto oppressivo anche per i genitori.

@agrimonia71:
D'accordissimo. E' una specie di sintetico manuale di istruzioni, molto chiaro e molto sensato.

@mel:
Ti dirò: con la gentilezza qualcosa in questo campo forse puoi ottenere, ma senza gentilezza si va poco lontano. Almeno alle medie, e non parliamo delle elementari (dove secondo noi delle medie anche le maestre sono TROPPO protettive).

Anonimo ha detto...

Cara Murasaki,
da genitore vorrei che questo promemoria venisse reso noto anche agli insegnanti
Cordiali saluti

Murasaki ha detto...

@Anonimo:
In che senso? Ai genitori insegnanti? (Sì, lo fanno anche loro. Essi lo fanno, e non poco).
Perché, altrimenti, è stato scritto da un insegnante - e ripostato da un altra insegnante, che sarei io. Più di tanto io non posso fare per renderlo pubblico ^__^

Pellegrina ha detto...

Una cosa che mi ha sempre frustrato, deluso e alla fine francamente incavolato moltissimo è stato, per quasi tutta la mia vita scolastica escluse le elementari (Montessori sante siano), l'essere caricata di compiti che mi occupavano fino all'ora di cena e che praticamente MAI venivano corretti in classe, di certo mai rispiegati - se avevi sbagliato, fatti tuoi. Mentre si impara molto dagli errori SOLO SE ti vengono decifrati e spiegati.

Se avevo dubbi, se avevo difficoltà, o me le risolvevano a casa, o i genitori degli amici per le materie matematiche in cui non erano in grado di seguirmi in famiglia, nel senso di spiegarmele, non di farmi i compiti, oppure, potevo scordarmi di avere aiuto il giorno dopo. Si passava all'altra quintalata di compiti e stop. Perché "io devo fare il programma", nel migliore dei casi, nel peggiore, una insufficienza e mi ti levo dai piedi.

Ecco, sono d'accordissimo che in Italia soprattutto ci sia una dipendenza esagerata e persino malsana dei figli dai genitori, i quali autorizzano qualsiasi licenza e mancanza di serietà PUR di non concedere un'autonomia necessaria alla crescita e allo sviluppo armonico dei bambini come alla serenità della famiglia. (Frustrati mica poco, dei genitori così.)

Ma 'st'abitudine di farti lavorare sgobbando ore e ore ogni santo giorno per poi nemmeno degnarsi di riconoscere quello che hai fatto, francamente anche no.
Ai bambini finisce col sembrare una presa in giro. Ed è una pessima, ma proprio pessima lezione di vita.

la povna ha detto...

Un ottimo prontuario, quello di Galatea (che mi fa dimenticare persino la mia tendenza a usare le concessive leggendo i suoi post).
Ma devo dire che, onestamente, nella mia esperienza a) quanto si vede che chi, da genitore e da prof., si occupa di queste cose, parla di scuole bene senza nemmeno saperlo (perché ci sono tanti indirizzi di superiore in cui i genitori di certo non ti possono aiutare, punto. E, per quanto in declino, giova ripeterlo, le superiori non liceali occupano il 60% dell'istruzione italiana); b) se lo dici alla prima riunione coi genitori, di solito la maggioranza capisce. La eventuale minoranza di teste di minchia non è maggiore in quantità e molestia alla quantità di teste di minchia presenti nel corpo docente. E dunque poggio e buco fa pari.

Ciò detto, non mi pare che l'abitudine, come dice Pellegrina, sia di dare "tanti compiti" senza correggerli. Io vedo quasi sempre correggere, e quasi sempre per la mia statistica il famoso "tanti", quando lamentato (siccome io ho a che fare con persone intelligenti, nella mia esperienza appunto pochissimo) è una quantità modesta che, molto semplicemente, gli alunni non sono in grado di reggere perché non abituati a studiare/giustificati alle primarie/non in grado di mettersi in ascolto di un percorso di miglioramento. Et coetera.

Murasaki ha detto...

@Pellegrina:
Il problema è che per correggere i compiti in classe parte tempo, e non ne rimane per portare avanti il mitico programma... specie quando i compiti sono tanti. Però sono d'accordo che un qualche tipo di controllo è sempre necessario, almeno per vedere se certe cose sono state comprese. E' quindi importante, da una parte NON dare mai, per nessun motivo, compiti che non abbiano una qualche utilità, e dall'altro elaborare sistemi di controllo rapidi. Di solito quindi ci si barcamena variamente - ma non controllare mai niente proprio non va. Alla fine, almeno alla scuola dell'obbligo, non ha senso portare avanti il mitico programma, almeno in certe materie, se non hai ben controllato che tutti ci siano arrivati, o almeno non hai provato a farceli arrivare tutti per un congruo numero di volte.
(Come stanno imparando a loro spese gli alunni della mia attuale seconda, che applicano con molta intensità le tecniche descritte da Galatea, e i loro genitori pure, e prima o poi ciò sarà argomento di un lunghissimo post, se mai riuscirò a venirne a capo in qualche modo)

@la povna:
Sia lode alle superiori dove, soprattutto quando non c'è di mezzo un liceo, i genitori quasi sempre non sono materialmente in grado di intervenire - ma se sono intervenuti troppo negli anni precedenti, quasi sempre ci saranno dei problemi se i ragazzi non hanno messo su un certo allenamento e una buona dose di fiducia in sé stessi.
Galatea però lavora alle medie, come me, e alle medie il problema può esserci o non esserci - dipende dalla mentalità locale, dalla scuola, da come hanno lavorato gli insegnanti delle elementari, dalla mandata, anche dalle singole classi, oltre che dalla disponibilità degli insegnanti a non vedere e ad abbassare l'asticella. In questi anni, alla mia scuola, devo dire che c'è molto, e a livello collettivo. Non è un meccanismo facile da smontare, tra l'altro. Non basta dire "e allora non considerare i compiti dati per casa nella valutazione" - in un certo senso è perfino inutile, perché comunque se a casa fanno solo quel che gli riesce bene alla prima senza difficoltà, in classe faranno delle prove deprimenti e quindi dargli quattro sarà comunque semplice&agevole. Ma una volta dati i quattro che spettano, il problema non si è spostato di un millimetro.

vanessa ha detto...

Bello
Ne terrò buona nota per quando sarò genitrice di scolari.
Invece ti vorrei fare una domanda leggermente off topic. .. Leggevo su un altro blog di compiti ... alla scuola materna. (In Brasile, non da noi). A me pare un abominio. Sarei curiosa di sentire il tuo pare da prof 😊

Murasaki ha detto...

Più che un abominio mi sembra un po' vago per dare un parere: immagino che non fossero compiti del tipo "risolvete queste equazioni" o "fate 15 frasi con il congiuntivo esortativo". Magari erano "istruzioni"? Coltivate una piantina di basilico, lavorate un po' con le tempere, pesatevi prima e dopo avere dormito, raccogliete fiori di quattro colori diversi? Se è così, l'idea potrebbe essere fargli affinare lo spirito di osservazione, o roba del genere.
Senza saperne qualcosa di più è difficile giudicare. In Italia alla materna non sanno ancora leggere né scrivere, quindi è abbastanza difficile dargli dei "compiti" come li intendiamo nioi.

Pellegrina ha detto...

Murasaki, infatti è giustissimo quanto dici: "E' quindi importante, da una parte NON dare mai, per nessun motivo, compiti che non abbiano una qualche utilità, e dall'altro elaborare sistemi di controllo rapidi. Di solito quindi ci si barcamena variamente - ma non controllare mai niente proprio non va. Alla fine, almeno alla scuola dell'obbligo, non ha senso portare avanti il mitico programma, almeno in certe materie, se non hai ben controllato che tutti ci siano arrivati, o almeno non hai provato a farceli arrivare tutti per un congruo numero di volte".

Giusto sia per i motivi ovvi e pragmatici di capire con un minimo di attenzione e di dettaglio fino a che punto e come ci siano arrivati, sia perché si impara dagli errori solo se ti vengono spiegati, sia per un motivo importante dal punto di vista del metodo di convivenza. Il controllo è il riconoscimento dell'insegnante verso il lavoro, faticoso, spesso, nella mia esperienza di alunna, se fatto con profondità, dettaglio, attenzione e consapevolezza, svolto dagli studenti FUORI SCUOLA. E' il segno di un impegno comune e del rispetto del tempo e della fatica che ci hanno messo dopo le non poche ore di lavoro in classe. In quanto tale va rispettato. E sì, costa tempo all'insegnante e forse pure fatica perché magari correggere settanta volte la stessa cosa non è proprio entusiasmante, però quel tempo ce lo si spende perché è il riconoscimento di un patto di mutuo rispetto e correttezza, oltre che utile. Ma ovviamente, per porsi in questo spirito è necessario saper deporre quel dirigismo e quell'autoritarismo caratteriali che plasmano il comportamento di troppi insegnanti, sempre pronti, inoltre, a considerare gli allievi fondamentalmente come degli idioti da domare e plasmare, e zitti e mosca, ché ssse ssà, io so' io con quel che segue.

In fondo, lo spirito di mutua correttezza e rispetto è quello che ho trovato nella mia esperienza montessoriana ahimé purtroppo limitata alle elementari (scuola pubblica, ci tengo a dire) e che dopo mi è immensamente mancato, rendendo la scuola una pena finché, oh gioia!, sono arrivata all'università, dove ti consideravano di nuovo una persona e non una deficiente da dirigere pontificando vuotaggini. Lungi dall'essere una scuola lasca e "facile", era una scuola dove i compiti si correggevano eccome, sempre; e quanto alle giustificazioni per non averli fatti, l'espressione semplicemente non esisteva. Se penso all'idea dei miei che mi scrivono una giustificazione per non aver fatto i compiti, ci buttiamo tutti insieme per terra e battiamo i piedi fino a dopodomani dalle risate. Giustidddechééééé??????

Ovviamente bisogna essere capaci di mettersi su questo piano, e non su quello molto più facile e rassicurante degli apostoli perbenisti, quegli stessi che guardano con sufficienza una scuola Montessori, magari, perché la tradizione, il lasciar andare le cose come sempre s'è fatto e persuadersi e persuadere che sia l'ordine naturale è molto più semplice e infinitamente rassicurante per chi sceglie di vivere nell'ossessione del controllo - non dei compiti, delle coscienze.