Il mio blog preferito

venerdì 30 maggio 2014

La vita oggi - Anthony Trollope

 

Una bella mattina Sellerio decise infine di tradurre e pubblicare Anthony Trollope, romanziere vittoriano di cui in Italia si era visto davvero poco - qualcosina con la vecchia BUR grigia, e niente di più. Di ciò io e mia madre gli fummo assai riconoscenti e, tra quelli che abbiamo letto, per adesso questo è stato il nostro preferito. 
Si tratta di un romanzo decisamente lungo, non sempre scorrevolissimo ma con un suo fascino leggermente perverso; dentro c'è molta politica, di un tipo che suona stranamente familiare per orecchie italiane contemporanee, e molta analisi sociale fatta scivolare così, senza parere. E' un  romanzo sugarfree, e di sicuro leggerlo non rovinerà il lavoro del vostro dentista.

Siamo intorno agli anni 70 dell'Ottocento, all'inizio dell'attività di Sherlock Holmes, poco dopo la morte di Dickens, poco prima della battaglia delle donne inglesi per il voto, molto vicini al momento in cui gli Stati Uniti sorpasseranno l'Inghilterra come potenza economica.
I vari personaggi sono alla ricerca di una sistemazione, soprattutto economica. I protagonisti maschili (in gran parte assai scialbi) sembrano convinti di poterla ottenere soprattutto giocando col denaro  - un gioco che procurerà scottature più o meno forti a molti di loro; le protagoniste femminili (in gran parte tutt'altro che scialbe) sanno che l'unico modo di sistemarsi per una donna è il matrimonio: altre possibilità non risultano, anche se il matrimonio viene presentato apertamente e senza infingimenti come un sentiero assai disseminato di spine.

Lady Carbury, nata in una famiglia povera, ha accettato a occhi aperti nella sua prima giovinezza il  matrimonio con un uomo con molti più anni di lei. Nonostante abbia ottemperato con buona grazia e buona coscienza a tutti i doveri del caso, il marito non ha lesinato prepotenze né botte. Dopo una vita coniugale decisamente infelice, la signora non può adeguatamente godersi la vedovanza perché da quel matrimonio è nato un figlio che, pur non assomigliando affatto al padre, è uno dei più agghiaccianti personaggi mai comparsi in un romanzo, oltre ad avere un singolare talento nel perdere soldi. Pur non avendo mai pensato di risposarsi (e come darle torto, dopo quell'esperienza coniugale?) la signora chiuderà il romanzo con un nuovo matrimonio, che si annuncia assai più felice del primo: il futuro sposo è un uomo che, dopo averla chiesta in moglie in un momento di debolezza, ha provato una tale riconoscenza per esserne stato respinto da aver finito con l'innamorarsene seriamente.

La figlia di Lady Carbury, Hetta, è l'eroina più convenzionale del libro. Dopo aver rifiutato di sposare un ricco cugino (una bravissima persona, per carità, di nobili sentimenti, ma anche quel tipo di uomo che ti fa considerare il taglio di una mano come un alternativa più che appetibile alla possibilità di  unirsi a lui con il sacro vincolo) riesce, con la tecnica della resistenza passiva che le eroine vittoriane maneggiano con impareggiabile destrezza, a sposare l'uomo che ama - che per la verità sembrerebbe un altro di quegli uomini che ti fanno considerare il taglio della mano come alternativa appetibile eccetera eccetera - ma insomma, contenta lei, contento anche il lettore.

Abbiamo poi Georgiana, figlia non più molto giovane di un aristocratica famiglia che non può più permettersi le season londinesi, acutamente consapevole di aver mirato troppo in alto per troppi anni e che, resa improvvisamente più adattabile da una serie di circostanze avverse, prova a giocare la carta del finanziere ebreo - perché ormai, nella Londra degli anni 70, gli ebrei sono considerati quasi alla pari degli esseri umani; quasi, per l'appunto, perché l'aristocratica famiglia farà un sacco di storie, la stessa Giorgiana tirerà un po' troppo la corda e alla fine il finanziere ebreo (che, per quanto cinquantenne e un po' troppo pinato risulta comunque uno dei personaggi maschili più validi e simpatici) si defilerà con bel garbo. A sorpresa Giorgiana finirà per improvvisare un matrimonio  d'amore... con un prete povero in canna. Sì, proprio un prete. Non ho capito come funziona, ma è un sacerdote cattolico e si sposa, alla luce del sole e con onore.

Poi c'è Ruby,  fanciulla campagnola bella e benestante che a un certo punto della sua vita si innamora pazzamente di un baronetto scioperato e per niente raccomandabile, e per lui lascia un fidanzato mugnaio di poche parole e perennemente infarinato. Per questo suo colpo di testa la poverina viene rimproverata senza pietà per centinaia di pagine e tutti le ripetono senza darle requie che il suo fidanzato la ama, che nessuno può amarla meglio del suo mugnaio, che avendo una così buona sistemazione non si capisce perché debba cercare qualcos'altro. Ruby, che però è quella che col mugnaio infarinato dovrebbe andarci a letto, dopo averlo sposato, e che è maggiorenne, alla fine abbandona la casa dello zio (che tra l'altro la picchiava) e va a Londra per correre dietro al suo baronetto, da cui comunque non si farà indurre a vivere nel peccato. Per capitoli e capitoli la povera ragazza cerca di scansare il mugnaio ma alla fine la tagliola si stringe inesorabile intorno a lei ed è col mugnaio che dovrà andare, volente o nolente. Nelle ultime due righe a lei dedicate, dopo una  cerimonia nuziale in cui lo scarso entusiasmo della sposa viene ribadito più e più volte, l'autore fa scivolare l'assicurazione che il matrimonio sarà felice - e speriamo che sia vero.

Per quinta arriva la figlia di un ricchissimo finanziere ebreo (o meglio, forse ebreo, ma nessuno osa indagare troppo a fondo) che tutta l'alta società londinese considera con sentimenti assai misti di orrore, fascinazione, disapprovazione e invidia, corteggiandolo nel contempo nel più lecchino dei modi.
Scialba e timorosa nei primi capitoli, la ragazza matura in fretta grazie all'amore - o meglio a quello che lei, in virtù di una grande forza di volontà, decide di considerare amore - fino a sviluppare appieno una personalità ricca, volitiva e affascinante. Superato il trauma del Primo Amore Infelice - esperienza sempre importantissima per una donna - la lasciamo alla fine del romanzo pronta a mordere la vita; non senza essersi sposata, si capisce. Per convincerla al gran passo il futuro marito (un americano molto più simpatico della carrellata di personaggi maschili inglesi proposti dal romanzo) le spiega che negli Stati Uniti le donne sposate hanno assai maggior controllo sul loro  patrimonio che in Inghilterra e, in pratica, le promette indipendenza e autonomia; da notare che l'accorta e intraprendente fanciulla non è inglese, o almeno non completamente.

La carrellata si chiude con l'americana Mrs. Heartley, una donna bella, ricca, non più giovanissima, di grande fascino, con idee assolutamente originali e una tempra da vera eroina, che ha attraversato l'oceano per rincorrere uno scialbo fidanzato inglese che non la vuole più - e invero l'amore che questa  splendida creatura nutre per quell'uomo assolutamente insulso e imbevuto fino al midollo di ogni solido pregiudizio inglese è uno dei tocchi più geniali di tutto il romanzo. Naturalmente Mrs. Hartley non caverà un ragno dal buco - e il lettore, o almeno la lettrice, ne prova un certo sollievo; si spera che arrivi qualcosa di meglio in futuro. Si spera, ma Trollope non si attenta a prometterlo, visto che scrive per un pubblico inglese.

E infatti tra i contemporanei Trollope ebbe successo, sì, ma non troppo. Forse perché si sentivano  troppo fedelmente ritratti da lui? 

Con questo post partecipo, proprio all'ultimo minuto utile (ahimé, sta diventando un abitudine) al Venerdì del Libro di Homamademamma, e auguro un felice fine settimana a tutti, con tante buone letture e, si spera, senza pioggia.

mercoledì 28 maggio 2014

Libri d'oro e tetti (di spesa) di piombo

Libri scolastici d'oro? Il peso è quello, il prezzo corrisponde, il contenuto non sempre è all'altezza.

Dopo infinite discussioni e riflessioni ed esami di coscienza, e dopo aver spostato, rispostato e infrattato  immani pile di libri, alfine gli insegnanti di St. Mary Mead hanno scelto e compilato le liste di libri adottati; e - sorpresa! - tutte le seconde e due terze su tre hanno sforato il famigerato tetto di spesa, ovvero la cifra complessiva che il Ministero dell'Istruzione ci ha dato come limite massimo che non pole assolutissimamente venir superato.
Quello del tetto di spesa è un tormentone che ormai da molti anni accompagna l'adozione dei libri nel Collegio Docenti, e non tanto perché gli insegnanti, in preda a deplorevoli manie di grandezza, amino circondarsi di libri preziosi, stampati su pergamena porpora, scritti in inchiostro d'oro e rilegati in pelle di raro unicorno verde, quanto perché 
1) molti libri vanno comprati ogni anno essendo divisi in vari volumi a seconda delle classi 
2)tali libri costano cari già di partenza 
e soprattutto, perché
3) le case editrici, cui del tetto di spesa davvero non potrebbe fregar di meno, ogni anno ritoccano i prezzi, e non verso il basso.
Se da una parte ha certo un senso, da parte del Ministero, controllare che i poveri genitori non vengano soverchiamente gravati da spese librarie eccessive, specie in un momento così delicato sul piano economico e soprattutto lavorativo*, d'altra parte tale rispettabile finalità sarebbe certo assai più facilmente conseguita se venissero imposti dei limiti che obbligassero in qualche modo gli editori a darsi una calmata - o se comunque il Ministero facesse qualcosa per rendere possibile il rispetto del tetto di spesa, al di là del sedersi in trono sul suo stellato soglio dicendo sdegnoso "Comando, posso e voglio".

A suo tempo parecchi Collegi avevano adottato una soluzione decisamente "all'italiana" mettendo nella salvifica casella "consigliato" prima il libro di religione, poi l'antologia di italiano. "Consigliato" in questo caso voleva dire (e alcune scuole tra cui la nostra avevano pure cura di scriverlo apertamente sul sito dell'Istituto) "obbligatorio". Con questo astuto espediente si ottenevano molti scopi in contemporanea: si andava platealmente in culo alla legge cui in apparenza si ottemperava, si prendevano in giro nel più aperto e scorretto dei modi i genitori e infine ci si esponeva a tutte le conseguenze legali di una aperta infrazione, perché qualsiasi genitore avesse chiesto che il libro consigliato non venisse adoperato per le lezioni avrebbe dovuto essere accontentato onde evitare grane di ogni tipo e, sempre per evitare grane, sarebbe stato assai opportuno procedere con mano assai leggera in caso di  sanzioni disciplinari o insufficienze indirizzate alla loro prole. Come ognuno può vedere, insomma, si trattava di una soluzione davvero vantaggiosa per la scuola.
Questo astuto espediente aveva inoltre fatto sì che il problema del tetto di speso, che ogni anno riemergeva in Aprile, venisse poi accantonato il giorno dopo il Collegio di Maggio per riaffiorare nuovamente, l'Aprile successivo, senza che nel frattempo alcun essere vivente avesse provato a sottoporre il problema a chi di dovere, ovvero editori e Ministero.

Forse perché qualche centinaio o migliaio di genitori aveva effettivamente protestato, oppure perché scaricare il problema sugli insegnanti era molto più comodo che provare a ragionare con gli editori, l'anno scorso, nella legge 128 del 28 Novembre su varie questioni scolastiche venne fatto scivolare un passo che diceva i testi consigliati possono essere indicati dal collegio dei docenti solo se hanno carattere di apprendimento o monografico, e tale passo è stato garbatamente ripreso dalla Circolare del MIUR del 9 Aprile dove in più è stato ribadito, a scanso di equivoci, che i libri di testo non rientrano tra i testi consigliati. L'usato giochetto non era dunque più replicabile, con mio grande divertimento.
Come l'anno scorso, ho risolto il problema per la mia classe mettendo in pratica  un vecchio sogno e cioè non adottando il volume principale dell'antologia di italiano**. Visti i prezzi assurdi che hanno le antologie, questa semplice mossa aveva riportato come per incanto il tetto di spesa sotto i limiti dovuti***. Fatto questo, e compilate di mio pugno le relazioni dei libri adottati invece di inserire quelle stampate dall'editore, in base al principio "Se adotto un libro, saprò pur scrivere una decina di righe sui motivi per cui lo adotto, giusto?", mi sono comprata un grosso pacco di pop corn virtuale e mi sono virtualmente accomodata in prima fila per vedere cosa si sarebbe inventata la Nostra Preside per rimediare alla situazione.
Ma sono rimasta piuttosto delusa perché, il giorno prima del Collegio, è arrivata la VicePreside con le disposizioni dall'alto: se mettevamo il libro di Religione e quello di Geometria nei consigliati, tutto sarebbe andato a posto.
Sono rimasta interdetta. "E la circolare del Ministero?".
Mi è stato spiegato che in realtà il secondo volume di Geometria è un approfondimento**** perché si compra in seconda ma si usa soprattutto in terza, e che Religione non è una materia come le altre perché è facoltativa.
Il primo punto mi è sembrato una cazzata pura e semplice, dato che poi viene il momento in cui il secondo volume di geometria viene adoperato, e non certo solo per approfondimenti; quanto a Religione, posso anche essere d'accordo a titolo personale, ma al momento non c'è nessuna garanzia che il Ministero condivida codesto mio personale parere. 

Arriva il Gran Giorno del Collegio Unitario, inizio alle cinque del pomeriggio perché fino alle quattro e mezza le maestre erano ancora in classe sul pezzo.
La Nostra Preside ci spiega che è stanca e vuole finire alle sei e mezzo.
Per carità, se uno è stanco è stanco, ma, a parte che non siamo stati noi a chiederle di prendersi la reggenza del Grande Liceo di Città, saremmo tutti più inclini alla comprensione umana se allo scorso collegio unitario la suddetta Preside non avesse fatto un abominevole piazzata a chi ha osato andare via prima delle sette per prendere il treno (onde arrivare a casa sua, a Monculi di Sotto, prima delle dieci di sera) lamentando la scarsa professionalità di cotali docenti. In effetti non è del tutto chiaro, ai nostri polemici occhi, perché essere stanchi alle sei e trenta del pomeriggio quando casa tua è a cinquanta metri sia professionale, mentre essere stanchi alle sette e col treno ancora da prendere non lo sia; ma questi son dettagli - e del resto è cosa nota che quando la Nostra Preside ha i nervi (il che succede soprattutto quando qualcuno nell'arco della giornata la ha contraddetta o le ha sottoposto una grana imprevista) la piazzata la deve fare, e anche bella lunga, a costo di demolire l'immagine sorridente e zuccherosa da lei costruita con gran cura e alla quale tiene moltissimo. 

Le liste dei libri delle elementari vengono illustrate nei dettagli e le nuove adozioni sono motivate in lungo e in largo dalle maestre. Nel frattempo, con rapido brusio e scambio di gesti, noi delle medie ci spartiamo le motivazioni delle numerose nuove adozioni: tu dici geografia per tutti, io parlo di scienze, eccetera.
Quando arriva il nostro turno però si sta facendo tardi (cioè: sono le sei, niente di che per un collegio iniziato alle cinque). La Nostra Preside ci spiega che, sopra una certa cifra, il sistema informatico si rifiuta semplicemente di accettare la lista dei libri e quindi una soluzione va trovata. La sento anche lamentarsi perché da Crifosso (dove sono tanto ganzi, come non cessano di ricordarci) non hanno mandato le liste dei libri se non all'ultimo minuto e quindi non c'è stato tempo per accordarsi (su quale libro di disciplina mettere tra i Consigliati).
La VicePreside esprime la sua curiosa teoria sul fatto che Geometria 2 sia un approfondimento e il libro di Religione in realtà non serva. L'insegnante fondamentalista di Religione di St. Mary Mead protesta con una certa vivacità, lamentando fra l'altro il fatto di non essere stato minimamente consultato. Nessuno se lo fila, con suo grande (e non del tutto ingiustificato) sdegno misto ad irritazione. Gli insegnanti di matematica invece appoggiano la teoria che considera come approfondimento il secondo volume di Geometria.
Stavolta c'è una votazione (negli anni precedenti non avevo avuto il bene di vederne traccia). Mi astengo da quella legata al libro di Geometria (...se ai docenti va bene così...) e voto contro l'inserimento dei libri di Religione tra i consigliati, ma siccome la stragrande maggioranza approva entrambi gli inserimenti, la cosa non viene notata né tanto né poco.
Delle nostre nuove adozioni non si parla affatto (ormai è tardi) e nemmeno delle "adozioni in corsa", cioè quel paio di libri che abbiamo cambiato tra prima e seconda e tra seconda e terza.
Qualcuno prende il microfono e fa un discorsetto sul costo e l'enormità (in senso fisico) di taluni libri. Perché la nostra scuola non prende posizione, da sola o in compagnia, riguardo al fatto che i libri sono costosi e inutilmente pesanti e che quasi nessun editore ha cercato di proporre libri più snelli e modulabili?
La Nostra Preside risponde che no, questo è compito degli insegnanti che devono parlare con i rappresentanti - come se la singola conversazione tra il singolo rappresentante (che fa il suo lavoro, cioè presentare i libri che gli editori gli danno da presentare) e il singolo insegnante potesse portare a qualcosa.
Il Collegio si chiude.

E l'anno prossimo saremo di nuovo e da capo.

*Ovvero quando molti dei genitori in questione ci han le pezze al culo avendo, uno o entrambi, perso il lavoro o ritrovandosi costretti a contentarsi in mancanza di meglio di lavori scarsamente remunerativi (= "da fame")
**Perché non l'ho mai fatto prima? Perché solo da un paio di anni posso ragionevolmente contare su una certa continuità didattica. Non adottare l'antologia per una prima dove con grande probabilità non avrei insegnato sarebbe stato assai scortese da parte mia, visto che la maggior parte degli insegnanti di Lettere con l'antologia ci lavora assai, e a quel che sembra anche con buoni risultati. Di solito confermavo l'antologia già adottata, se proprio non faceva schifo, oppure mi consultavo con i colleghi per farmene indicare qualcuna particolarmente apprezzata in quella scuola.
***Con i genitori l'anno scorso concordai a parte l'acquisto della raccolta dei racconti di fantasmi curata di Dahl  (restando comunque sotto il tetto previsto) e con l'aiuto di un po' di fotoopie l'anno è stato poi sbarcato assai onorevolmente.
****ah sì?

martedì 27 maggio 2014

Autobiografia: il corso di aggiornamento che non sapevi di aver scelto


Visti i buoni risultati dell'anno scorso, all'inizio dell'anno scolastico ho firmato volentieri per la seconda tranche del Progetto Multiculturale, tanto più che il tema sarebbe stato  l'autobiografia e quindi ci sarebbe stata anche una ricaduta sull'italiano scritto e sulla scrittura in generale. 
Quel che non sapevo era che il progetto comprendeva anche una squisita caramella in regalo, ovvero un corso sull'autobiografia per gli insegnanti. No, non solo per lavorare con l'autobiografia in classe: un corso di autobiografia per noi, in qualità di esseri umani. Solo un primo approccio, certo, ma comunque assai interessante.
E così, quando sono arrivata alla Riunione Preliminare Per La Programmazione col solo scopo di fare onorevolmente atto di presenza e informarmi vagamente di quel che sarebbe successo nelle dodici ore in cui avrei passato lo Scettro di Docente a una perfetta estranea, ho trovato un gruppo misto di insegnanti e operatrici della cooperativa incaricata e tutti insieme abbiamo ascoltato una docente della Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari che, dopo aver evocato il grande potere dello scrivere e del raccontare ci ha, appunto, messe a scrivere di noi. Se non ricordo male, il primo compito era presentarci attraverso un oggetto che ci descrivesse. Dopo breve meditazione, ho parlato del mio amato computer.
Scaduto il tempo della scrittura, la docente ha fatto leggere chi era disposto a condividere. Abbiamo così scoperto che, nei gruppi di autobiografia, vigevano precise regole chiamate "Patto autobiografico": si scrive nella lingua preferita, nessuno passa a correggere, nessuno può commentare perché c'è la sospensione del giudizio (se non ci fosse, lo scrivente non si sentirebbe libero di scrivere quel che gli pare), e si condivide solo se e quando ci va di farlo.
Il fatto di non poter correggere ha naturalmente mandato in crisi noi insegnanti.
"E non si può nemmeno mettere il voto?" abbiamo chiesto preoccupate (ma come, pensavo io, nemmeno le H, nemmeno gli accenti? Oddio!).
La docente ci guardava con una certa compassione, poi ha detto che, vabbé, ognuno vedesse per conto proprio. Per mandare giù l'amaro boccone mi sono detta che in fondo occasioni per correggere non me ne mancavano, potevo pur starmene buonina senza penna verde in mano* per una volta.
E i diari fatti scrivere per la scuola? Non potevamo correggere nemmeno quelli???
Di nuovo la docente ci ha detto di fare un po' come credevamo; così ho stabilito che sui diari avrei continuato a correggere e mettere voti. In fondo, i ragazzi lo sanno che sono compiti per la scuola, giusto? (Non avessero a sperare di poter scrivere qualche riga in pace senza vedersi segnalare il benché minimo errore. Io sono di quelli che devono quasi tagliarsi le mani per non correggerli anche su Facebook, in pieno litigio con gli amici).
La sospensione del giudizio invece non era un problema, perché il contenuto non lo commento mai. Beh, quasi mai. E quand'anche, non certo per criticarlo. Di solito. Forse.

E' iniziato così il nostro corso. Doveva essere di due incontri, poi ne abbiamo chiesto un altro e un altro ancora, fino ad arrivare a sei più tavola rotonda finale, scivolando via via in una dimensione intermedia tra la nostra autobiografia e i lavori in corso nei laboratori in classe, visti dalla parte delle insegnanti e delle operatrici, e tutto ciò è stato assai formativo e utile, e pure divertente.
Da anni inseguivo il fantasma dell'autobiografia a scuola. In entrambi gli anni della SSIS ci era stata promessa una lezione dall'allettante titolo L'autobiografia come cura di sé e per ben due anni in quelle occasioni si era parlato di tutt'altro, ed era pure un tutt'altro assai noioso.
Piuttosto irritata da ciò, dedicai la mia tesina per l'area trasversale** proprio alla scrittura autobiografica, introducendola con una bellissima citazione di Orfeo presa da una tavoletta aurea edita da Colli ne La sapienza greca. Qualcuno ebbe pure il coraggio civico di lamentarsi che la citazione iniziale non era pertinente e lo lasciai dire ma 
1) era pertinente eccome, e solo un idiota completo e totale poteva non accorgersene 

2) una citazione da La sapienza greca di Colli è pertinente sempre e comunque, anche in un manuale per la guida degli autobus. 
E poi quella era troppo bella:

                                   Troverai alla destra delle case di Ade
                                   una fonte, e accanto ad essa 
                                   un bianco cipresso diritto:
                                   a questa fonte non accostarti neppure da presso.
                                   E più avanti troverai la fredda acqua 
                                   che scorre dalla palude di Mnemosine:
                                   e sopra stanno i custodi,
                                   che ti chiederanno perché sei arrivato.
                                   Ma a essi racconta bene tutta la verità.
                                   Di' loro: sono figlio di terra e di cielo stellante;
                                   Il mio nome è Asterio. Sono riarso di sete:
                                   ma lasciatemi bere alla fonte.

Si trattava comunque di un lavoro fatto da autodidatta nei ritagli di tempo, e chiaramente era quel che era. Comunque nessuno poteva accusarmi di averlo copiato da Internet (e infatti nessuno lo fece).

Il nostro laboratorio invece era fatto da una professionista, che ci ha spiegato per il lungo e per il largo l'importanza di dar voce al ricordo, rivivere le esperienze cruciali riordinandole e cercando di dargli un senso attraverso la scrittura, scavando dentro di noi e riportando alla luce tutto quel che avevamo sempre desiderato narrare (ma senza mai avere avuto il coraggio di farlo). A tal proposito si è anche parlato dell'importanza di tenere un diario come insegnanti; e così ho scoperto perché tengo questo blog - che ha anche una parte autobiografica - e perché ho dedicato un paio di volumi del mio diario a specifici periodi del mio insegnantesco percorso. 

Un laboratorio di autobiografia in seconda media è un esperienza molto interessante, ho scoperto. L'autobiografia collettiva, che sia o meno condivisa con i compagni di corso, aiuta a cementare le classi e nello stesso tempo porta alla luce le crepe che serpeggiando al suo interno - e la seconda cosa è forse persino più importante della prima, almeno in una classe di Bravi Bambini Che Si Vogliono Tutti Tanto Bene com'era la Seconda all'epoca ancora Di Ogni Grazia Adorna. Sembra poi che in Terza funzioni in modo diverso - cosa più che credibile, e sono pronta a farne la prova in ogni momento se solo me ne offriranno la possibilità.
La mia Seconda comunque ha fatto un salto di qualità nella scrittura: le frasi sono improvvisamente andate a posto e tutti sono diventati molto più consapevoli di quel che scrivevano e molto più capaci di esprimersi. E' quel che intendo quando parlo, davanti allo sguardo perplesso dei colleghi, di "aprire i canali della scrittura". Parlo di canali energetici, come quelli della circolazione o della kundalini - e mi par di vederli, i rivoletti di scrittura che scorrono giù dai polsi degli alunni per incunearsi tra l'erba, portati dalla corrente verso il fiume e poi verso il mare. Sotto quest'aspetto anzi la citazione di Orfeo è molto chiara: i nostri ricordi, cioè la nostra vita e la nostra stessa essenza, vivono nella palude di Mnemosine, la Memoria. Da quella palude però, se appena si riesce a incanalarla, nasce una fresca fonte dal grande potere. La memoria è un grande serbatoio, sempre pieno (è già pieno quando usciamo dal grembo materno, credo) ma trovare la strada per far sgorgare la fonte ci dà energia e fiducia, ci restituisce la forza del nostro passato... e allenta la pressione.

Gli esercizi (almeno tre per ogni incontro) non avevano in apparenza niente di sistematico. Mi è capitato di incrociare insegnanti che avevano fatto scrivere l'autobiografia agli scolari - una bella roba molto ordinata, che partiva dall'albero genealogico, poi la nascita, l'infanzia con i primi ricordi eccetera. Molto utile per una ricostruzione storica, magari, ma i ragazzi non ci entusiasmavano molto. Il ricordo è anarchico, gli avvenimenti della nostra vita si dispongono sui piani temporali secondo un ordine imprevedibile. Aiutare aiuta a ricordare - immagino sia la prima cosa che insegnano agli psicoterapeuti: se vuoi scavare a fondo devi lavorare con la superficie.
Così i ragazzi sono stati saggiati, assaggiati, spelluzzicati, carotati. Ricordi lontani, ricordi di famiglia, ricordi del presente (quando si sono descritti attraverso un mazzo di carte illustrate), ricordi del futuro (quando si sono descritti tra vent'anni attraverso immagini ritagliate dalle riviste, ed è stata l'attività preferita per molti) scrivendo poi una lettera ad amici che non vedevano da tempo, ricordi di quando sono riusciti a dire "No", poesie dove ogni verso aveva un numero stabilito di parole per descrivere i loro compagni (e sono venute singolarmente bene).
L'ultimo giorno abbiamo fatto un cartellone con un sole. Ognuno di noi, su un raggio, ha scritto una frase dal diario - quella che più volevamo condividere. Io ho scritto un fermo proponimento ad essere meno pedante e convenzionale; perché la cosa che più mi ha colpito, scorrendo il diario fatto in classe durante il corso, è che su quel quaderno appariva una persona molto più pedante di quel che mi illudevo di essere.
Adesso il sole è appeso in classe, come ricordo (pronto ad essere evocato in future autobiografie, immagino. Del resto, è quel che sto facendo in questo momento):


Certo, un corso sull'autobiografia non è come le Life Skills: a noi insegnanti non ha portato punteggio né soldi, le ore del corso non ci sono state retribuite né riconosciute, l'attestato finale ci servirà al massimo come souvenir e non abbiamo ricevuto nessun raccoglitore dalla copertina ben disegnata né alcuna merenda a base di dolci e frutta; inoltre, il giorno della tavola rotonda finale eravamo in una bella stanza, ma sottotetto, e faceva un caldo ignobile. In compenso è stato molto interessante, e anche assai formativo - che per un corso di formazione è piuttosto raro.
In sintesi: una gran bella esperienza che darà frutto anche negli anni a venire, e tutte noi abbiamo imparato un sacco di cose. Spero di avere occasione di farne altri.

*sin dalla mia prima supplenza di quindici giorni ho sempre corretto con la stilografica riempita di inchiostro verde
**un curioso miscuglio di legislazione scolastica, pedagogia, didattica ed altre varie ed eventuali dove quasi tutti sembravano convinti che avremmo lavorato alle elementari

giovedì 22 maggio 2014

Abbiamo un ministro (oh sì, noi abbiamo lei, non abbiamo essa?)


Da qualche mese abbiamo un nuovo ministro dell'istruzione.
Ha esordito auspicando la chiamata diretta degli insegnanti da parte del preside.
E non è stato un grande inizio. Perché, al di là dei pro e dei contro di cotale idea, c'è il fatto che con la legislazione attuale non è possibile - il che spiega perché ogni tanto qualche ministro si alza la mattina, parla di chiamata diretta del preside, poi si chiude in un dignitoso silenzio e la cosa finisce lì.
In questo caso il ministro ha poi detto che in realtà non aveva detto, il che non ha migliorato molto la situazione perché c'era pure la registrazione. Solo dopo questa ulteriore sortita è sopravvenuto il dignitoso silenzio di rito.
Poi sono seguite alcune vaghe dichiarazioni sul reclutamento docenti - tema senz'altro spinoso, ma di cui, si è potuto comodamente evincere, il ministro non è granché informato.E anche queste son cose già viste e riviste con tanti altri ministri prima di lui (però non i risulta una legge che vieta ai ministri di servirsi del loro numeroso staff per farsi scrivere i discorsi. E allora, se ha tutta quella gente intorno, perché non l'adopera?).

Due giorni fa una nuova sortita, sulla proposta di ridurre da cinque a quattro gli anni del liceo: perché, invece di ridurre il liceo, non mandiamo a scuola i ragazzi un anno prima? Due anni di scuola materna invece di tre e il gioco è fatto.

D'accordo, abbiamo già avuto ministri che non sapevano nulla di scuola. Non è che questo abbia fatto molto bene alla scuola, ma li abbiamo avuti.
Abbiamo anche avuto molti ministri che sparavano discorsi a caso in campagna elettorale, e immagino sia questo il caso.
Però, ministro, si rende conto che se mandiamo a scuola le creature un anno prima, cinque anni invece di sei, dobbiamo rifare tutti i programmi? Cinque anni non sono sei, dieci non sono undici. Non è possibile alzarsi una mattina e trasformarli tutti in anticipatari. Anzi, è possibile, possibilissimo; ma vien fuori un disastro.
Al confronto tagliare il liceo di un anno risulta una modifica facile, agevole e di nessunissima difficoltà.

D'accordo, mancano pochi giorni alle europee (dove il ministro Giannini è candidata, e raccomando caldamente chi può di votarla, perché sembra che abbia dichiarato che, in caso di elezione, rinuncerà probabilmente al ministero per fare l'eurodeputata, e si suppone che l'Unione Europea, anche in un momento grigio come quello che sta traversando, abbia forze adeguate per renderla innocua).
D'accordo, in campagna elettorale si spara. D'accordo, quando si spara non si può perder tempo a prendere la mira e controllare la traiettoria del proiettile e quisquilie simili.
Ma, ministro, un conto è promettere per l'ennesima volta di premiare gli insegnanti meritevoli e di rinnovare il contratto ormai in vacanza alle Maldive dalla notte dei tempi, e un altro conto è suggerire di riorganizzare tutti gli ordini scolastici da capo a pié per la terza volta in una decina di anni.

E sappiamo tutti che è una frase buttata là tanto per dire qualcosa, ma, ministro, per favore, un po' di criterio, anche di quello comprato ai saldi di fine stagione...

sabato 17 maggio 2014

Hortodoxa - 17 Maggio 2014 - Giornata mondiale contro l'omofobia



Molte cose accomunano Albus Silente, grande mago e preside di Hogwarts, e Gandalf il Grigio Pellegrino: la lunga barba bianca, il cappello a punta, la comune discendenza letteraria da Merlino, il fatto di essere due grandi e autorevoli punti di riferimento per i protagonisti delle storie in cui compaiono, le lunghe vesti, i grandi poteri magici, l'importanza che entrambi danno al libero arbitrio e alla misericordia, una morte in corso d'opera e soprattutto il fatto di essere sempre molto, molto misteriosi e criptici in quel che dicono e di saperne molto di più, di quel che sta succedendo, di tutti gli altri protagonisti.
In molte cose differiscono: Silente è un umano e Gandalf un Maia; Silente ha un look elegante con ampie concessioni alla stravaganza, Gandalf è piuttosto trasandato; Silente ha un carattere ingannevolmente amabile, Gandalf è irascibile; Silente è più manipolatorio (anche se i fatti finiscono per dargli ragione) e Gandalf NON PUO' esserlo per statuto. Silente muore e questo è quanto, Gandalf risorge.

Entrambi, pur non vivendo uno straccio di storia d'amore né etero né gay nel corso dei romanzi in cui compaiono (anche perché l'età sembrerebbe mettere entrambi fuori da questo tipo di giochi) sono diventati testimonial gay, ognuno con una strada piuttosto insolita: nel caso di Silente, l'autrice ha fatto coming out per lui, suscitando un moderato vespaio dovuto soprattutto alla meraviglia*, l'altro il coming out l'aveva fatto per bocca dell'attore** che l'ha interpretato, nel 1988, ed è un coming out molto indiretto perché all'epoca sir Ian Murray McKellen non aveva ancora interpretato Gandalf né sapeva che l'avrebbe fatto. Tuttavia il suo aspetto solenne e maestoso in veste gandalfiana ben si presta a molti e giocosi richiami in merito.



E non è detto che il Professore avrebbe apprezzato tutto ciò, ma si sa:
La via prosegue senza fine, lontano dall'uscio da cui parte.

Con la speranza che gli ampi poteri magici di questi due signori aiutino a disperdere le cupe nubi di omofobia, transfobia e prevenzione, lasciando a tutti la libertà di essere serenamente quel che sono.




*vabbé, qualcuno si è anche scandalizzato e strappato i capelli, ma è roba di poco conto.
**e sì, c'è stato qualche tolkieniano che ha trovato da ridire. Ma sorvoliamo pietosamente.

venerdì 16 maggio 2014

Ero un topo - Philip Pullman


Una tranquilla coppia, ormai avviata verso la mezza età, una sera sente bussare alla porta. 
E' un bambino; un piccolo bambino vestito con una lacera divisa da valletto che spiega che "era un topo".
Smarrito, rapito, scappato di casa?
La coppia accoglie il piccolo sbandato, lo rifocilla, lo riveste e avvia un microcorso di civilizzazione, visto che il ragazzo cerca di mangiarsi le cose più strane; poi comincia a cercare la sua famiglia.
Solo che non risultano bambini scomparsi, né smarriti né rapiti, e nemmeno scappati di casa o dall'ospedale dei matti.
La coppia ha sempre desiderato un figlio, senza però essere mai riuscita ad averlo. Si affezionano subito al piccolo smemorino, gli danno un nome, Roger, e provano a trattarlo come un bambino normale (salvo pagare i danni per le cose stranissime che il bambino mangia e i vari disastri che combina).
Tutti gli altri adulti che entrano in contatto con Roger però non riescono a capirlo, né ad inquadrarlo: il piccolo è pieno di buona volontà e avrebbe anche un carattere molto dolce e disponibile, ma c'è in lui qualcosa di davvero diverso rispetto agli altri bambini, che spaventa le persone e insieme le manda in collera.
Presto, molto presto, la vita di Roger diventa un inferno. La troppa fiducia e l'ingenuità lo spingono nelle mani sbagliate. Maltrattato, messo in mostra come un fenomeno da baraccone, scacciato e poi cacciato, perseguitato e vilipeso, considerato alla stregua di  un terribile mostro...
Nel frattempo la coppia che l'ha accolto la prima sera continua a cercarlo, finché finalmente le cose cominciano a girare per il verso giusto. Con una sorpresa veramente sorprendente. Perché in realtà tutti noi sappiamo chi è, o meglio chi era il piccolo Roger, e abbiamo già letto e sentito molte volte l'inizio della sua storia... ma senza mai domandarci cosa succedeva dopo.

Il libro riesce ad essere contemporaneamente la storia di un povero bambino infelice e perseguitato, una critica piuttosto salata del mondo degli adulti e del mondo in generale e un perfetto esempio di come fa la stampa (grandemente aiutata dall'opinione pubblica) a creare un mostro e a smontarlo. Si sa che molti Roger, non necessariamente bambini ed ex-topi, sono finiti stritolati da questo meccanismo infernale, spesso senza nessuna coppia di signori di mezza età che riuscissero a rimediare la situazione all'ultimo momento con la forza dell'ostinazione.

Meravigliosamente scritto, ottimamente illustrato (da Peter Bailey) e costruito in modo geniale, il breve romanzo è adattissimo per chiunque dagli otto anni in poi. Anche se apparentemente si tratta di letteratura fantastica - con una possibile svolta verso il fiabesco - è in realtà di una storia di grande e crudele realismo.
Consigliatissimo a chiunque.

Con questo post partecipo in extremis al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro felici letture e un bel fine settimana a tutti, lettori e non lettori.

mercoledì 14 maggio 2014

Il gay sotto il letto - 2 - Di bufale e di crociate (con un'infinità di link di rimando)

La seconda crociata (1145-1149) andò male. Molto male. Come tutte quelle successive.

Il 30 Aprile 2013 il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pubblicato la Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, in ottemperanza ad apposite normative della Comunità Europea. Tale strategia prevede l'elaborazione di un piano di lavoro per il biennio 2013-2015 contro le discriminazioni determinate da molteplici motivi, ivi comprese quelle fondate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere che, come prevedibile, coinvolge anche le scuole.
L'Allegato alla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli stati membri sulle misure dirette a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere spiega come, a tutela de l'interesse superiore del fanciullo, dovrebbero essere adottate misure appropriate per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall'orientamento sessuale o dell'identità di genere. A tal nobile e meritorio scopo gli stati membri potrebbero tra l'altro predisporre e attuare politiche scolastiche e piani d'azione per promuovere l'uguaglianza e la sicurezza. Tali misure dovrebbero tener conto del diritto dei genitori di curare l'educazione dei propri figli.

A seguito di questa raccomandazione le Strategie si ripromettono un grandioso piano di monitoraggio dati, formazione del personale scolastico e interventi didattici. Tutto ciò non soltanto al fine di preservare da ogni ombra di discriminazione le fanciulle, i fanciulli d'ambo i sessi ad orientamento omosessuale o bisessuale e i giovanissimi transgender, ma anche per limitare (e possibilmente eliminare del tutto) i suicidi legati a questo tipo di discriminazioni, che nella popolazione scolastica italiana sono il quadruplo della media europea.

Passa un giorno e passa l'altro, le Regioni si attivano, le scuole si attivano e i progetti cominciano a partire. Un po' alla volta: perché Roma non è stata fatta in un giorno, ben pochi degli insegnanti in cattedra possono vantare competenze su questi temi e via dicendo, senza contare che la questione dell'identità di genere presenta più spine di un roveto in una cultura dominata dal terrore che la visione di un singolo elemento rosa nella camera di un fanciulletto ne turbi irreparabilmente l'orientamento sessuale e che è maniacalmente intenta a suddividere anche i gas respirabili in "maschili" e "femminili".

Nella mia zona è partito, alle scuole medie, un rispettabile corso sugli stereotipi e l'opportunità di non vivere pensando per frasi fatte - una roba che si incastra in qualsiasi programmazione, che ottempera come minimo a quattromila direttive ed esortazioni ministeriali e non sembra passibile di contenere al suo interno alcuna controindicazione. Da quanti anni le linee-guida per le scuole ci incitano a smontare gli stereotipi? Probabilmente c'erano ancora i villanoviani, quando il Ministero stampò le prime esortazioni in tal senso.
Eppure questo garbato intervento dove, qua e là, capita ogni tanto di infilare la parola "omosessuale" (qualcuno se la sente di negare che la parola "omosessuale" si porti attaccato qualche piccolo stereotipo?) ha suscitato orde di polemiche e alzate di scudi che nemmeno l'invasione degli unni a Roma. Quando è stato presentato a Lungacque, nella Sala del Comune, i genitori sono insorti. 
Ora, per carità, non è che i genitori della mia zona siano tutti distratti e incuranti dei loro figli, ma non li ho mai visti polemizzare sui progetti didattici. Mai. Ascoltavano pazientemente, assentivano educatamente e a volte chiedevano un filo di spiegazione, quando l'insegnante che parlava aveva fatto eccessivo uso del didattichese. Tutto qui.
A Lungacque però c'è un consistente nucleo di famiglie neocatecumenali (da noi chiamati palmine). Ad insorgere sono stati loro. 
Perché? 
La posizione ufficiale della Chiesa sull'omosessualità non contempla affatto la lode e l'incoraggiamento alla discriminazione, al pestaggio o alla violenza omofobica, né mi risulta che le alte sfere ecclesiastiche si siano mai spinte a rallegrarsi dell'uso degli stereotipi legati al genere, così come nessun sacerdote ti loderà perché hai chiamato frocio il compagno di banco o hai perculato la compagna di banco perché le piacciono i trenini invece delle bambole.

Qualcuno ha ipotizzato che, nelle famiglie cattoliche più conservatrici, si cerchi di eliminare financo la questione dell'esistenza dei gay. Il che può essere, ma dal momento che viviamo in una cultura che sembra letteralmente ossessionata dai gay e li vede in ogni luogo e in ogni lago, non basta non parlarne ex cathedra perché i ragazzi non ci pensino mai, anche sorvolando sul piccolo e insignificante dettaglio che potrebbero pur essere i tuoi figli ad essere discriminati in quanto gay (magari non essendolo affatto) e potrebbero essere i tuoi figli ad impiccarsi dopo essere stati presi di mira dai compagni.
Certo, sono i tuoi figli e li hai cresciuti bene e quindi mai nel loro cuore potrebbero albergare pensieri impuri o discriminanti. Ma siccome non hai cresciuto i figli degli altri, niente garantisce la tua prole contro un certo tipo di violenza. Se non altro a tutela dei tuoi candidi e immacolati germogli, e nel tentativo di arginare la mala educazione dei figli dei miscredenti, qualche lezioncina sull'importanza di non discriminare non dovrebbe trovarti così contrario; per tacere del fatto che le tue figlie potrebbero essere stanche di sentirsi definite genericamente "troie" tutte le volte che fanno qualcosa che contraria qualcuno, e magari preferirebbero essere insultate in modo più preciso e più aderente alla questione (o addirittura non essere insultate affatto).

Che quello di Lungacque non sia stato un caso isolato lo dimostrano la pioggia di lettere che le associazioni di genitori stanno mandando alle scuole, ad esempio questa dall'A. Ge. Toscana.
E' una lettera dal contenuto piuttosto vago, nel senso che chi la legge vaga da un paragrafo all'altro senza capire bene dove stia il problema. Va bene tutelare le diversità, scrivono i redattori, va bene che la scuola intervenga contro il bullismo omofobico perché come genitori capiscono il dolore di avere un figlio che si uccide sentendosi discriminato, ma allora perché non intervenire contro ogni tipo di discriminazioni con un progetto di più ampio respiro, e perché ci si è rivolti proprio a una determinata associazione e non alle altre 28 indicate nella Strategia Nazionale, perché non ci si è rivolti alle associazioni di genitori, e siamo sicuri che siano state seguite tutte le procedure burocratiche del caso?
Ora, personalmente non ho idea se siano state seguite tutte le procedure burocratiche. Tenderei a pensare di sì, perché un progetto regionale per la scuola, di norma, le procedure di rito le segue, avendo poche possibilità di nascondersi nel nulla al primo apparire di un qualsivoglia controllore. 
Nel caso specifico però ai genitori viene chiesto di mobilitarsi e indagare se il progetto è stato votato dal Consiglio di Istituto (e perché non dovrebbe, vien fatto di domandarsi. Quale mai Consiglio di Istituto voterebbe contro un progetto aggratis contro il bullismo organizzato dalla Regione?) e se prima di votarlo c'è stata adeguata discussione che coinvolgesse i Consigli di Classe, i Collegi dei Docenti e chiunque altro si fosse trovato a passare di lì per caso, fosse pure l'addetto al rifornimento del distributore automatico di merendine.

L'A.Gi fa poi notare che I genitori devono conoscere in anticipo i contenuti degli incontri e anche partecipare alla loro organizzazione, se lo ritengono opportuno; inoltre devono avere facoltà di chiedere che il loro figlio non vi partecipi, senza che ne consegua alcuna discriminazione. (il grassetto è nel testo).

Ma perché mai un  genitore dovrebbe escludere la sua prole da un laboratorio contro il bullismo e la discriminazione? Forse che questi genitori desiderano che i loro figli crescano violenti e discriminanti, oppure vessati e discriminati? Parrebbe un istanza piuttosto insolita.

Ma c'è un motivo. Sembra. Parrebbe.
Ci risulta infatti che, in determinati contesti, simili progetti siano stati utilizzati per introdurre nelle scuole il concetto di “gender” e le tematiche LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali), in assenza degli insegnanti e talora con esemplificazioni fin troppo concrete e dettagliate.

"Ci risulta", "in determinati contesti", "simili progetti" e "talora" sono quattro splendidi indicatori da bufala, secondo qualsiasi autorità in materia (resto sul vago anch'io? No, ne cito uno: il mio preferito) Quando, dove, come, c'è una fonte da qualche parte?
Ah, saperlo, saperlo...

Ma in effetti, per quel che riguarda il concetto di "gender", si spera assai che le creaturine, per quanto implumi, lo abbiano acquisito già prima della prima elementare, dato che non è l'Europa bensì la Grammatica Italiana a chiedercelo: c'è il tavolo che è maschio e la tavola che è femmina; a torto o a ragione la lingua italiana nel concetto di gender ci sguazza a tal punto che senza qualche elemento in merito non si impara nemmeno a dire "Buongiorno". Per la verità le grammatiche usano di solito la parola italiana "genere", ma si sa che le parole straniere sono più trandy. Giusto? (O meglio: correct?)

Ma magari, al di là delle raffinate distinzioni tra "bracci" e "braccia", il "concetto di gender" ha altre applicazioni?
I redattori dell'A.Gi Toscana han provato a documentarsi, ma non sembrano nutrire molte certezze in merito:
Per quanto abbiamo potuto capire, l’ideologia di genere (gender) nega che esista una identità sessuata oggettiva e sostiene che l’identità sessuale è il risultato di sovrastrutture culturali e sociali da abbattere. La "queer theory" sostiene che le identità sessuali sono una funzione della rappresentazione. Conseguenza logica: la rappresentazione delle identità sessuali è pre-esistente ad esse e le definisce (da culturagay.it).

Mi permetto di accantonare la "queer theory" - effettivamente non mi sembra roba da portare in classe, almeno fino a quando non si riesce a spiegarla in modo un po' più comprensibile a un comune mortale - per impegnare le mie deboli forze sull'ideologia di genere (che comunque parrebbe  cosa un po' diversa dal concetto di "gender").
Andando su Google, le prime due schermate portano, tutte, ad articoli e siti cattolici. La AGeSC (Associazione Genitori Scuole Cattoliche) in particolare fornisce una bella raccolta documentaria e un riepilogo della situazione attuale. Proprio in questo documento troviamo una definizione un po' più comprensibile di questa fantomatica ideologia di genere:
Secondo tale ideologia, a cui si vogliono indottrinare le nuove generazioni a partire già dalla scuola dell'infanzia, il sesso biologico, maschio o femmina che sia, non è rilevante per distinguere un uomo da una donna poiché l'identità sessuale è frutto della pura costruzione sociale e culturale e pertanto deve essere realizzata in autonomia, ognuno deve poter essere libero di decidere volontariamente e soggettivamente a quale "genere" appartiene.


A dirla tutta, sul fatto che uno ha diritto di scegliersi il genere che più gli si confà, più che un ideologia sembrerebbe l'enunciazione di principi abbastanza diffusi da tempo, nonché messi in pratica da alcune leggi del parlamento italiano e dal buon vecchio articolo 3 della nostra Costituzione, ma all'interno di alcuni movimenti cattolici (e dell'AGeSC, dal cui documento di sintesi continuo ad attingere) viene vissuta come un tentativo di rivoluzionare l'antropologia e la cultura della nostra società, modificando la concezione della sessualità umana, della famiglia e della convivenza civile in genere.
Tentativo, aggiungerei, in parte già coronato dal successo ma che a loro non sembra particolarmente gradito.

Stabilito ordunque che l'ideologia di genere è qualcosa che esiste solo all'interno di certi ambienti cattolici e produce gran copia di documenti non privi di interesse antropologico (ad esempio questo), mi sembra legittimo domandarmi di nuovo perché a scuola non dovremmo avere il nostro piccolo laboratorio didattico per esortare i fanciulletti a non prendere in giro Astolfo se giocare a calcio non gli piace e Angelica se, al contrario, ci gioca molto volentieri. 
Ma siccome rispondere a questa domanda è abbastanza difficile, qualcuno (e qui sono vaga perché, davvero, non so chi possa essere stato) ha anche ritenuto opportuno diffondere alcune accorte dicerie su questi laboratori, ovvero le esemplificazioni fin troppo concrete e dettagliate di cui accennava la lettera dell'A.GI Toscana: sarebbero state infatti impartite lezioni di masturbazione in classe, come in Francia, da appositi militanti gay (e anche lesbo, spero, in nome della parità di genere), e ognuno degli alunni avrebbe avuto, sul modello svizzero, una scatola con attrezzi e foto per perfezionare la sua tecnica in materia, poi sarebbe arrivato il fantasma Formaggino per insegnare ai maschi come truccarsi e darsi lo smalto sulle unghie e l'ornitorinco di Kant sarebbe passato per la verifica finale comprensiva di pompino (fatto anche alle ragazze, in nome delle pari opportunità). E giuro che le prime due non me le sono inventate: ma oltre all'articolo linkato qui si raccomanda di leggere anche i commenti, perché appunto con i commenti arriva la storia della scatola distribuita agli alunni delle elementari in Svizzera. 

Ora, va bene la credulità. D'accordo le bufale. Si sa che non tutti siamo stati forniti all'atto della nostra nascita di senno sovrabbondante (io per prima, naturalmente); ma dovrebbe pur esserci un limite a tutto. 
La scuola è un ambiente conservatore; anzi, molto spesso viene accusata, e nemmeno a torto, di esserlo troppo. Chiunque sia stato a scuola lo sa. Chiunque lavori nella scuola lo sa. Chiunque abbia provato a riformare la scuola lo sa. E chiunque presenti progetti laboratoriali per la scuola, comprese le associazioni per la tutela dei diritti di gay, lesbiche e transgender, lo sa. Quand'anche, sotto l'effetto di cospicue dosi di stupefacenti, costoro provassero a immaginarsi un laboratorio con esercitazioni di masturbazione etero e gay dal vivo e dal morto, non lo presenterebbero mai in un progetto per la scuola, nemmeno dopo aver assunto il doppio delle droghe che avevano preso al momento di redigere il progetto in questione. Non succederebbe nemmeno se la Terra, una mattina, decidesse di percorrere una rotta quadrata o i pesci cominciassero a camminare sulla terraferma. Non succederebbe, e basta.Non importa cosa ti ha raccontato tuo cuggino, non può succedere.

Quello che invece può succedere, e di fatto succede più spesso di quel che si pensa, è questo:

Quando ero alle medie (MEDIE circa 11-14): 1. i miei compagni saranno stati anche così ignari delle cose del sesso, ma mi insultavano e mi picchiavano perché 'lesbica, invertita, leccafica' (per tre anni uno dei leit-motiv è stato "gli vuoi leccare la passera a lei? e a lei?); 2 a un ragazzo molto timido e un po' impacciato, lo perseguitavano chiamandolo "NOME-leccaglielo bene", perché "i pompini li fa lui, non li fa nessuno, te lo succhia meglio di una donna".
Mi spiegate di che cacchio stiamo a discutere sul presunto sconvolgimento di ragazzi del biennio (14-16) a leggere di un pompino?
Ci siete mai entrati in una classe vera?

Cari genitori cattolici che volete cattolicamente educare i vostri figli, siete davvero sicuri che la scelta più cattolica da fare sia quella di fingere di vivere in un universo parallelo e inventarvi crociate contro nemici inesistenti, invece di occuparvi del mondo dove viviamo qui e ora?