Il mio blog preferito

venerdì 28 settembre 2012

A me le guardie! - Terry Pratchett



Pubblicato nel 1993, tradotto in Italia nel 2003.
Con questo libro, il primo del Ciclo delle Guardie, Terry Pratchett è entrato nella rosa dei miei scrittori preferiti. Ufficialmente è uno scrittore di fantasy umoristica, ma a me sembra soprattutto sociologia (scritta in modo divertente). Di fatto, è un autore realistico e molto attento al contemporaneo. A modo suo.
Le Guardie di cui si parla sono le scalcinate Guardie Notturne della città di Ankh-Morpork, la più grande città del Mondo Disco - un mondo piatto sorretto da quattro elefanti sorretti da una tartaruga gigante*.

La trama è relativamente semplice: nella caotica metropoli di Ankh-Morpork una setta segreta composta da scervellati ricolmi di frustrazioni sociali e vaghe rivendicazioni, guidata per giunta da uno scervellato che è convinto di essere in realtà assai accorto e lungimirante, evoca un drago da una piega del Multiverso dove i draghi sono finiti ormai da tempo immemorabile. Lo Scervellato in Capo ha  un piano che dovrebbe portare a un nuovo ordinamento della città, ma l'intera faccenda, e soprattutto il drago, gli sfuggono ben presto di mano con conseguenze drammatiche. A risolvere il problema interverrà l'Amore: il drago sceglierà, in base a criteri del tutto imprevedibili, come solo l'Amore può dettare, un partner sorprendente e i due si avvieranno sui monti ai confini del Disco, ove si suppone vivranno felici. Ankh-Morpork, seppure malconcia, sopravviverà alla dura prova e continuerà la sua caotica esistenza ai limiti del possibile. La Guardia Notturna sarà ricompensata. Lo Scervellato pagherà, gli altri scervellati pure. E con loro pagheranno anche un sacco di innocenti e di tipi magari poco raccomandabili ma che non avevano evocato alcun drago né mai avevano minimamente pensato di farlo.
In parallelo a quella del drago si sviluppa un'altra storia d'amore tra il capo della Guardia, Samuel Vimes, e l'allevatrice ed esperta di draghi di palude Lady Sybil - entrambe narrate assolutamente senza parere. Tutte le vicende in effetti sono raccontate senza parere, con una curiosa tecnica a incastro che trascina il lettore allo stesso modo con cui il fangosissimo fiume di Ankh-Morpork trascina la sua... acqua? No, di certo non è acqua; contro ogni logica comunque quel fiume scorre, e riesce persino a dissetare la città; addirittura pare funzioni anche per spengere gli incendi.

Il romanzo è pieno di personaggi principali, tutti molto affascinanti: l'acido, cinico, perennemente arrabbiato, quasi perennemente rassegnato (e ubriaco) Samuel Vimes, che è finito a capo del più screditato corpo di difesa della città per una deplorevole tendenza a dire spesso quel che pensa; Lady Vimes, ricca aristocratica pazzamente innamorata dei draghi di palude che alleva e cura con grande dedizione, donna di notevole senso pratico ed eccellente competenza draghesca; Lord Vetinari, il Patrizio a capo di Ankh-Morpork, grandissimo politico capace di dare una organizzazione assai più reale che apparente alla sgangherata città e di uscire indenne dal ciclone draghesco; il caporale Carota, bel giovane dal sorprendente candore, dotato di tale autorevolezza e carisma da riuscire a domare con poche parole financo una rissa tra nani e troll; il Bibliotecario dell'Università di Magia, trasformato in orango da un incantesimo e talmente abile nel suo lavoro da saper gestire i campi di magia generati dalla sua biblioteca e usare con successo i corridoi che portano nelle dimensioni Altre; i capi delle Gilde, il gruppo degli scervellati evocatori (molto divertente fin quando non tornano in mente le società segrete con cui Hitler avviò la sua scalata al potere), gli altri componenti della guardia, le nobili dame che lavorano alla clinica dove si curano draghi di palude abbandonati e malati....

Il libro pullula, letteralmente, di riferimenti e citazioni letterarie e non: alla fantasy, alla letteratura fantastica in generale, alla storia politica, sociale ed economica, alla pubblicità, alla musica,  allo sport, alla filatelia e alla gingillometria applicata... il lettore non è tenuto a coglierli tutti, e nemmeno la maggior parte (ma se non ha vissuto per tutta la vita su un'isola deserta e senza collegamenti col resto del mondo qualcuno lo coglie per forza): la storia funziona perfettamente anche senza decifrarli. Ed è una gran bella storia.

Come tutti i romanzi del Mondo Disco e, nello specifico, del Ciclo delle Guardie, è autonomo e autoconclusivo.


Corre voce che, in traduzione,  Pratchett perda parecchio (gli abbondanti riferimenti sono fatti anche grazie a una serie di giochi di parole o allusioni intraducibili). Corre anche voce che leggere Pratchett in inglese non sia alla portata di tutti e non basti armarsi di buona volontà, dizionario e qualche ricordo scolastico.

Per quanto si possa perdere, comunque, garantisco che qualcosa per il lettore rimane anche in traduzione.

Con questo post partecipo ai Venerdì del libro di Homemademamma, augurando buone letture a tutti per questo week-end che, per clima e temperature e raffreddori incombenti, alle letture si presta parecchio.

*un mondo sorretto da quattro elefanti sorretti da una tartaruga? Sì, è possibile che qualcosa del genere sia stato già immaginato prima di Pratchett. Quasi niente è originale, in Pratchett, e tutto lo è. Del resto, lo stesso Mondo Disco è un mondo abbastanza contraddittorio, che non si preoccupa affatto di sanare le sue contraddizioni e dove tutti sono costretti a prendere le cose come vengono. Ricorda niente?

mercoledì 26 settembre 2012

Disciplina - 2 - Ogni 1 ha le sue regole



Da brava amante dei gatti non sono molto incline a dare ordini, anche perché ho ben presente la possibilità che non vengano eseguiti. Data questa premessa, il lettore potrebbe essere forse portato a dedurne che nelle mie classi la disciplina non sia delle più rigorose; cotal conclusione in effetti è ben lungi dall'essere falsa, e tuttavia, alla prova dei fatti, con me le classi non risultano più indisciplinate di quanto siano in media con gli altri insegnanti del Consiglio - in pratica: le classi ordinate e composte lo sono con me come con gli altri, le classi che fan casino con gli altri lo fanno anche con me, e il massimo che posso sperare di ottenere con loro è un casino decentemente produttivo (di solito ci riesco; di solito; più o meno; credo; o almeno, me lo auguro vivamente).

Molti insegnanti sono convinti che le regole debbano essere uniformi in tutto il Consiglio "altrimenti i ragazzi si confondono"; altri sostengono che dette regole debbano essere condivise e passano gran copia di ore, all'inizio dell'anno, a stilare elenchi di regole interne e discuterne con i ragazzi per poi fargliele trascrivere su grossi cartelloni che decorano l'aula. Per quel che ho visto tale procedura non fa danni e può anzi portare risultati positivi in molte classi, ma ritengo sia efficace solo se l'insegnante è in assoluta buona fede: per quel che ho visto i ragazzi sono comprensibili e adattabili alle idiosincrasie dei singoli docenti, ma hanno un orecchio sensibilissimo per l'ipocrisia. Io non sarei in buona fede parlando di regole condivise, perché ritengo che le regole si possano condividere solo nei rapporti tra pari, laddove a scuola i rapporti sono gerarchici e quello che pratica l'insegnante è un assolutismo illuminato* (almeno, ci si augura caldamente per il bene di tutti che sia illuminato dalla luce di un po' di ragionevolezza); da condividere c'è ben poco, perché è comunque l'insegnante che decide se accettare eventuali proposte degli alunni.
Inoltre, per quel che ho visto, quando arrivano alle medie i ragazzi hanno già sentito parlare a lungo e approfonditamente di regole, con tutte le introduzioni storico-sociologiche-antropologiche del caso, e quelle essenziali nella convivenza scolastica le conoscono benissimo;  il che non toglie che ci sia spesso, nelle classi più intrattabili, qualche manipolatore che sgrana gli occhioni irradianti innocenza e assicura che "nessuno ci ha mai detto le regole da seguire" - di solito, guarda caso, si tratta di alunni per i quali l'unica Regola da seguire è di scassare le balle all'universo mondo il più possibile, e che a detta regola si attengono con coerenza e costanza davvero degne di miglior causa.

In linea di massima, quando entro in una nuova classe l'unica Regola che do è che tengano un quaderno ad anelli per consegnarmi il singolo foglio del compito, invece dell'intero quaderno; poi aggiungo che, se preferiscono, possono anche tenere dei quaderni normali e consegnarmi quelli, ma allora ne devono avere più di uno per materia  - insomma, è una regola caucciù che possono adattarsi a loro piacimento.
Le altre regole le do per implicite e lascio che le scoprano col tempo (ma non tutte le classi hanno dovuto scoprirle: in alcuni casi erano già implicite anche per loro).
La prima regola implicita è che la lezione deve andare avanti a qualsiasi costo, e se la lezione non fa il suo corso divento una tigre zannuta - dunque possono allargarsi, ma con criterio, e di solito il criterio si chiarisce da solo con qualche nota sul diario o qualche compito supplementare che assegno a tutta la classe, e dopo se la vedranno tra loro. Spesso non occorre nemmeno arrivare alla nota, basta ritirare qualche diario e l'aria si calma. Corollario: se vogliono questionare tra loro, devono farlo fuori dall'aula o comunque non nelle ore di lezione, perché a scuola non si viene per litigare**.
La seconda regola implicita è che la lezione deve andare avanti ma loro devono essere a loro agio, nei limiti concessi dalle scomodità della situazione. In pratica al primo che mi chiede se può bere rispondo che possono bere come e quando vogliono durante le mie lezioni, al sesto che lo chiede spiego che il prossimo che interrompe la lezione per chiedere di bere invece di idratarsi a suo piacere senza scocciare la collettività lo lascerò  a morire di sete senza rimorso alcuno, e questo di solito chiude la questione una volta per tutte. Quasi subito imparano che in bagno possono andare quando gli pare, ma che se me lo chiedono a gesti senza interrompere apprezzo molto di più. E nel giro di pochi giorni, con le buone o con le cattive, imparano anche che i commenti sui compagni devono imparare a farli solo e soltanto quando io sono fuori portata d'orecchio. A quel punto la convivenza si fa abbastanza rilassata.
In generale tollero lo scambio di biglietti o di scritte sul diario, se non è troppo palese o continuato. Qualche volta, se proprio non posso decentemente esimermi dal notare la cosa, domando se, per consegnare un biglietto, è proprio necessario scomodare un'intera ala della classe e proclamarlo ai quattro venti, ricordando che una delle arti indispensabili alla sopravvivenza di uno scolaro è, appunto, quella dello scambio dei biglietti silenzioso e discreto. Se sono costretta a sequestrarne uno lo coriandolo e lo butto via senza leggerlo, anche se qualche volta ho minacciato di farne pubblica lettura se le chiacchiere non si fermavano IMMEDIATAMENTE (in quel caso si produce di solito un silenzio molto contrito). Talvolta, durante la lettura, impongo il silenzio assoluto: non si esce, non ci si alza, non ci si muove e non si respira, si legge e basta. Chiaramente lo faccio solo con le classi dove l'attenzione è, come dire, un po' fragile.
Chi vuole buttare qualcosa nel cestino si alza e la butta, senza autorizzazione protocollare: il fatto che qualcuno si muova in classe non mi disturba né disturba la sua capacità di ascolto. Al cambio dell'ora non gli impedisco in alcun modo di muoversi né di parlare, purché i decibel e le gomitate non passino una certa soglia.
Non commento mai abbigliamento o pettinature, se non è per dire qualcosa di estremamente positivo. Non sempre approvo come sono vestiti o pettinati, ma altrettanto mi succede con molta gente che incontro per strada e certo non li fermo per dirglielo. Secondo alcuni, criticandoli in tal campo adempirei alla mia Alta Funzione di Educatore, ma ho parecchie remore a criticare, per qualcosa di non attinente alle mie materie, qualcuno che non può rispondermi liberamente. Del resto faccio ben poco caso a come sono vestiti - tra l'altro mi sembrerebbe stupido perdere tempo con le loro pettinature quando c'è tanto da lavorare sui loro congiuntivi e con la pace di Westfalia ancora da spiegare e la ex-Iugoslavia ancora da cominciare. I loro congiuntivi sono affar mio ma dubito molto che altrettanto si possa dire per il loro modo di vestire - e comunque ricordo benissimo l'ondata di odio puro che si alzava in silenzio verso gli insegnanti che ai miei tempi hanno avuto l'incauta idea di pronunciarsi sull'argomento (pochissimi, sia chiaro). L'Alta Funzione di Educatore la lascio a chi la vuole, mi interessando di più i congiuntivi.

Raramente le mie classi sono silenziose. Di fatto, quando riesco a parlare per più di un tot di minuti senza nemmeno un'interruzione mi insospettisco e ne concludo che non stanno ascoltando. Sì, certo, quel bel silenzio assorto quando la classe ti ascolta in un unico afflato di anime...  molto gratificante, d'accordo, ma se passa i due massimo tre minuti secondo me non è afflato, è solo che hanno staccato l'audio. Altrimenti commenterebbero. Di fatto, le classi molto silenziose mi mettono addosso un notevole senso di frustrazione.
In pratica il mio ambiente di lavoro consueto è una classe di media effervescenza, con qualcuno in piedi, qualcuno che esce e qualcuno che scrive a qualcun altro mentre uno o due  controllano che la LIM non faccia i capricci e qualcuno mi rivede le bucce perché sette settimane prima ho detto X, oggi dico Y e il manuale, nella didascalia della terza immagine dice Z. 
Altri preferiscono classi più ferme e composte, e si regolano diversamente da me per ottenerle - il che mi sembra assolutamente legittimo.

Di fatto, purché il programma vada avanti a velocità decorosa e i fanciulli ricordino a distanza di qualche settimana le linee essenziali di quel che è stato detto dagli insegnanti, credo che ognuno debba praticare l'Assolutismo (speriamo passabilmente illuminato) a modo suo: un po' di varietà secondo me non disturba chi passa trenta o trantasei ore confinato in un banco senza altro conforto che qualche briciola di intervallo e due ore di Fisica e ha, come unico spettacolo cui assistere, un gruppo di persone che cercano di ammaestrarlo su cose magari utilissime, ma che spesso suscitano in lui un interesse molto moderato.

*secondo la geniale definizione di Sary
**va da sé che nessun insegnante può ragionevolmente sottrarsi all'abominevole ma talvolta necessario rito dell'Autocoscienza Collettiva quando i conflitti tra alunni toccano il livello di guardia;  tra l'altro, va pur detto, talvolta tale rito sortisce effetti molto positivi. Talvolta. Ho scritto "talvolta".

sabato 22 settembre 2012

Io e la Geografia (autobiografico)


Non ho mai avuto il minimo senso dell'orientamento e viaggio come un pacco postale. Non mi è mai importato di sapere dove sono Vicenza o Timbuctù, basta lo sappiano il guidatore del treno o il pilota dell'aereo. Se mai dovessi andarci. Sul posizionamento dei vari luoghi nel mondo ho sempre coltivato una felice ignoranza - tuttora celebre il mio Nepal in Africa, che è solo una delle tante gemme in una scintillante caverna dei tesori. Sul posizionamento di molte città italiane sono tuttora assai incerta, e a dirla tutta questo non mi ha intralciato nella mia personale ricerca della felicità.

Alle medie Geografia mi annoiava oltre ogni dire. Lo studio delle regioni d'Italia mi annoiava perché lo trovavo provinciale, lo studio dell'Europa mi annoiava perché c'erano troppi fiumi, lo studio del mondo mi annoiava perché l'Africa aveva troppi paesi che si ostinavano ad essere poveri oltre ad essere noiosi di per sé. Un sussulto di interesse lo ebbi al momento di studiare il Canada, dove era ambientata una parte della saga di Angelica, e che era un paese rispettabile: molto freddo, con tanto ghiaccio e un sacco di risorse minerarie e di gente ricca. Gli statunitensi, che erano imperialisti e cattivi, già mi interessavano molto meno. Per giunta avevamo un libro con aspirazioni liriche: monti che si stagliavano imponenti, fiumi che lambivano sinuosi, colline che digradavano dolcemente, acque che scorrevano impetuose per poi precipitare di qua e di là. Eccheppalle, se volevo leggermi delle poesie potevo sempre aprire il libro di qualche poeta decente, il libro di geografia non avrebbe potuto limitarsi a fare il suo noioso mestiere senza infierire oltre?*
Poi un pomeriggio, in terza, venne un tale che ci fece una lezione sul Brasile con gran copia di diapositive. Niente Carnevale né samba né carioca (tutta roba che mi annoiava assai): ci parlò invece dell'autostrada nell'Amazzonia, che tanti guai avrebbe portato, della gestione dei latifondi, dello sfruttamento dei contadini brasiliani, delle favelas. Insomma, parlò di economia e di ambiente
E per molto tempo il Brasile rimase per me l'unico stato dell'America del Sud che avesse un senso.

All'università feci un esame di geografia, convinta che sarebbe stato uno strazio; ma avevo un buco libero nel piano di studi e non aveva senso tagliarmi volontariamente fuori dall'insegnamento (anche se non avevo la minima intenzione di insegnare). E comunque perfino Geografia mi interessava di più di Teoria e Tecnica delle Comunicazioni di Massa, che all'epoca era uno degli esami-toppa per completare i venti necessari per la laurea.
Mi assegnarono due libri molto interessanti sui paesi sottosviluppati e dei vari motivi per cui lo erano, e sui problemi demografici. Preparai l'esame assai volentieri, nonostante la soporifera parte sulle tavole topografiche (che mi annoiavano. E chi l'avrebbe mai detto?).

Quando cominciai ad insegnare scoprii che nel frattempo i libri di geografia si erano fatti molto più interessanti - i corsi d'acqua lambivano un po' meno ma venivano descritti con più criterio, ad esempio si spiegava come si formavano e che effetti avevano sull'ambiente e le popolazioni. Imparai l'importanza dei fiumi navigabili, scoprii la complessa questione delle maree, appresi un sacco di cose sull'erosione e le sue conseguenze e via dicendo. Un manuale dopo l'altro (per fortuna negli anni delle supplenze brevi ne trovai diversi molto validi) mi studiai coscienziosamente vulcani, terremoti, aree climatiche, desertificazione, biomi e biodiversità. Cominciai a seguire con attenzione i giornali quando parlavano di acqua potabile, gasdotti e scioglimento della calotta polare. Imparai che le carte geografiche raccontavano un sacco di cose. Scansavo ancora le regioni italiane come la peste ma scoprii che, con un po' di mestiere, ero diventata in grado di parlare perfino di quelle, se proprio ci dovevo far lezione - cosa che, se appena potevo, evitavo con gran cura; fortuna che le prime mi capitavano soprattutto a inizio anno, quando si faceva la parte introduttiva, oppure ci insegnavo italiano.
Avendo imparato con la pratica come si fa una lezione di geografia, con un occhio al manuale e usando molto materiale di riciclo, insegnai anche agli alunni come si prepara un'interrogazione di geografia studiando il meno possibile - e qualcuno si è anche impadronito di tale nobile arte. A sorpresa, nelle mie classi spesso i ragazzi preferiscono geografia a storia - anche e soprattutto quelle classi che per vari disguidi ne avevano fatta poca o niente in prima o in seconda ed erano state formate quasi completamente da me in cotal materia; e si sa che l'insegnamento elargisce sconfitte e vittorie con modalità imprevedibili, ma nemmeno nelle mie più stravaganti fantasie avrei mai pensato che un giorno qualcuno avrebbe potuto apprezzare le mie eventuali lezioni di Geografia.
Il colpo di grazia me lo diede la LIM, quando cominciai a selezionare le cartine tematiche e le immagini per fare lezione; e va detto che Geografia è senz'altro più spettacolare di storia, tra foto di uragani, carte tematiche sulle piogge o il posizionamento delle basi militari e immagini di strane forme di vegetazione o ancor più strani animaletti. Una bella immagine della barriera corallina e la classe si sciropperà semza colpo ferire Melanesia e Polinesia; un paio di strampalatissimi pesci degli abissi, e tutti ascolteranno l'excursus sulle fosse e i loro problemi di misurazione.

Nonostante le infinite lacune che continuo a portarmi dietro (perché Geografia è una materia praticamente infinita e ogni manuale la affronta con un taglio diverso) adesso mi ci muovo con una certa confidenza; perché è vero che tante cose ancora non le so, ma siccome Geografia è una materia praticamente onnipresente, su tutto sono in grado di dire qualcosa, magari riciclandolo da tutt'altre materie.
Geografia, ho scoperto con gli anni, è una delle poche materie di scuola dove puoi trovare sempre un aggancio con la vita di tutti i giorni: facile da attualizzare, perfetta per introdurre qualsiasi argomento, magnifica per riempire un quarto d'ora con qualche curiosità. E' un po' come quei portali dei romanzi di fantasy che introducono ai mondi paralleli: ci trovi tutto e il contrario di tutto.

Non chiedo quasi niente di ciò che mi annoia. Mi bastano pochi fiumi e il minimo indispensabile di catene montuose, per giunta con la carta squadernata davanti. E tutti i miei alunni, anche i più deboli, anche i più sfaticati, dopo qualche mese imparano a farmi un'interrogazione decente (...in certi casi programmata...) leggendo la carta e tirandoci su qualche collegamento, aiutandosi con quel che sanno fuori della scuola - perché Geografia è una materia dove tutti sappiamo un sacco di cose, e a volte basta saperle collegare per sbarcare un'interrogazione, come io ci sbarcavo le prime lezioni, anni fa (stante che come riuscissi a sbarcare le interrogazioni a scuola incassando ogni anno il mio regolare sette l'ho completamente dimenticato).

Dunque adesso amo Geografia, e addirittura amo le mie lezioni di geografia, frutto di paziente studio e ricerche e navigazioni in rete, e non capisco quei colleghi che scuotono la testa e sospirano che, loro, la geografia la odiano.
E davvero è un bene che adesso la ami, perchè quest'anno farò Geografia in tre classi tre: la Prima d'Ogni Grazia Adorna, la Seconda Effervescente, più un'altra Seconda dove farò gli stati europei nell'ora di Approfondimento. Europa a colazione, a pranzo e a cena, con il solo rischio di confondermi tra una classe e l'altra.
A fine anno dovei essere un'autorità in materia.

*per la cronaca: era il Nangeroni-Sacchi, e solo un insegnante di Lettere che odiasse la Geografia avrebbe potuto sceglierlo. Oppure un insegnante che odiasse NOI, ma non era quello il caso - e del resto gli altri libri di lettere erano molto validi.

mercoledì 19 settembre 2012

Taglio del Nastro 2012 - E non sembra niente male



La mia Prima, al momento, sembra una rosa senza grosse spine - una rosa piacevolmente  vivace, per giunta. Erano ormai sei anni che non incignavo una prima e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che la cosa mi diverte, forse perché questi non sono troppo bambini. Non si è ancora vista l'ombra di un genitore, e anche questa è una buona cosa. Sono vivaci, piuttosto curiosi e hanno fatto in lungo e in largo le regioni d'Italia, con mia grande gioia, così me le risparmierò. 
Per il momento ce ne stiamo a leggere fiabe (leggono piuttosto bene), a conversare del più e del meno e a preparare il lavoro per storia e geografia - un po' di riepilogo e di preliminari, cercando di capire cosa sanno. Sanno parecchie cose per essere una prima, mi è sembrato, e c'è perfino qualche speranza che il lavoro di italiano non si risolva in una stressante gimkana contro tonnellate di errori ortografici. Qualcuno è convinto di avere una scrittura orribile, ma onestamente ho visto di peggio (anche le maestre sembravano molto preoccupate per la loro scrittura). Qualcuno si è anche detto ammirato dalla mia pazienza e non aveva del tutto torto, ma era Sabato alla quinta ora, quando qualsiasi insegnante di prima media sa che di pazienza vi è assai d'uopo.

Ho anche una Seconda a tempo prolungato, cui faccio Storia e Geografia. E' una classe effervescente e molto ricca di interessi, di quelle che ti spolpano viva in mezz'ora e lasciano indietro solo qualche ossicino a biancheggiare al sole prima di accingersi a divorare l'insegnante dell'ora successiva. Diciamo che mostrano un vivace interesse alle materie letterarie, ecco.

In classe c'è una LIM, per quanto non collegata a Internet. Il fatto si presenta invero piuttosto misterioso: il collegamento arriva alla mia aula dell'anno scorso, dove la LIM è doverosamente in rete,  prosegue fino a metà corridoio e lì si blocca. Stiamo cercando di venire a capo della questione, ma finora il Comune si è limitato a blandirci con dolci parolette e non ha fatto un accidente per rimediare. 
Praticamente appena entrata gli ho promesso che avremmo fatto il possibile e l'impossibile per entrare in rete in tempi brevi, a costo di andare in comune con un bazooka.
Qualcuno ha suggerito che potevamo provare con le chiavette: una chiavetta costava nove euro al mese, loro erano più di venti e non sarebbe venuta una gran cifra.
"E poi vuoi mettere, rispetto a tutti quei soldi che spenderemmo per il bazooka" ha aggiunto un altro.
Credo che li amerò follemente, anche se mi lasceranno a biancheggiare al sole.

domenica 16 settembre 2012

Manuale del Perfetto Insegnante - Il Gran Mistero dei Libri di Inizio Anno



La scuola è indubbiamente luogo di Grandissimi Misteri, ma pochi di essi si possono paragonare, per grado di misteriosità, al Gran Mistero dei Libri di Inizio Anno.

E' noto infatti a chiunque lavori nella scuola che l'anno scolastico inizia a Settembre ma i libri vengono adottati nel Collegio Docenti di Aprile, cinque mesi prima. E' altresì noto a chiunque abbia a che fare con la scuola, avendo dei figli di cui deve curare l'istruzione, che già ai primi di Giugno è pronta per loro una lunga lista di costosissimi libri di cui è richiesto  l'acquisto entro l'inizio del successivo anno scolastico - ovvero tre mesi e qualche giorno dopo.

E' infine noto a chiunque conosca il viver del mondo che la stragrande maggioranza dei suddetti genitori, ritirata la lista, si dirige, con la lista in questione, in tempi assai brevi verso la libreria o cartoleria più vicina o più da loro apprezzata e provvede ad ordinare i libri in questione (le poche eccezioni, costituite da genitori che sopravvivono ai limiti estremi della società cosiddetta civile, non hanno rilevanza statistica, anche perché spesso ad occuparsi della questione libri al posto loro ci sono i servizi sociali che non di rado provvedono a contattare la scuola spiegando che non c'è una lira e chiedendo se è possibile raccattare i libri in qualche modo, grazie).
E' altresì noto a chiunque lavori in una scuola che le adozioni dei libri sono attualmente vincolate per un certo numero di anni e dunque qualsiasi editore è in grado di predire con un buon margine di approssimazione e con un certo anticipo le richieste librarie cui dovrà far fronte entro l'inizio dell'anno scolastico venturo.
E' infine noto a chiunque che, al giorno d'oggi, gli ordini delle merci non viaggiano più a dorso di cammello, su barche a vela o su carretti trainati da pazienti ma non velocissimi asinelli; al contrario, grazie ai moderni mezzi di comunicazione, tra produttori, intermediari e distributori di qualsivoglia prodotto industriale è in atto ormai da tempo una rete di collegamenti che permette di seguire in tempo reale sia la produzione che la distribuzione del qualsivoglia prodotto industriale di cui sopra, permettendo con ciò di adattare sul momento l'offerta alla domanda ed evitando in tal modo lamentevoli sprechi o deplorevoli carenze del prodotto in questione.
A ciò va aggiunto il non trascurabile dettaglio che, salvo pochissime eccezioni, anche quelle non di rilevanza statistica, l'acquisto dei libri scolastici avviene in un solo periodo dell'anno, ovvero all'inizio delle lezioni.
E' infine noto a qualsivoglia insegnante che, al momento dell'inizio dell'anno scolastico, una buona metà degli alunni non dispone dei libri scolastici per l'anno in corso, e almeno un quarto di costoro non ne disporrà per circa un mese.

Come ciò possa avvenire è un Grande Mistero per il quale da sempre sono state proposte varie spiegazioni.

La prima è che gli editori di libri scolastici siano curiosamente indifferenti alle loro vendite, evitando di stampare un numero adeguato di copie. Il che non ha senso, perché non si capisce per quale motivo un editore dovrebbe rinunciare volontariamente ad un celere incasso.
La seconda è che il sistema di distribuzione sia inefficiente - il che ha ancor meno senso: perché si dovrebbe trascurare la distribuzione in un settore così sicuro e redditizio come quello dell'editoria scolastica?
La terza è che alcuni dei venditori al dettaglio siano trascurati, rimandando per lungo tempo la comunicazione dell'entità e quantità dei libri loro richiesti - e anche questo appare molto strano, specie in tempi di crisi economica (e ogni venditore al dettaglio di qualsiasi categoria da gran tempo assicura che siamo in piena crisi economica); perché mai dovrebbero posticipare l'ingresso di un'entrata sicura e anche piuttosto consistente nelle loro casse ormai perennemente vuote e invase solo da fitti festoni di ragnatele?
La quarta è che tale trascuraggine vada estesa uniformemente ai tre rami coinvolti, ovvero produzione, distribuzione e vendita al dettaglio - ma con questa spiegazione l'assurdità risulta moltiplicata per sé stessa per ben tre volte - elemento, quest'ultimo, che porta in effetti a considerare che si tratti della spiegazione con più alto tasso di veridicità.

Ad ogni modo, il risultato di tutto questo si traduce in un notevole incomodo per insegnanti e alunni che, nelle prime settimane dell'anno scolastico, devono arrangiarsi variamente usando un mix di fotocopie e schemi-da-copiare-alla-lavagna, con una congrua serie di difficoltà aggiuntive legate ai compiti da svolgere a casa.


Cosa può fare davanti a questo assai irritante intralcio il Perfetto Insegnante, oltre a lanciare cospicue maledizioni in lungo e in largo?

Il Perfetto Insegnante ha a disposizione soltanto due possibilità. La prima è lamentarsi cospicuamente con gli editori; tuttavia tale tecnica, per quanto coscienziosamente applicata, porta ad esiti talmente minimali che la gran parte degli insegnanti la trascura completamente - e tuttavia varrebbe forse la pena di tentare di batterla con qualche continuità, rivolgendosi direttamente agli editori e non coinvolgendo i rappresentanti che, a buon diritto, si sfileranno dalla questione limitandosi a dire che loro non c'entrano (il che è la pura verità).
La seconda soluzione è riflettere con perspicua cura se i libri acquistati sono davvero indispensabili e se non esiste un modo di evitarne o limitarne l'uso. Qualora la scuola disponesse di un adeguato grado di sussidi didattici, un po' di applicazione permetterebbe di scoprire interessanti alternative almeno per alcuni campi di applicazione. Sempre in questo ambito, è possibile tentare di provvedersi usando libri in precedenza usati da altri alunni e da loro gentilmente lasciati alla scuola. Tutto ciò presenta molte difficoltà tecniche ma è possibile che, applicando una certa larghezza di vedute e consigliandosi con colleghi e amici, alcune di queste difficoltà si rivelino sormontabili e aggirabili, magari con l'aiuto di una fotocopiatrice che lavori di buona lena.

Potrebbe infatti essere che, incoraggiate da una cospicua dieta dimagrante, le capacità gestionali e organizzative di editori e distributori subiscano un netto miglioramento e l'arrivo dei libri scolastici gradatamente migliori, così com'è possibile che un giorno il lupo e l'agnello giacciano fianco a fianco e l'agnello possa, in  tali circostanze, concedersi il piacere di una serena dormita.

venerdì 14 settembre 2012

Suzanne Collins - La trilogia di Hunger Games


I tre romanzi che compongono la trilogia sono Hunger Games, La ragazza di fuoco e Il canto della rivolta. Sono usciti negli USA tra il 2008 e il 2010 e ne sono stati tratti dei film - il primo già uscito, gli altri due in fase di lavorazione. Rientrano nel filone della letteratura per Giovani Adulti, genere fantascienza. Sono ambientati in un qualche genere di futuro, nel territorio attualmente degli Stati Uniti.

Ci sono tredici distretti, e il primo vive principalmente alle spalle degli altri dodici; il grado di sfruttamento aumenta in base al numero assegnato al distretto. C'è stata una rivolta, in tempi andati. Capital City ha vinto e da allora, perché i distretti ribelli non dimentichino, ogni anno avviene la Mietitura: ogni distretto sorteggia un ragazzo e una ragazza, tra i dodici e i diciotto anni. I ventiquattro ragazzi così sorteggiati partecipano agli Hunger Games, un reality ripreso minuto per minuto e le cui scene salienti vengono trasmesse agli spettatori. Nei distretti dei sorteggiati guardare le trasmissioni del reality è obbligatorio, anche per i bambini.

Nel reality i ventiquattro ragazzi, dopo un breve addestramento e una serie di sbrilluccicose parate e interviste televisive, vengono sbattuti nell'Arena, che cambia ogni anno, dotati di qualche sussidio e lasciati ad ammazzarsi tra loro. L'ultimo sopravvissuto vince gli Hunger Games e vivrà di rendita tutta la vita (ma i suoi eventuali figli non saranno esclusi dal sorteggio) e per un anno il suo distretto avrà forniture extra di cibo, I distretti più poveri vincono molto raramente, mentre nei distretti con i numeri più bassi i ragazzi ambiscono a partecipare al gioco, interessati soprattutto alla gloria che deriva dalla vittoria più che al cibo extra.

L'equilibrio politico è molto fragile perché il sistema è troppo sbilanciato. Così il fatto che nel primo volume la protagonista riesca, con una serie mosse che aiutano una piccola dose di fortuna, a forzare i direttori del gioco a lasciar sopravvivere anche il suo compagno di distretto, con cui ha avviato una liason a vantaggio delle telecamere, finisce per innescare un fenomeno di rivolta che si diffonde tra i vari distretti come una fiammata. Alla fine della trilogia il Vecchio Sistema viene rovesciato, anche se a prezzo di molte distruzioni e molti morti. Non c'è un finale lietissimo, ma insomma i due innamorati (che nel frattempo sono diventati tali anche lontano dalle telecamere) si sposano e avranno dei figli, che cresceranno in un mondo meno ingiusto anche se piuttosto spartano e un tantino malconcio.


Il tema più appariscente è quello del reality: dover vivere una competizione mortale sotto l'occhio delle telecamere, con l'imperativo di commuovere gli spettatori quanto basta per avere aiuti dall'esterno, ma senza dare l'aria di cercare di farlo, puntare su una storia d'amore che in realtà non esiste (ancora) senza poterne mai parlare in privato con la controparte, sperando di capirsi abbastanza lo stesso per agire nel modo più opportuno. Qualsiasi spettatore non solo di reality, ma di televisione in generale, ha molta familiarità con la questione, e le giovani generazioni in modo particolare.

In questa situazione la storia d'amore ha delle notevoli difficoltà a partire, anche per circostanze esterne non strettamente collegate al reality (ma spesso legate alla situazione politica): ad esempio il carattere molto spinoso della protagonista, carattere che si è formato anche in conseguenza di una serie di ingiustizie da lei subite in quanto orfana e povera; inoltre si forma una specie di triangolo all'acqua di rose, simile a quello della serie di Twilight, quasi altrettanto esasperante per il lettore e non sempre gestito benissimo dall'autrice.
Il vero tema portante però mi è sembrato proprio quello del dislivello economico tra i distretti e dello sfruttamento di un piccolo numero di privilegiati ricchi e viziati su una massa di persone povere e private dei loro diritti - che è una questione particolarmente degna di riflessione nel mondo occidentale.

Nel complesso l'ho trovato un esperimento interessante. La lettura scorre bene, o più esattamente una volta iniziati i libri non si riesce a smettere, soprattutto nel secondo volume. Io, almeno, ci ho fatto un paio di notti molto lunghe, con conseguenti risvegli assai traumatici.

Da acquistare senza rimpianti per i figli che lo chiedono. 

Con questo post partecipo a I venerdì del libro di Homemademamma.

lunedì 10 settembre 2012

Incontro Maestre-Professori, ovvero il Congresso delle Anatre

Invero una nobile razza di animali, le anatre. 
Ma nessuno potrà negare che starnazzino.
E di solito lo fanno tutte assieme.


L'incontro con le maestre a inizio anno non è un frutto della recente verticalizzazione, bensì fa parte degli usi e costumi di St. Mary Mead dalla notte dei tempi come minimo.
Funziona così: a Giugno arrivano le maestre dalle elementari e incontrano i professori incaricati di formare le prime medie. Ai primi di Settembre invece incontrano i professori che insegneranno nelle future prime medie. E tutto ciò è molto utile.
Perciò stamani svariate maestre hanno incontrato svariati professori, nella luminosa Sala Professori di St, Mary Mead, e uno per uno hanno descritto i nostri futuri alunni
E' noto che la categoria professionale dei maestri non si è mai distinta per soverchia laconicità, ed è altrettanto noto che in questo i professori tengono loro validamente testa, e dunque l'incontro non è stato dei più brevi. Inoltre sia i maestri che i professori sono, a quel che sembra, del tutto incapaci di stare zitti anche mentre qualcun altro parla e insomma pareva di stare in una classe, e non delle più tranquille.
Il problema non erano le maestre che parlavano l'una sull'altra interrompendosi a vicenda (non lo facevano se non molto occasionalmente) bensì le maestre che chiacchieravano del più e del meno con i professori e che si esortavano a vicenda a fare silenzio per permettere agli altri di sentire.

Nello specifico poi, i maestri di St. Mary Mead si distinguono per una forte tendenza a "lasciar capire senza dire". Come dappertutto, anche a St. Mary Mead ci sono ragazzi con situazioni piuttosto delicate - in effetti ci incontriamo con le maestre soprattutto per conoscerle in anticipo ed evitare le gaffe più appariscenti almeno nei primi giorni di scuola; e d'altra parte non è del tutto indispensabile girare intorno ai pettegolezzi più croccanti per poi servirli in tavola, un bocconcino per volta, in mezzo a un grande squittìo scandalizzato. Non è necessario, ma a St. Mary Mead usa così e certe notizie vanno tirate fuori col forcipe.
Dopo un'ora e passa di questa manfrina ero sull'orlo dell'idrofobia. Non so come hanno retto le colleghe che avevano più prime e di conseguenza hanno dovuto sciropparsi tutto l'incontro, per poi sentirsi pure rimproverare che non avevano fatto bene le classi.

Il nostro è un lavoro che richiede molta, molta pazienza. Non solo con i ragazzi.

sabato 8 settembre 2012

8 Settembre: l'Italia nel suo labirinto


Per molti di noi oggi è il 46° anniversario di Star Trek, splendida serie di telefilm di fantascienza. Per l'Italia però è anche il 69° anniversario di uno degli snodi più importanti della nostra storia, quando l'allora sovrano Vittorio Emanuele III riuscì a cacciare tutti i suoi sudditi, nessuno escluso, nei pasticci, avendo comunque cura di mettersi al riparo e parendogli anche di non essercisi messo abbastanza.
Qualcuno sostiene che lo stato italiano è morto l'8 Settembre 1943, altri che proprio in quel giorno è nato. Nessuna delle due tesi mi convince più di tanto: secondo me l'8 Settembre è una delle tante tappe della nostra italica storia, anzi forse la più caratteristica delle date della storia italiana. Quale altro stato poteva infatti disporre di una classe dirigente capace di ficcarlo in un pasticcio simile? Quale altro paese poteva vantare un re capace di trasformare una guerra persa in un casino di quella portata?
La notte tra il 7 e l'8 Settembre gli italiani andarono a dormire (piuttosto di malumore) alleati con i tedeschi, si svegliarono la mattina dell'8 alleati con gli Alleati, in un paese letteralmente invaso dai loro nemici (che ancora la sera prima non erano nemici ma alleati) e senza vedere in giro l'ombra dei loro alleati. In compenso mancava qualcosa: il re. Il sovrano d'Italia stava scappando.
Molti paesi sono stati invasi, nella storia dell'umanità, e molti hanno cambiato alleanze da un giorno all'altro, e molti governi sono stati rovesciati; ma quanti paesi si sono ritrovati invasi da nemici che non erano entrati da nemici bensì da alleati, mentre i nuovi alleati stavano altrove ?

Ogni singolo italiano si ritrovò con una scelta da fare, anche se in certi casi all'inizio si trattò di una scelta solo formale. Non ebbero molta scelta, ad esempio, i soldati che si ritrovarono prigionieri dei tedeschi e deportati prima ancora di aver capito cosa stava succedendo - ma poterono scegliere in seguito se arruolarsi con i tedeschi e continuare con loro la guerra, o morire di stenti nei vari campi di deportazione. Anche i ragazzi arruolati a forza nella Repubblica di Salò non ebbero in partenza molta scelta, ma poterono in seguito cercare di scappare (e molti ci riuscirono). In quella situazione però le singole scelte rischiavano (rischiavano?!?) di ricadere anche sulle rispettive famiglie, spesso in modo molto pesante. Qualcuno scelse con più libertà, qualcuno cercò di scegliere tra ciò che era giusto e ciò che era conveniente; per molti, soprattutto militari e ragazzini cresciuti a pane e propaganda eroica, c'era il serio problema di salvare l'onore della patria - impresa, a quel punto, singolarmente difficile.
Gli ex-alleati tedeschi ci guardavano con comprensibile diffidenza, i nuovi alleati pure. Inoltre non eravamo più un paese autonomo, e la scelta che restava era tra aiutare gli invasori già presenti sul nostro territorio oppure lavorare per aiutare altri invasori a invaderci meglio - in un modo o nell'altro c'era da collaborare con gli invasori, che non è poi questa gran prospettiva anche quando il tuo grado di fanatismo patriottico è a livelli minimali. Per l'appunto le giovani generazioni erano state cresciute a pane e fanatismo patriottico, e questo complicò ulteriormente le cose.

In questa demenziale situazione, l'italico genio riuscì a sfruttare una serie di opportunità favorevoli. Fino all'8 Settembre in Italia non c'era una vera resistenza, perché non eravamo un paese invaso; ma profittando di una situazione decisamente confusa, alcuni gruppi di ragazzi inventarono la resistenza armata - che non fu un pranzo di gala, certamente; ma parò il culo all'intero paese, al momento di stilare i trattati di pace (Giappone e Germania furono trattati con assai minor cortesia): gli Alleati ci occuparono in modo più soft e ci lasciarono più liberi - e ci diedero anche molti più soldi, perché al momento di votare risultò che avevamo un partito comunista numericamente molto importante, ed eravamo geograficamente collocati ad un passo dal Pericolo Rosso.


Inoltre, cosa assai importante, al referendum gli italiani scelsero di togliersi dai piedi i Savoia. Non a maggioranza schiacciante, come avrebbero dovuto, ed è probabile che il nuovo re Umberto si sarebbe comportato meglio di suo padre (che facesse peggio, del resto, era umanamente impossibile); ma insomma in quel momento levarsi dai piedi i Savoia era oggettivamente il meglio che si potesse fare.

l'8 Settembre è una data su cui i manuali di storia delle medie tendono a sorvolare, preoccupatissimi di ricordare che ci furono i buoni e i cattivi, le scelte giuste e le scelte sbagliate. A me pare invece che andrebbe esaminata con cura la situazione del momento, che era disperatamente confusa e piena di tagliole ad ogni dove, ricordando e spiegando bene che tutti noi cittadini di un'Italia democratica e repubblicana, siamo figli di uno dei più insoliti crocevia che la storia ricordi, che in quella confusione le scelte erano oggettivamente difficili da fare e che, se ogni tanto ci accorgiamo che l'Italia non sempre negli ultimi 69 anni ha goduto di grande prestigio internazionale, ciò è dovuto anche al fatto che nella nostra classe dirigente troppo spesso non ha prevalso il senso dello Stato e delle Istituzioni. Sotto questo aspetto, siamo un paese abbastanza anomalo in Europa (e non solo in Europa, se solo ricordiamo come si comportò l'imperatore del Giappone, che infatti rimase sul trono senza perdere il rispetto e la devozione dei suoi sudditi).
Insomma, una data su cui riflettere e un momento da esaminare con molta attenzione, magari con qualche laboratorio dedicato. D'accordo, non è uno dei nostri momenti gloriosi; tuttavia, ognuno è figlio anche dei suoi errori e degli errori dei suoi padri e madri e zii. Perché rimuoverli?


giovedì 6 settembre 2012

Riunione per materie (oh Gesù d'amore acceso)



Quando eravamo una Grande Scuola le riunioni per materie si volgevano alla Grande Sede, ma divise per plesso. Ne venivano fuori delle cose piuttosto tranquille ma concrete.
Ora che ci siamo verticalizzati le facciamo con i colleghi di Crifosso, di cui va senz'altto detto che non soffrono di complessi di inferiorità. E buon per loro.

Ci riuniamo intorno al tavolo. Dunque, primo argomento... c'era un argomento di cui parlare?
Non risulta. Forse la verticalizzazione. E' importante verticalizzarci, e andrebbe fatta una commissione per il curricolo verticale, con le insegnanti delle elementari. Tutti ne conveniamo. Si ricama a punto croce e sopraggitto sul concetto di verticalizzazione (a quanto pare il corso di ieri ha lasciato forti tracce in qualcuno), poi sul concetto di programmazione e sul fatto che le elementari non son più quelle dei nostri tempi.
Gli argomenti trattati successivamente sono: l'importanza del curricolo verticale, l'importanza della continuità, il fatto che la riforma dei bienni non è mai stata abolita e non si potrebbe bocciare all'interno dei bienni*; l''importanza della storia antica, il concetto di democrazia, l'importanza del latino alle scuole medie,  l'importanza dello studio delle regioni d'Italia, di come l'orario di Crifosso sia bello e ben organizzato e di come siano ganzi, bravi e ricchi di inventiva a Crifosso. 
Per la prima ora ascolto in silenzio cercando di capire di cosa stiamo parlando, poi mi calo in un mondo tutto mio e organizzo il menu del prossimo invito (mi piacerebbe fare una focaccia con le verdure per antipasto).

Le altre materie staccano alle undici dopo aver programmato il mondo, riorganizzato i laboratori e preparato la lista dei desiderata. Noi firmiamo verso mezzogiorno e non ho la minima idea di cosa sia stato concluso in questa riunione (a parte l'oggettiva constatazione che a Crifosso sono molto ganzi e ben organizzati - ma si sapeva anche prima).

Torno a casa meditando che gli insegnanti di Lettere andrebbero strozzati in culla. 
Io per prima, si capisce.

*vero, non è stata mai abolita. Anche perché non è mai passata.

martedì 4 settembre 2012

Verticale e orizzontale


Il Nuovissimo Istituto Comprensivo di St. Mary Mead è appena nato, e in questi giorni emette i primi vagiti; ci siamo verticalizzati, come pare che la legge imponga, e la cosa, per quanto a lungo attesa, non mi convince più di tanto perché secondo me le medie sono un mondo a parte e a parte dovrebbero restare. Comunque adesso abbiamo meno plessi, meno chilometri tra noi e la sede centrale e soprattutto la Segretaria Ansiosa e Rompiballe è rimasta nel capoluogo principale, con grande sollievo della collettività.
La verticalizzazione naturalmente ha i suoi pro e i suoi contro. I pro spero che prima o poi qualcuno si ricordi di elencarmeli, perché al momento non ne vedo nemmeno uno; tra i contro indicherei senz'altro il corso sulla verticalizzazione, ove tutti noi stramazziamo orizzontalmente, visto che si tratta di una delle cose più soporifere che mai ci sia capitato di affrontare - in effetti, nei due terzi cui ho assistito lo scorso Giugno scorso, mi è parso talmente inutile e improduttivo da far arrossire nel confronto perfino l'Area Trasversale della SSIS di Firenze: ci chiudono in una stanza, seduti, poi arriva qualcuno che parla per quattr'ore senza dire niente e alla fine non ci danno nemmeno i trenta punti né ci sono borse di studio. Sinceramente, ci vedo gli estremi per una denuncia per mobbing.

La lezione di domani sarà comprensiva di laboratorio, e dovevamo dividerci tra cinque allettanti proposte non una delle quali mi ispirava minimamente. Così ho scelto quella di "attività comune nei tre ordini di scuole", dove si era segnato il mio gruppo di colleghi preferito (ho aspettato di segnarmi alla fine appunto per vedere dove andavano gli altri) onde avere qualcuno con cui chiacchierare. Al momento mi sento troppo assonnata e orizzontale per domandarmi seriamente quali attività possano essere comuni a materne, elementari e medie - entrare e uscire dalla scuola, forse, e fare colazione.


Veniamo ai lati positivi: nessuno ha nemmeno lontanamente accennato a registri elettronici o nuovi curricoli, né ad unità didattiche o di apprendimento, mono o multidisciplinari che siano.

Mobbing sì, ma con criterio.