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lunedì 30 aprile 2012

La nebbia ai dolci colli / non sempre se ne sale


Tipico paesaggio collinare intorno a Hogsmeade e a St. Mary Mead

In questi due anni ho avuto la LIM in classe e l'ho trovata utilissima. Tuttavia entrambi gli anni ho dovuto combattere col problema delle tende.
Si parte da una contraddizione di base: le le aule scolastiche moderne sono costruite in modo da garantire l’accesso della massima quantità di luce solare possibile per limitare il ricorso alla luce artificiale, che oltre ad avere un suo costo stanca gli occhi. Per lo stesso  motivo le tende a scuola sono in tessuti leggeri e chiari. Viceversa la LIM, che è prima di tutto un grande schermo, richiederebbe almeno un po’ di penombra per permettere una visione chiara delle immagini e delle scritte. Sarebbe quindi opportuno, per le aule dotate di LIM, disporre di un ulteriore tendaggio scuro che permetta all’aula un momentaneo oscuramento. 
A Hogsmeade le tende erano di un delicato celeste pastello, di un tessuto assai fragile che si andava sbriciolando già dopo il primo anno di vita. Provai a chiedere un qualche tipo di drappeggio scuro che parasse la luce ma la Preside non sembrò mai realizzare l'effettiva entità del problema, anche se giurava di avere chiesto tende al Comune.
D'altra parte era anche la stessa Preside che teneva il proiettore in una grande aula completamente a vetri e raccontava che c'era un grandioso (e, immagino, costosissimo)  progetto per dotare l'aula in questione di pareti a vetro fumé, con il risultato che in tutta la scuola media di Hogsmeade non c'era una stanza dove farsi una proiezione decente. Insistei fino all'esasperazione (sua) spiegando che era assurdo tenere un oggetto costoso come la LIM se poi non c'erano le premesse per utilizzarlo ma non addivenni ad alcunché. Non era nemmeno possibile arrangiarsi con una colletta per le tende nuove perché le tende in un'aula devono rispondere a requisiti speciali e sono piuttosto costose, inoltre spettavano al Comune - che, come tutti i Comuni in questi anni, non aveva soverchia copia di fondi a disposizione e, fornendoci in abbondanza di carta da fotocopie e carta igienica, faceva già del suo meglio.
Per fortuna fu un anno molto, molto piovoso: spesso il tempo era grigio e nelle prime ore della mattinata ci assisteva quasi sempre una benefica nebbia che creava condizioni piuttosto adeguate: in sostanza il problema si limitò a una manciata di ultime ore di Giovedì quando facevo geografia e il sole batteva dalla nostra parte.

A St. Mary Mead ci sono delle orribili tende a pannello di una tela pesante e bianca, arrotolabili. Le tende arrotolabili sono da sempre una fissazione di St. Mary Mead, che però si ostina a sceglierle di un tipo che si arrotola male, si incastra volentieri e spesso finisce per rompersi, il tutto anche senza calcolare Cristaccecami che cercava di tirarle giù attaccandocisi (riportando talvolta anche un parziale successo). Inoltre l'aula della mia classe si distingueva per una posizione assai favorevole, da dove il sole poteva baciarla appassionatamente sin dal primo istante di lezione. Verso la fine della mattinata il sole girava e le cose miglioravano, ma per l'appunto io avevo quasi soltanto prime ore.
La Nostra Preside mi assicurò che le tende erano state richieste, con lo stesso esatto tono con cui me l'aveva garantito la Preside di Hogsmeade. Piuttosto sconfortata salii nella Stanza dei Fantasmi, uno stanzone al terzo piano ricolmo di relitti del passato, in cerca di una qualche ispirazione: perché le nostre finestre erano talmente grandi e luminose da farmi dubitare che perfino la tradizionale nebbia di St. Mary Mead bastasse ad assisterci. 
E quasi subito trovai, non dico la soluzione, ma una miserabile toppa per sbarcare quelle prime settimane di piena estate: il Catafalco.
Costui era un grande e lungo pannello di tela nera, probabile ricordo di una scenografia degli anni passati, montato su legno leggero e dall'aspetto assai lugubre. Gli efficienti custodi provvidero prontamente a portarlo in aula dove tre scolari di buona volontà fecero numerosi tentativi e alla fine scoprirono che, sistemandolo in una data e precaria posizione dove rischiava continuamente di cascare in testa a chi stava nei banchi accanto alle finestre sì, effettivamente oscurava una buona parte della luce. Altra cosa che risultò subito chiara era che, in presenza di Cristaccecami, il pannello andava gestito con grande cautela.
Si inaugurò così una scomoda routine in cui il Catafalco era conservato in Segreteria (che di solito era chiusa a chiave, onde salvare la fotocopiatrice dalle incursioni di Cristaccecami) e portato in classe quando serviva. Non era un oggetto maneggevole né di scarso ingombro, non era facile da collocare nella posizione giusta ma a modo suo funzionava, e frasi come  “Prof, andiamo a prendere il catafalco?” e “Prof, possiamo riportare a posto il catafalco?” sono entrate nel nostro linguaggio comune. Non solo, anche il Catafalco è entrato nell'uso comune della scuola e più volte lo si è visto muoversi da una classe all'altra per consentire la visione di video o film.
E "meno male che il Catafalco c'è" dovremmo cantare tutti in coro perché quest'anno, a causa di una curiosa combinazione metereologica, St. Mary Mead si è ritrovata quasi completamente sguarnita dalla sua celebre e onnipresente nebbia, e uno scintillante sole ha infelicitato quasi ogni giorno delle nostre attività didattiche. Le poche comparsate della nebbia, ho notato, riguardavano soprattutto momenti in cui non vi era alcuna necessità di usare la LIM e anzi erano state programmate attività in cui la LIM era del tutto inutile.

domenica 22 aprile 2012

Quel che gli scolari non dicono

E' noto che alcune divinità hanno più di una faccia. E anche alcuni scolari.

Venerdì alla prima ora ero di supplenza in una prima quasi sconosciuta, dov'ero stata solo un'altra volta, a inizio anno, per un'altra supplenza; quel giorno gli avevo risentito un po' di verbi, mentre Venerdì la prof. Palmina, che sostituivo perché era in gita con le Terze, mi aveva chiesto di spiegare loro la Sardegna.
Entro, saluto, mi metto a sedere. Uno dei ragazzi di prima fila fa vedere che ha i pantaloni bagnati fino al ginocchio "perché Acquacheta mi ha schizzato". Gli altri intorno a lui mi confermano che è vero, è stato Acquacheta. Suggerisco al giovinetto inzuppato di chiamare a casa, se c'è qualcuno, per farsi portare un cambio asciutto, perché stare così zuppo non mi par cosa; e il giovinetto va a telefonare.
Poi mi informo sul come mai il giovinetto in questione è stato inzuppato. Non c'è un motivo, mi assicurano. Acquacheta fa così. Fa anche altre cose, spiegano: picchia, insulta, bestemmia in modo esasperante. A scuola, all'entrata della scuola, sul pulmino della scuola e anche altrove, ad esempio a calcio. Lo fa da sempre, dai tempi delle elementari; scocciava abbastanza anche all'asilo, ma meno. Lo fa senza un particolare motivo: non con qualcuno in particolare, non per ottenere elargizioni forzate di soldi o merende o altro. Lo fa e basta.
Non ci sono incertezze né contraddizioni nelle accuse. Non c'è traccia di omertà. Non c'è nemmeno livore, solo una certa (comprensibile) esasperazione. I ragazzi inanellano una sequela di capi d'accusa invero notevole. Piglio qualche appunto, poi, presa dal dubbio di star facendo una cosa inutile chiedo: "Naturalmente di tutto questo avete già parlato con i vostri professori, vero?".
Mi assicurano che no, mai.
Trasecolo. "Scusate, io conosco poco la prof. Palmina, ma mi è sembrata una persona molto disponibile e interessata ai suoi allievi".
Tutti confermano, e mi fanno vedere prove di tal disponibilità e interesse - ad esempio un bel cartellone fatto in classe dove per ognuno erano state elencate dai compagni le qualità positive. Poi mi raccontano aneddoti vari dove la prof. Palmina si è prodigata in vario modo per loro.
"E allora" chiedo "Come mai di questa cosa non avete parlato con lei, invece che con me che vedete per la seconda volta dall'inizio dell'anno?".
Perché io, mi spiegano serenamente, insegno nella classe di Acquacheta (un'ora alla settimana, per il malefico Approfondimento). Quindi, siccome è un mio alunno, posso fare qualcosa.


Resto vieppiù sconcertata. La classe intera ha taciuto per più di sei mesi non per omertà, non per una malintesa solidarietà verso Acquacheta, non per paura, ma semplicemente perché convinti che solo un'insegnante di Acquacheta avesse la possibilità di intervenire - e loro, insegnanti di Acquacheta in classe non ne vedevano mai, finché per caso non sono arrivata io. E sembrano in sincerissima buonafede.


Due ore dopo raggiungo gli insegnanti della classe di Acquacheta e scodello il tutto, compresi i nomi di chi ha reclamato - nomi elargiti senza esitazioni né precauzioni né remore. E le insegnanti ascoltano e sgranano gli occhioni perché mai nessuno in classe si è minimamente lamentato di Acquacheta. Anzi, è sempre parso loro un ragazzo un po' troppo controllato, quasi compresso, con genitori iperformalisti. E' vero, ammetto, Acquacheta ha proprio l'aria di un ragazzo un po' compresso da una famiglia iperformalista. Un po' ansioso, anche.
Li lascio a gestire la patata bollente come meglio credono e torno nella classe di Cristaccecami (dove, nonostante le squadre e le forbici che volano alla luce del sole e senza infingimenti, i conflitti nascosti non mancano di certo); e una volta di più invidio quelle candide creature che con tanta convinzione discettano su come son fatti i ragazzi e come funzionano, e che con tanta precisione descrivono i loro processi mentali. 
E' così riposante, avere delle certezze. Non so se sia sempre utile, ma riposante lo è di sicuro. Almeno credo, perché io di certezze ne ho ben poche.

domenica 15 aprile 2012

Haeretica - Alcune pacate considerazioni sull'inopportunità di uno studio approfondito del latino alle scuole medie


Il mio atteggiamento verso il latino non è dei più amichevoli

Persino io stessa medesima, quando provo a ragionare sulla questione, sono costretta ad ammettere che il mio atteggiamento verso il latino ha qualcosa di patologico, tanto più che in latino mi sono pure laureata. D'accordo, il latino medievale è un po' un mondo a sé, comunque Livio e Virgilio mi piacciono molto, ho la mia brava mensola di autori latini (molti con testo a fronte) e ogni tanto li rileggo (con un occhio all'originale) e qualche citazione in latino la faccio pure io (di solito in cuor mio). Però, sia chiaro, col latino ho un pessimo rapporto.

Quando andavo alle medie latino era ancora obbligatorio in seconda, facoltativo in terza. Quindi in seconda media me lo trovai davanti come materia curricolare. 
Fu odio a prima vista. Il problema, lo capii solo col tempo, non era tanto il latino quanto le grammatiche latine. Anzi, il contesto generale delle grammatiche latine.
Il mio istinto di contraddizione scattò subito al primo paragrafo "A cosa serve il latino".
"A una sega" fu la risposta che mi diedi in cuor mio. Né alcuna delle motivazioni addotte dal Manna (manualista all'epoca in gran voga per il latino) servì ad addolcirmi. Non ricordo cosa diceva, ma nulla che avesse un senso ai miei occhi. Provarono a spiegarmi (ci provano ancora, ogni tanto) che il latino apriva la mente, ma a me non sembrava che la mia fosse particolarmente chiusa. Cercarono di adescarmi con la promessa di migliorare il mio grado di comprensione dell'italiano, peccato però che l'italiano lo comprendessi già benissimo; anche quello arcaico, anche quello medievale.
E poi c'era la grandezza della civiltà latina; ma io ero una perfetta figlia degli anni 70 e per me i latini erano una manica di imperialisti guerrafondai e pure assai maschilisti, e l'idea della grandezza della passata gloria imperiale mi faceva venire l'orticaria.
C'erano le frasi, poi: fanciulle che giocavano a palla, ancelle assai soddisfatte di un braccialetto d'argento, discepoli assidui, alfieri strenui, Annibale e i suoi elefanti. E le favole di Fedro - ah, quell'abominevole concentrato di banalità, buon senso spicciolo e moralismo d'accatto. Le favole di Fedro mi davano addirittura il voltastomaco.
L'avversione per quello strano mondo era tale che davanti al latino feci muro, semplicemente. Ci vollero anni e anni per rimediare quel primo, disastroso avvio; ci vollero eccellenti insegnanti e i più bei versi di Virgilio e Lucrezio prima che sopportassi di avere a che fare con quella robaccia e mi adattassi a cercare di tradurla.
Il mio profitto a italiano calò drasticamente: in prima media avevo uno sfolgorante nove, unico di tutta la scuola, in seconda un miserabile sette, dato che il latino faceva media con italiano. In terza mi arrangiai meglio - perché nel frattempo i miei genitori, in un attacco di singolare idiozia, decisero di farmelo fare anche se era facoltativo perché volevano mandarmi - e mi mandarono - al liceo classico. Dove ovviamente fu pianto e stridor di denti perché continuavo ad avere l'allergia alla cultura classica e nemmeno la meravigliosa prof. De Divinis, con tutta la sua cultura, il suo senso assai classico della misura e le sue idee antimperialiste riuscì completamente ad aggirare le mie difese (e non so immaginare che disastro totale sarebbe stato se avessi incontrato una di quelle pazze scatenate che circolano tuttora in libertà ad insegnare al Ginnasio, seriamente convinte che il latino apra la mente, dia un metodo e trasmetta sani valori morali).

E fin qui è storia personale. Qualche anno dopo qualche anima accorta decise che il latino non era propriamente indispensabile alla formazione di base nella scuola dell'obbligo - e pazienza se per colpa della sua mancanza ai virgulti non si sarebbe aperta la mente ancora per chissà quanti anni.
Così approdai alle medie per insegnare, fiduciosa e ragionevolmente convinta che di latino, lì, non si sarebbe più parlato.
E invece, scoprii, il latino c'era ancora. Ancora con gli alfieri strenui, le fanciulle che si grattavano le palle, le ancelle operose e, naturalmente, con Annibale e i suoi elefanti, questi ultimi sempre in gran numero.
In effetti le frasi erano le stesse, scoprii con orrore, anche perché il Manna continuava a circolare, più o meno adattato. E c'erano insegnanti che si contendevano all'arma bianca il mirabile privilegio di annoiare a morte i loro alunni con appositi corsi pomeridiani di latino a pagamento; e  questa ai miei occhi rimane la cosa più sbalorditiva: che ci siano genitori che pagano per mandare i loro assidui e diligenti figli ai corsi serali di latino, incuranti che l'anno prossimo i figli avranno fior di insegnante regolarmente stipendiato dallo Stato per insegnargli latino al liceo mediante un regolare corso di studi curriculare,e che invece di ricompensare l'assiduità negli studi dei loro integerrimi figli con gelati, scarpe firmate, giochi per la wii o, al limite, semplicemente lasciandoli in pace, si preoccupano di tormentarli ulteriormente con il latino.
Tali corsi sono riservati ai più bravi "quelli che faranno il liceo"; anche se i privilegiati, depositari di tanto onore, devo dire che spesso mostrano entusiasmo piuttosto scarso, soprattutto quelli che fanno latina in alternativa al Cineforum o ai laboratori di Artistica o Fisica.
Scopo di questi corsi, a quanto vedo, è fornire ai virgulti subito, in anteprima, la parte più noiosa del latino scavalcando tutto ciò che di piacevole il latino può avere. Se non è il Manna buonanima sono strane imitazioni del Manna (sempre con gli alfieri strenui e il pio Enea) - tutta roba capace di stroncare sul nascere ogni sia pur vaga inclinazione agli studi classici.

Mi hanno detto - e probabilmente è vero - che il mio istintivo rigetto per il latino è stato un caso isolato, che i virgulti si adattano spesso di buon grado, che la cosa non fa poi danni così grossi come la mia drammatica esperienza mi porta a presumere. E' possibile, senz'altro è possibile; e magari a loro la mente si apre davvero, non so.

Io, comunque, continuo a trovare il tutto piuttosto privo di senso.

giovedì 5 aprile 2012

Dalle lire agli euro (avventura scolastica)

Queste monete da una lira e due lire sono state coniate negli anni Cinquanta, e anch'io ne ho appreso l'esistenza mentre lavoravo al Progetto, perché mai mi erano passate tra le mani. Api, olive e spighe di grano ricorrono con frequenza sulle lire dell'Italia repubblicana, come simboli dell'onesto lavoro, dell'abbondanza e della tenacia. L'arancia invece mi risulta essere stata usata solo in quest'occasione.


All'inizio dell'anno, le sventurate terze di St. Mary Mead vennero variamente inseguite e tampinate dal Comune e dalla Nostra Preside perché partecipassero ad un concorso indetto - mi pare - dalla Provincia, qualcosa di molto vago sul senso delle istituzioni.
Mandammo a dire che sì, poteva essere un'idea, ma ci spiegavano per favore di cosa accidenti parlava il progetto esattamente?
La risposta, ancor più vaga del bando, si premurava comunque di chiarire che il contributo poteva avere la forma che più ci piaceva. Leggendo con attenzione, ci parve anche di capire che in qualche modo c'entrava il 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
La Nuova Preside ci saltellava intorno, il Comune ci saltellava intorno e la collega Palmina era visibilmente tentata. Io e la prof. De Angelis molto meno.  Lo scoglio era: sì, ma che diamine facciamo?
Non so come venne partorita una fumosa idea sui simboli istituzionali e le monete. Piano piano, e senza alcun contributo da parte mia (nell'organizzazione di un progetto gente come me è utile all'incirca quanto la zavorra per un aereo leggero in fase di decollo) prese forma una scaletta che prevedeva rielaborazioni grafiche dell'euro e un qualche lavoro sui simboli istituzionali. Qualcuno mi disse "Tu dovresti occuparti della lira. Ci stai?".
"Boh" fu la mia entusiastica risposta. Poi feci una navigatina e scoprii che, tutto sommato, le monete in lire della Repubblica Italiana non erano molte, mentre quelle del Regno d'Italia si somigliavano un po' tutte, avendo per lo più il non sempre bellissimo ritratto del re di turno da una parte, e lo stemma d'Italia e dei Savoia dall'altra.
Sapevo che in classe pasticciavano tutti decorosamente col computer, così proposi una presentazione a slide sulle varie monete repubblicane. Fu accettata.
Mentre Palmina e la De Angelis organizzavano un complesso affare sui vari simboli dell'Italia, la bandiera, l'inno e via discorrendo e Arte vagava per le tre terze facendogli produrre disegni su disegni, io divisi la classe in quattro gruppi, assegnai ad ogni gruppo quattro o cinque monete e dissi che volevo delle slide con la descrizione, la data di coniazione e cose del genere - qualche riga di testo per ogni moneta, che potessero leggere sullo schermo mentre esponevano.
Naturalmente il lavoro richiese un po' di aggiustamenti, ma grazie alla nostra nobile LIM il tutto venne fatto in classe senza troppi traumi, salvo le due volte in cui Cristaccecami ci staccò la corrente. C'era poi il piccolo dettaglio che la LIM e tutti i computer della scuola reggevano un Power Point più vecchio di quello di uno dei gruppi, più il fatto che uno dei computer dei ragazzi commise suicidio giusto in quei giorni e recuperare il file dalle sue viscere fu assai complesso. Nel frattempo anche il computer di Sala Professori stava passando un momento di profonda crisi interiore e ci furono anche dei grossi problemi con le stampe.
Poca roba rispetto agli altri: una feroce ondata della più debilitante influenza stroncò la terza della De Angelis, il computer di Arte andò anche lui in tilt costringendo lo sventurato figlio della sventurata insegnante a un complicatissimo repechage delle immagini dei (pregevoli) disegni delle tre terze, e la Palmina ebbe il suo daffare a cucire taluni file che si rivelarono incompatibili. In compenso la sua terza preparò una brochure deliziosa che venne distribuita agli allievi.
Il lavoro andava esposto nella Sala del Consiglio Comunale di St. Mary Mead - dove naturalmente ci furono dei problemi con i microfoni, il proiettore e financo le luci. Insomma, tutte le leggi di Murphy possibili e immaginabili si erano addensate sul nostro incauto progetto, reo di esistere. Ignoro quale suscettibile divinità potessimo avere offeso.

Ciò nonostante, in una non troppo fredda mattina di Dicembre eravamo lì, alla presenza di assessori e sindaco più un gruppetto di genitori, con i disegni esposti su appositi pannelli.  Il video con i disegni fu proiettato senza intoppi, l'inno d'Italia venne eseguito, la bandiera italiana fu spiegata e dispiegata, vennero  letti articoli scelti della Costituzione, proiettati e illustrati tutti i simboli italici (che sono un bel po', ho scoperto) e i miei alunni, dopo una breve introduzione sulla storia della Lira, (a partire dalla sua invenzione, ad opera di Carlo Magno) illustrarono le varie monete in lire - che i ragazzi ovviamente non conoscevano e che molti degli adulti presenti hanno scoperto di aver dimenticato.
Alla faccia delle oscure congiunture la cerimonia è andata nel migliore dei modi possibili e tutti siamo rimasti molto soddisfatti, specie gli alunni che non sono inciampati nemmeno una volta né nella bandiera né nella loro esposizione e che, dopo assai timori, erano davvero compiaciuti di sé - a buon diritto.

Il meglio però non l'abbiamo potuto raccontare loro; perché qualche mese dopo sono pure arrivati un po' di soldi, non in lire ma in più moderni euro, che hanno permesso alla scuola di pagare agevolmente la gita ai (non pochi, ahimé) allievi che, per problemi economici, rischiavano di non poter partecipare, mantenendo intatto il programma iniziale su tre giorni e due pernottamenti.
E direi che uso migliore non si sarebbe potuto trovare.