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martedì 4 gennaio 2011

Scripta manent - 1: Al cor gentil rempaira sempre 'l drago


Essendo una dama giapponese di raffinata cultura, i miei temi erano all'incirca così

Quando andavo a scuola mi piaceva un sacco fare i temi. Non importava che i titoli fossero belli o brutti, ero comunque in grado di venirne a capo con facilità. Le cose da dire si affollavano gioiosamente nella mia giovane testolina e spesso l'unico problema era scegliere quale traccia mi interessava di più fare. Quando mi sembrava di avere sviluppato un'adeguata quantità di argomenti chiudevo il discorso e cominciavo a copiare - anche se "copiare" era un termine piuttosto improprio perché, sin dalle prime frasi, mi veniva in mente un modo diverso di impostare la questione. Così scrivevo un secondo tema, che aveva solo occasionali rapporti col primo e ne era in realtà l'evoluzione. Cercavo di fare economia con le parole: mia madre mi aveva accennato una volta che la lunghezza giusta per un tema secondo lei era tre colonne, e non so perché* a questo principio mi uniformai sempre con attenzione. In realtà spesso sconfinavo nella quarta colonna, ma molto raramente ho chiesto il secondo foglio. Insomma, evitavo di allungare il brodo.
I risultati sono stati spesso ritenuti eccellenti, e sempre più che accettabili. Mi veniva dato un buon voto e assai raramente c'erano correzioni: non lasciavo periodi in sospeso, non sbagliavo i congiuntivi e la mia ortografia era impeccabile. Mentre scrivevo, soprattutto alle superiori, scambiavo impressioni e idee con i compagni, scorrevo i loro temi e qualche volta, dietro richiesta, li correggevo. Lo scambio di idee non era ostacolato dagli insegnanti (non lo fu nemmeno durante il tema della maturità). Insomma, vivevo il tema come un percorso e un momento di scambio e mi divertivo.
Se mi capitava sott'occhio qualche temario rabbrividivo di sdegno per l'immane quantità di luoghi comuni che conteneva. Mai mi sarei abbassata a usarne uno perché quello che veniva in mente a me era assai più interessante. Quando vedevo nei libri di testo i suggerimenti su "come fare un tema" rabbrividivo ancor di più, perché mi sembravano sbagliati da cima a fondo: non esisteva "un modo di fare il tema", il tema era dentro di te e dovevi tirarlo fuori con un lavoro di scavo.

Insegnando mi accorsi che questo gioioso procedimento introspettivo - su cui nessuno era mai intervenuto perché comunque i miei temi andavano bene così com'erano e cavallo che vince non si cambia - era completamente ignoto al grosso pubblico, docenti compresi. Qualche vago segnale sull'arte di costruire un tema mi era arrivato nel corso degli anni, ma l'avevo sempre preso come una stravaganza di alcuni insegnanti maniacalmente fissati nel dare caterve di regole per fare qualsiasi cosa.
Di fatto, alcuni insegnanti non danno regole, altri ne danno una quantità immane, e ognuno ha le sue. Inoltre c'è una quantità notevole di insegnanti che ha un rapporto non proprio eccellente con la parola scritta - che per un insegnante di italiano, se vogliamo, è un limite.
Il procedimento con cui ci si esprime attraverso la parola scritta è complesso e affascinante, ma molto complicato e sempre individuale. Trasmetterlo è un bel problema - peggiorato dal fatto che, in effetti, non son cose che si possano trasmettere.

Ogni insegnante ha i suoi principi e i suoi obbiettivi (e, naturalmente, ognuno è convinto che i suoi siano quelli giusti). In mezzo ci sono i ragazzi. I discenti, come li chiamano in didattichese. Insomma, loro. E se c'è sempre qualcuno in una classe che riesce a sfornarti un adeguato numero di parole pertinente alla traccia data, qualunque sia, per altri scrivere è un bel problema.

Il mio obbiettivo primario, secondario e terziario è far stabilire a ognuno un rapporto decente con l'espressione scritta. sempre e comunque e a qualsiasi costo. Devono avere un'ortografia corretta e una sintassi accettabile. Non devono avere i conati di vomito all'idea di scrivere qualcosa. Se acquistano una certa scioltezza, col tempo sapranno scrivere testi di tutti i tipi, dalla lista della spesa al promemoria per i colleghi d'ufficio.
Perciò il tema, che gli assegno, sotto sempre variate e mutevoli spoglie, è sempre e soltanto "Sfornami un adeguato numero di parole strutturate in frasi ben costruite su un argomento che ti ispiri". Questo voglio e questo chiedo. Esercitati, giovane creatura implume. Scrivi un po' quello che ti pare ma scrivi. Al resto penserai dopo, quando le frasi non ti sembreranno viscide anguille che vanno per i fatti loro. Al resto penserai alle superiori.

Per fare esercitare la creatura implume, occorre adescarla con qualcosa che gli interessa. Ma cosa interessa alla giovane creatura implume? Ah, saperlo, saperlo. Ognuno di loro ha il suo mondo, la sua weltanschauung e soprattutto molti di loro hanno una quantità immane di barriere interiori che gli impediscono di far fluire la scrittura. Non sono barriere morfologiche e sintattiche: quando hanno a cuore l'argomento anche i semianalfabeti, gli stranieri alle prime armi e i dislessici scrivono - scrivono come possono, ma scrivono. Se scrivono, si può vedere dove sono i problemi e provare ad aiutarli, ma devono scrivere. E devono fidarsi di chi legge. Dare per scontato che il loro mondo, la loro weltaneccetera e la loro complessa interiorità interessino a chi legge. E devono interessarsene loro per primi. Entusiasmarsi all'idea di descrivere la loro vita e i loro pensieri, il loro cane e il loro amico del cuore, i loro sogni e i loro incubi.

Guarda caso, quando capitano sotto le mie affamate grinfie, le creature sono proprio nell'età in cui sono molto confusi a riguardo e per giunta odiano parlarne. Cominciano a sapere di esserci, ma non sanno bene come sono, e anche quando lo sanno cambiano di continuo. E ci sono un'infinità di cose di cui credono di non voler parlare e un'altra infinità di cose di cui vorrebbero parlare ma non osano per un'infinità di motivi spesso sconosciuti a loro stessi medesimi. In breve: praticamente qualsiasi tema legato alla loro concreta esistenza può rivelarsi un campo minato, alla faccia dell'esortazione a farli parlare delle loro esperienze quotidiane e dei loro interessi.
Spesso cercano di risolvere tutto con un racconto dove loro non compaiono. E spesso è un racconto terribilmente confuso. In prima, in particolare, i racconti possono essere una vera tortura per chi legge: personaggi che appaiono e scompaiono senza motivo, che agiscono per motivi incomprensibili a qualsiasi essere in grado di intendere e di volere, storie senza capo né coda, collegamenti logici che non si trovano nemmeno segnalandoli a "Chi l'ha visto", dialoghi improponibili financo alle case di cura per malattie mentali. Sono i segnali di un rapporto assai problematico col mondo esterno ed interno - in pratica, della colossale crisi di crescita che stanno attraversando. Se la vita per loro è incomprensibile e le pretese degli altri nei loro confronti pure, è normale che anche le loro storie non siano proprio il massimo della chiarezza e i loro ragionamenti si perdano in strani imbuti metafisici che fanno scempio di qualsiasi chiave d'accesso dello sventurato lettore, ormai adulto e più o meno saldamente installato in un ruolo e in una weltanschauung (perché anche gli insegnanti, poveracci, ne hanno una; o almeno ci sperano).

Si tratta dunque di aggirare queste tenere creature, e di farsi aggirare da loro, uscendo dalla malefica trappola in cui scrivono quel che piace all'insegnante, o meglio quel che credono piaccia all'insegnante - oppure vorrebbero scrivere quel che piace all'insegnante ma non ci riescono, anche perché, in fondo e pure in cima, di quel che piace all'insegnante gli interessa il giusto - il che è comprensibile e pure rispettabile.

Il primo passo su questa strada lo feci d'istinto nella mia prima supplenza quando, con un lampo di felice ispirazione, in mezzo a due temi piuttosto ordinari infilai la traccia "Racconta, in una pagina di diario, di come hai affrontato un drago". Da notare il verbo "affrontare": non era detto che il drago fosse un nemico, non era detto che chi scriveva fosse riuscito a sconfiggerlo.
In una classe di 23 alunni vennero affrontati diciotto draghi, nei più vari modi, in una serie di temi incredibilmente personali. Ricordo in particolare un drago che partecipava ad un quiz televisivo per draghi e vinceva non so cosa, un cucciolo di drago abbandonato in una grotta, raccolto da una famiglia in vacanza (l'autrice era rimasta orfana di madre durante l'estate) e un drago che, aiutato dall'Imbranato Cronico della classe, riusciva ad elaborare un complesso incantesimo che gli permetteva di sconfiggere il mago che lo teneva prigioniero (per l'occasione l'Imbranato Cronico sfoderò il suo primo tema comprensibile e ben strutturato, inaugurando una collana di testi molto validi che lo portò dal Non Sufficiente al Buono nell'ammissione all'esame).

I vantaggi di questo tipo di tracce sono tre: l'allievo lo svolge come gli pare, scopre una serie di cose di sé che non aveva mai realizzato... e le scopre anche l'insegnante. Inoltre sono divertenti da leggere, di solito, perché presentano una varietà infinita di soluzioni e chi legge non sa mai cosa può trovarsi davanti alla frase successiva - che rende il lavoro di correzione piuttosto interessante. Spesso sono scritti piuttosto bene perché l'alunno, non dovendo dedicare il grosso delle energie a scansare trappole e tagliole legate ai suoi conflitti interiori e pure esteriori, riesce a concentrarsi adeguatamente su banali questioni quali il fatto che chi apre un periodo lo deve chiudere e che il congiuntivo esiste.
Un drago, naturalmente, risulta di solito più evocativo di un macinacaffé, ma il segreto non è nel drago ma nell'aver lasciato libero l'esito, il tipo di confronto e l'ambientazione. Insomma, non è detto che l'insegnante debba necessariamente pascolare a draghi. Io scelsi i draghi perché mi piacciono, ma qualcosa di molto più domestico sarebbe andato altrettanto bene. E' più pratico comunque lavorare con gli archetipi, come fa la letteratura fantasy (che consiste nella maggior parte dei casi in storie di psicomachia, esattamente come le fiabe); ci sono un sacco di archetipi in giro: il Bosco, la Macchina del Tempo, il Lupo, la Fontana, il Fondo del Mare, lo Specchio... tutti molto vaghi e tutti altamente evocativi.

Con gli anni ho raffinato la tecnica. Si deve dare qualche punto fermo, perché troppa libertà rischia di mettere in difficoltà chi scrive, ma si deve anche lasciare la possibilità di aggirare tutte le soluzioni più ovvie, caso mai alla creatura venisse in mente una possibilità imprevista (spesso gli viene in mente).
Spesso in terza basta un accenno, spesso in prima conviene mettere qualche paletto o ci si ritrova con un'infinità di storie standard di principesse... e di serial killer (argomento molto amato dagli alunni di sesso maschile con scarsa creatività, ho notato); il problema in questo caso non sta nelle principesse, creature altamente rispettabili, o nei serial killer, molto meno rispettabili ma in fondo possono starci anche quelli - ma, appunto, nelle storie standard.
Queste però sono cose che si possono correggere in corso d'opera, magari assicurando la classe che il prossimo serial killer che capita sotto gli occhi dell'insegnante farà una fine assolutamente lacrimevole e al suo autore andrà anche peggio - insomma, un delicato accenno di tipo subliminale.

Questo tipo di spunti possono essere fatti scivolare con nonchalance tra due tracce rispettabili del tipo descrivi un bel giorno di vacanza o racconta che cosa rappresenta per te l'amicizia, ma anche essere spesi come traccia unica in un Esercizio di scrittura...
(to be continued)

*probabilmente perché era molto sensato

7 commenti:

'povna ha detto...

ho dato anche io parecchi 'temi-draghi' in vita mia, anche se soprattutto come ponte per abbandonare i draghi delle medie e passare ai temi più argomentativi del triennio. e funzionano anche con me di solito parecchio bene. quanto alle colonne, tendo a non dare indicazioni, anche se negli annali della storia 'povnica si accreditano ripetuti exploit della Testarda a quota 13, e del Gigante Buono a quota 17. (Corto Maltese no, lui di solito ne usava tre, noblesse oblige)

Wolfghost ha detto...

Caspita, complimenti! Il tuo sforzo per migliorare i tuoi studenti è davvero encomiabile. E' facile vedere che la passione che avevi quando i temi li scrivevi tu è rimasta, ed ora è trasferita proprio nell'impegno verso i tuoi studenti.
Anche io mi divertivo nei miei temi, anche io avevo il mio metodo e anche io prendevo sempre voti alti, ma... il vero motivo è che la mia scuola superiore era un istituto professionale: gli altri erano così scarsi che l'insegnante doveva alzare di almeno un paio di punti i voti di tutti, altrimenti - a parte me - finivano tutti bocciati! :-D

Murasaki ha detto...

@ Wolf
In realtà il compito che mi prefiggo non è di migliorare i miei alunni (nel complesso trovo che vanno piuttosto bene così come sono(, bensì quello, molto più complicato, di non peggiorarli, e soprattutto di non permettergli di complicarsi troppo la vita a livello scrittorio!
BTW, non so com'era la tua classe ma i professionali non sono necessariamente peggiori di tanti licei, per quel che riguarda la scrittura. Che tu ti divertissi a scrivere, allora come ora, non ho dubbi! ^__^
(mentre ci sono un sacco di liceali che non si divertono affatto, e piuttosto che fare un tema scaricherebbero volentieri casse per due ore da qualche nave)

@ 'povna
Ecco,ci sono delle differenze tra medie e superiori. Per esempio non è rarissimo, in prima, dover spiegare con garbo alla creaturina che non può consegnarti una colonna e tre righe scritte grandi e chiamarlo "tema", oppure che deve degnarsi di rileggere prima di consegnare e fare attenzione ad accentare le "e" del verbo essere e non accentare invece gli "sto". Quindi finisce che io, in realtà, chiedo un certo numero di colonne (da due a tre) fermo restando il diritto di ognuno di farmi anche un romanzo, se ciò lo aggrada.
Il tema argomentativo (proverò a parlarne, più avanti) può essere una vera trappola ALLE MEDIE. Cerco sempre di farne scivolare uno nella terna ma così, senza parere, un po' travestito. E ci sono alcuni che sin dalla prima sono disponibili a tentare, magari riuscendoci benissimo. Ma molti, se vengono stretti in una gabbia argomentativa, finiscono col bloccarsi e non scrivere più niente, a volte anche in terza.
Quanto a Corto, sospetto che lui i canali della scrittura li avesse apertissimi anche alle elementari...

'povna ha detto...

non credere che alcune di queste cose siano, sigh, poi così diverse alle superiori (specie ad alcune superiori): per esempio gli accenti, tanto per dire. o il tentativo di scrivere grande grande per fare il tema lungo lungo mentre invece è corto corto...

su Corto, hai sicuramente ragione... e non ho alcun merito, salvo quello, se mai, di ammirarlo incodizionatamente... ;-)

Murasaki ha detto...

Ebbene sì, alle superiori può ben esserci qualche... ehm... problema residuo con l'ortografia ^__^
Ricordo un'amica e collega che veniva dalle medie, dove era abituata a lavorare con molta cura sull'ortografia e mi telefonò un pomeriggio in preda allo sconforto dopo aver passato due ore a scansare freccie e lancie correggendo la sua prima versione di latino.
Sì, versione di latino. Perché era un liceo scientifico...

cautelosa ha detto...

Il titolo ideale è quello che facilita la scrittura dell'alunno e non annoia l'insegnante al momento della correzione (tutt'al più lo induce a strapparsi i capelli a ciuffi -espressione tanto amata da una 'lontana' collega- per orrori ortografici o altre amenità..)

Per quanto riguarda i trucchi per 'allungare' un tema, ricordo l'alunno che scriveva con uno speciale 'giustificato' a fine riga...

Murasaki ha detto...

Sì, Cauty, hai detto molto giustamente: in effetti quando do i titoli ho anche un occhio di riguardo per i miei gusti di lettrice. Ecco perché non mi vedrete mai assegnare il celebre "Luci, colori e suoni dell'autunno" (anche se l'autunno, in effetti, è la mia stagione preferita)